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Sondaggio: ANNIBALE O ALESSANDRO: CHI ERA SUPERIORE
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Sondaggio: ANNIBALE O ALESSANDRO: CHI ERA SUPERIORE

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2006 19:06
16/07/2006 15:03
ROMA DOPO LA BATTAGLIA DI CANNE
Roma, dopo la grande sconfitta di Canne, riuscì a trovare nelle virtù del suo
popolo la forza per resistere ai durissimi colpi del destino; che non si
accaniva su questo o quel cittadino, o su questa, o quell'altra città; ora
c'era in gioco l'esistenza della repubblica, era minacciata l'intera penisola,
che da pochissimo tempo era stata unificata, e già il nome "ITALIA" correva
dalla Sicilia alle Alpi.
A questo punto, tacquero gli odi di parte, fu chiuso nel cuore il dolore per
la perdita di tanti uomini, né si pensò a criticare l'operato dei capi
dell'esercito.
La mente e le opere di tutti i cittadini, ottimati e plebei, uomini e donne,
furono rivolte a salvare la patria.
Dietro consiglio di FABIO MASSIMO si stabilì che il lutto per i morti in
guerra avesse la durata di soli trenta giorni, si misero numerose sentinelle
alle porte affinché nessuno uscisse dalla città e si mandarono uomini a
cavallo lungo le vie Appia e Salaria per raccogliere notizie dei superstiti di
Canne e sui propositi e movimenti di Annibale.
Poi si pensò a radunare un nuovo esercito e a procurar denaro. Furono chiamati
sotto le armi i giovani di diciassette anni, arruolati ottomila schiavi e
seimila carcerati ai quali fu promesso il condono dopo la guerra. I creditori
rinunziarono alle somme prestate. Fu proibito di tener denari e gioielli oltre
un determinato limite. In seguito ad una legge sul lusso delle donne, proposta
dal tribuno OPPIO, le matrone diedero alla repubblica una parte delle loro
gioie. Si vietò al cartaginese CARTALONE sceso nella capitale per trattare del
riscatto dei prigionieri di metter piede nel territorio di Roma e il riscatto
fu rifiutato per non arricchire Annibale e per ammonire i soldati a non
sperare di ricomprare con l'oro la libertà perduta per viltà.
Più tardi creò non poco conforto la notizia che alcune migliaia di soldati,
scampati alla strage, si erano rifugiate a Canusio e quando VARRONE,
richiamato, arrivò nelle vicinanze di Roma, il Senato, anziché rimproverarlo
come responsabile della sconfitta, gli andò incontro e, confortandolo, lo
ringraziò d'avere raccolto i superstiti.
Ritornato Varrone, fu incaricato M. FABIO BUTEONE di colmare i vuoti che la
battaglia di Canne aveva fatto tra i senatori (80) e ne furono nominati
centosettantasette scelti in gran parte fra i plebei e fra coloro che erano
stati tribuni, edili e questori.
Contemporaneamente fu creato dittatore M. GIUNIO PERA e maestro della
cavalleria TIBERIO SEMPRONIO GRACCO.
ANNIBALE A CAPUA
Dopo la vittoria di Canne, l'esercito cartaginese avrebbe voluto marciare su
Roma, ma ANNIBALE, il quale sapeva che non era cosa facile espugnare una città
così forte con truppe che non avevano potuto far cadere Piacenza ed erano
state respinte da Spoleto, non volle. Con la sua profonda visione strategica,
riconobbe la futilità di una vuota dimostrazione davanti alle mura di Roma,
che non avrebbe fatto altro che sminuire le conseguenze morali della vittoria
e avrebbe fatto sfuggire all'opportunità di fare più importanti progressi.
In un momento in cui si agitava fortemente la confederazione romana, lui
preferì fare un comodo viaggio -trionfale- attraverso il Sannio fino in
Campania per raccogliere gli alleati in rivolta.
Infatti, le stirpi più rudi, con forti sentimenti d'indipendenza, che si erano
sempre opposti alla dominazione Romana (Hirpini, Pentri, Caudini, Lucania,
Bruttium, ecc) la sollevazione fu quasi generale. E una di quelle che
rappresentò un vero pericolo di disgregazione fu poi la rivolta di Capua, che
allora era la seconda città d'Italia dopo Roma, e per essere un importante
centro industriale e commerciale, molto più ricca della stessa Roma.
ANNIBALE partito dall'Apulia, passò nel Sannio e, lasciati Cossa (che
spontaneamente gli si era data), i bagagli e il bottino, comandò a MAGONE di
procedere con una parte delle truppe a prendere possesso delle città che si
davano e di combattere quelle che facevano resistenza. Lui con il grosso
dell'esercito andò nella Campania con il proposito d'impadronirsi di Neapoli
(Napoli), ma, giunto sotto le mura della città, le forti opere di difesa gli
fecero mutar parere e si diresse nella non lontana Capua.
Qui ebbe miglior fortuna che a Napoli. Dopo la battaglia del Trasimeno, il
potere della città era venuto in mano al partito popolare, nemico della
nobiltà locale; molti di questi, avevano rafforzato il loro potere con le più
importanti famiglie di Roma con una serie di matrimoni. Ma non erano certo dei
grandi patrioti; nel periodo di queste lunghe guerre, le coscrizioni imposte
da Roma, a questa gente amante del lusso, erano particolarmente moleste.
Ma se a loro erano sgradevoli, più spiacevoli e perfino ostili erano al
popolo, pur avendo il senso patrio che a Roma (con le guerre diventata più
democratica) avevano favorito e coltivato; ma non in Campania che era
fortemente limitata dalla giurisdizione di un "praefectus" romano, alla cui
elezione, il popolo campano non partecipava, doveva solo e sempre ubbidire.
Fu per quest'ultimo motivo che il popolo aprì le porte ad Annibale, che
entrato in trattative, accettò in pieno le condizioni avanzate dai cittadini
(popolo) di Capua: nessun arruolamento nell'esercito, completa autonomia, dono
di 300 prigionieri romani da scambiare con i cavalieri capuani che erano al
servizio di Roma in Sicilia.
L'esempio di Capua fu seguito da altre città minori della Campania, Atella,
Calatia, Nuceria, Acerrae. Comunque poca cosa, il nucleo della forza di Roma,
Lazio, Umbria ed Etruria, rimaneva ben saldo; e così in Sicilia, Gerone si
affrettò a dimostrarsi ancora una volta un fedele alleato.

Quindi la dedizione di Capua e pochi altri centri non erano fatti che avessero
gran peso nella guerra. L'Italia si manteneva fedele a Roma e la repubblica
rimaneva perciò forte e temibile.
Fallita la speranza di sollevare i popoli italici e di procurarsi soldati per
il suo esercito, denari e vettovaglie, Annibale comprese che due sole vie gli
rimanevano: o abbandonare il pensiero di sottomettere Roma e tornarsene in
Spagna, oppure cercare aiuti in patria e alleanze fuori.
Non volendo lasciare incompiuta un'impresa così felicemente iniziata, Annibale
inviò il fratello MAGONE in Africa a chiedere aiuti per l'esercito che
guerreggiava in Italia.
Magone magnificò al Senato Cartaginese le vittorie del fratello e fornendo la
prova di ciò che asseriva mostrò una montagna di anelli sottratti ai cavalieri
romani nella battaglia di Canne, che -si narra - misuravano tre moggi e mezzo.
Invano il partito contrario, capeggiato da ANNONE, si oppose; ma la fazione
dei Barca vinse e il Senato deliberò che si mandassero ad Annibale quaranta
elefanti e si assoldassero nella Spagna ventimila fanti e quattromila cavalli
per la guerra d'Italia e della penisola Iberica.
ANNIBALE SCONFITTO A NOLA
Intanto i Romani non perdono tempo. Il dittatore GIUNIO PERA alla testa di
venticinquemila uomini passa nella Campania e si accampa a Teano per sbarrare
al nemico la strada del Lazio; il prefetto MARCO GIUNIO SILVANO si reca invece
a Neapoli e assume il comando della difesa di questa città fedele a Roma; il
pretore CLAUDIO MARCELLO, da Canusio, si porta rapidamente a Nola per tenere a
freno la plebe che vorrebbe darsi ai nemici e per opporsi ad Annibale, che per
la seconda volta, con Marcello già dentro con le sue schiere, tenta
d'impadronirsi della città.
L'esercito di Annibale si schiera davanti a Nola e aspetta che Claudio esca ed
accetti battaglia; ma nessuno esce dalle porte; il Cartaginese crede che il
nemico abbia paura, manda una parte dei soldati agli alloggiamenti, e ordina
loro di portare le macchine da guerra, sperando che, bombardando la città, la
plebe si sollevi a faccia aprire le porte.
CLAUDIO MARCELLO però non ha paura; ha schierato di nascosto dietro le mura le
sue truppe, suddividendole in tre gruppi e mettendone uno dietro ognuna delle
tre porte che guardano il campo nemico: alla porta centrale le legioni e i
cavalieri romani, alle due laterali le fanterie e la cavalleria italica e gli
armati alla leggiera.
Quando vede che i nemici sono intenti a lavorare intorno alle macchine,
Marcello fa aprire la porta di mezzo fa irrompere le legioni e i cavalieri,
poi, aperte le altre, fa assalire le ali avversarie. Preso alla sprovveduta,
l'esercito cartaginese è sbaragliato, duemila e trecento uomini rimangono sul
campo ed Annibale è costretto ad abbandonare la piazza (anno 215 a.C.).
Non è trascorso nemmeno un anno da Canne e la fortuna del generale cartaginese
comincia a declinare. Si vuole attribuire il declinare della fortuna di
Annibale agli ozi di Capua, alla vita molle che strapazzò e indebolì
l'esercito cartaginese.
C' è in quest'asserzione un po' di verità , ma non riposa soltanto in questi
famosi ozi la causa del tramonto della potenza militare di Annibale. Ma si
deve cercare nel patriottismo di Roma, nelle inesauribili energie e virtù del
popolo romano, nella politica saggia ed avveduta della repubblica che aveva
saputo farsi amare dalle popolazioni italiche che nei momenti della sventura
non la tradirono e si opposero con tutte le loro forze agli invasori.
Di quest'attaccamento a Roma delle città italiane fa fede il contegno di
Neapoli e di Acerria e specialmente di Casilino, che tenne in scacco per lungo
tempo Annibale nel 216, e di Petelia che l'anno seguente, assediata,
resistette eroicamente per circa undici mesi.
BATTAGLIA DELLA SELVA LITANA
Nell'anno 215 l'attività dei Romani aumenta mentre decresce quella di
Annibale. Roma trova la forza di fronteggiare non solo il nemico nell'Italia
meridionale ma di inviare truppe nella settentrionale contro i Galli. Qui però
la fortuna non è favorevole alla repubblica.
LUCIO POSTUMIO, designato console, ma non ancora entrato in carica, guida un
esercito di venticinquemila uomini nel paese dei Boi, ma un'insidia lo
attende. Lungo la via che deve percorrere attraverso la vastissima Selva
Litana gli alberi giganteschi sono stati dai Galli tagliati in modo da
rimanere ritti, ma ad essere abbattuti al suolo dalla più piccola spinta, e
con la selva piena di nemici in agguato.
Quando l'esercito consolare è dentro nella foresta, cadono con immenso fragore
le piante uccidendo uomini ed animali. I superstiti, con la strada sbarrata
per la fuga, assaliti dal nemico, sono fatti a pezzi e fra questi è Lucio
Postumio.
Grande sbigottimento a Roma all'annunzio di questo nuovo disastro, ma il
Senato ordina che dalla città sia tolto ogni segno di mestizia e di lutto.
Come con fiero animo sono stati sopportati i disastri della Trebbia, del
Trasimeno e di Canne si deve con altrettanta fermezza sopportare quello della
Selva Litana. Anziché piangere i morti è necessario intensificare la lotta
contro Annibale, il quale ormai non ha più speranza di sostenersi da solo in
Italia e cerca alleanze fuori della penisola. Ma sono tutti tentativi inutili!

Riesce a tirare dalla sua parte l'imbelle giovinetto GERONIMO, succeduto nel
trono di Siracusa al vecchio e saggio Gerone, con il promettergli il possesso
dell'intera Sicilia; ma Geronimo cade ucciso per mano di congiurati e muoiono
con lui le speranze di aiuti che Annibale si attendeva.
Né più fortunata e proficua è l'alleanza che stringe con FILIPPO di Macedonia
perché gli ambasciatori macedoni e cartaginesi cadono nelle mani dei Romani e
il pretore M. VALERIO LEVINO fa buona guardia con la sua flotta nelle acque di
Apollonia.
(Questo tentativo di alleanza col re di Macedonia, cui Annibale ha promesso la
cessione dell'Illiria romana dopo la sconfitta di Roma -fra breve come
vedremo- sarà l'occasione per dare inizio alla prima guerra macedonia)

Intanto in Italia le condizioni di Annibale si fanno più precarie e difficili.
Tre eserciti romani gli stanno sempre alle costole e lo sorvegliano: il
console FABIO MASSIMO a Teano, il console TIBERIO SEMPRONIO GRACCO a Cuma e a
Neapoli e il proconsole CLAUDIO MARCELLO tra Capua e Nola. Annibale cerca di
impadronirsi di Cuma e si serve dei capuani, ma questi sono sconfitti da
SEMPRONIO, prontamente accorso con le sue truppe, le quali, rimaste a Cuma, la
difendono valorosamente dagli assalti dell'esercito cartaginese appena giunto
ad assediare la città e subito respinto con gravissime perdite è costretto a
ritirarsi sulle montagne di Tifate.
A quest'insuccesso altri e più gravi se n'aggiungono poco tempo dopo: presso a
Grumento, in Lucania, il cartaginese ANNONE è sconfitto e perde duemila
uomini; tre castelli ribellatisi ai Romani sono riconquistati dal pretore
MARCO VALERIO; QUINTO FABIO riprende Compulteria, Trebula e Saticula e
Annibale, sotto le mura di Nola, è nuovamente sconfitto da MARCELLO e lascia
sul campo cinquemila uomini e nelle mani del proconsole cinquecento
prigionieri.
Sconfitto a Nola, Annibale va a svernare in Apulia e mette il campo ad Arpi,
incalzato da SEMPRONIO GRACCO che va ad accamparsi a Luceria.
Anche ANNONE lascia la Campania e con l'aiuto dei Bruzi cerca di ridurre in
suo potere le città greche sottomesse a Roma. Locri si arrende e si arrende
anche Crotone, ma Reggio resiste valorosamente ai ripetuti assalti.
Così finisce l'anno 215 a.C. Nell'Italia Annibale ha fatto il massimo sforzo
per attirare a sé i popoli e conquistare città, ma soltanto una piccola parte
del Sannio e della regione dei Bruzi è riuscito a far passare dalla sua parte,
e delle città che ha potuto amicarsi o sottomettere una sola è importante:
Capua.
Ora il gran generale aspetta che le intese da lui promosse fuori della
penisola diano buoni risultati. Spera molto dalla Macedonia e dalla Sicilia, e
qualcosa ancora da Cartagine. Ma la sua patria, nonostante governata dalla
fazione dei Barca, si preoccupa più della Spagna che non dell'Italia, né sa
sostenere con aiuti la rivolta della Sardegna che il pretore TITO MANLIO ha
soffocato nel sangue.
E intanto Roma è più che mai decisa a fare sforzi giganteschi per condurre a
termine vittoriosamente la guerra.
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