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Sondaggio: ANNIBALE O ALESSANDRO: CHI ERA SUPERIORE
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Sondaggio: ANNIBALE O ALESSANDRO: CHI ERA SUPERIORE

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2006 19:06
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Scritto da: davide.cool 13/07/2006 21.05
ricostruzione soldato persiano a gaugamela, truppa leggera



Davidecool colpisce ancora [SM=x506651]


----------------------------------------

"Per garantire che resteremo sempre uniti, che parleremo sempre con un'unica voce e che agiremo con un'unica mano la Repubblica dovrà cambiare. Dobbiamo evolverci, dobbiamo crescere. Siamo diventati un Impero di fatto, diventiamo un Impero anche di nome!
Siamo il primo Impero Galattico!
Siamo un Impero che continuerà a essere governato da questo nobile consesso!
Siamo un Impero che non ripeterà i maneggi politici e la corruzione che ci hanno feriti così profondamente!
Siamo un Impero che sarà governato da un unico sovrano eletto a vita!
Siamo un Impero governato da una maggioranza!
Un Impero governato da una nuova costituzione!
Un Impero di leggi,non di politici!
Un Impero votato alla salvaguardia della società onesta. Di una società unita e sicura!
Siamo un Impero che durerà diecimila anni!"

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e allora ho ricontrollato i miei post e nn ho mai parlato di brizzi,semmai è stato generale massimo;e qua nn ti dico niente che è meglio....
Quello che dice brizzi nn lo sapevo cmq io ho una altra fonte senza dubbio autorevole che è quella di bosworth,e mi ricordo chiaramente(ho prestato il libro) che parlava in una appendice dedicata all'esercito macedone,di un addestramento specifico per il corpo a corpo cn lancia corta e spada.Quindi le cose nn me le invento,nn le tiro fuori dal cilindro magico.
Io nn intendevo dire che i persiani fossero migliori dei macedoni,ma ho solo detto che erano avversari temibili e nn contadini da macellare cm dice davide e che individualmente sn validi.
Criticare la loro tattica(disporsi in profondità,fare affidamento sulla superiorità numerica etc)nn mi sembra il caso perchè era la loro cultura.
Poi sei poco informato forse,Alessandro quando sbarcò nella troade nn aveva nessuna disponibilità di denaro,nessun apporto dalla flotta visto che i mari erano persiani e provviste per soli 30 giorni,quindi anche cm hai detto tu Alessandro se li è guadagnati cn il sangue gli approvvigionamenti,annibale invece aspettava la manna dal cielo;nn mi sembrano condizioni per iniziare una guerra.Alessandro semmai migliorò la tattica di suo padre,cioè le armi combinate,visto che quella che usava filippo era grezza,inoltre nn comprendeva ancora la fanteria leggera che a cheronea nn ebbe nessun ruolo.Ora parliamo dei soldati battuti da Annibale,io devo ammettere che sn un po ignorante a riguardo,ma mi sembra di ricordare che la maggior parte dei romani affrontai dal punico erano reclute,correggietemi se sbaglio.
Se tu intendi per intellettuale(Che viene da intelletto )uno che scrive libri allora andremo lontano....molto lontano

1- non ero sicuro che ne avessi parlato tu di Brizzi e l'ho premesso nel mio intervento, l'ho scelto perchè era a portata di mano.
2- L'addestramento con spada e lancia costava tempo e denaro non era più che sommario(quando presente) e se lasci da parte per un momento la tua presunzione, troveresti anche tu logico addestrare gli uomini a combattere in formazione piuttosto che con le armi secondarie che se tutto va bene non useranno mai.
3- Sarò male informato, ma la tua illuminazione non mi è di nessun aiuto; Alessandro disponeva di un esercito fidato e sufficiente ad assediare piccole città anche fortificate; e non gli mancò neanche l'appoggio di alcune città ioniche; Annibale non aveva nè l'uno nè l'altro.
4- Perchè sono avversari temibili? usavano tattiche obsolete, non erano in grado di coordinare la varietà di cui disponevano, e per l'appunto davide ha ragione su un punto: ebbene si, nella fanteria persiana c'erano solo alcuni reparti professionisti, e tanti altri di contadini. Mi è piaciuta in particolar modo questa tua frase:

Criticare la loro tattica(disporsi in profondità,fare affidamento sulla superiorità numerica etc)nn mi sembra il caso perchè era la loro cultura.

Non ti sembra il caso perchè era la loro cultura? me la spieghi?
5- Alessandro non era un innovatore. Annibale si. punto.
6- doppia ignoranza: l'intellettuale è chi mette al servizio della società del suo tempo le sue conoscenze e le divulga, tramite appunto lo scritto; si differenzia dall'erudito o dal colto proprio per questa ragione.


E così, nelle operazioni militari:
Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.
Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle di sconfitta.
Se non conosci nè il nemico nè te stesso, ogni battaglia per te significherà sconfitta certa.
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14/07/2006 10:31
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ma come mai parlate solo di gaugamela quando alessandro incontro i persiani più volte? [SM=x506638]
14/07/2006 12:30
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Re:

Scritto da: Pertinax 14/07/2006 10.31
ma come mai parlate solo di gaugamela quando alessandro incontro i persiani più volte? [SM=x506638]



esatto , Granico, Isso e Gaugamela.


14/07/2006 13:03
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Re:

Scritto da: Tymoleon 14/07/2006 1.46


1- non ero sicuro che ne avessi parlato tu di Brizzi e l'ho premesso nel mio intervento, l'ho scelto perchè era a portata di mano.
2- L'addestramento con spada e lancia costava tempo e denaro non era più che sommario(quando presente) e se lasci da parte per un momento la tua presunzione, troveresti anche tu logico addestrare gli uomini a combattere in formazione piuttosto che con le armi secondarie che se tutto va bene non useranno mai.
3- Sarò male informato, ma la tua illuminazione non mi è di nessun aiuto; Alessandro disponeva di un esercito fidato e sufficiente ad assediare piccole città anche fortificate; e non gli mancò neanche l'appoggio di alcune città ioniche; Annibale non aveva nè l'uno nè l'altro.
4- Perchè sono avversari temibili? usavano tattiche obsolete, non erano in grado di coordinare la varietà di cui disponevano, e per l'appunto davide ha ragione su un punto: ebbene si, nella fanteria persiana c'erano solo alcuni reparti professionisti, e tanti altri di contadini. Mi è piaciuta in particolar modo questa tua frase:

Criticare la loro tattica(disporsi in profondità,fare affidamento sulla superiorità numerica etc)nn mi sembra il caso perchè era la loro cultura.

Non ti sembra il caso perchè era la loro cultura? me la spieghi?
5- Alessandro non era un innovatore. Annibale si. punto.
6- doppia ignoranza: l'intellettuale è chi mette al servizio della società del suo tempo le sue conoscenze e le divulga, tramite appunto lo scritto; si differenzia dall'erudito o dal colto proprio per questa ragione.



-1 qui prima di scrivere bisogna essere sicuri
-2 te l'ho detto questa informazione dell'addestramento l'ho letta su un libro che ho prestato cmq era di bosworth uno storico australiano molto apprezzato.Quindi la tua è una opinione,cm la mia del resto anche se fondata su una cosa che ho letto.Tu la pensi cosi,io in un altro modo e la chiudiamo qua
-3 guarda su annibale ti ripeto che nn so molto quindi aspetto il parere di altri
-4 vatti a leggere i nomi di tutte le truppe che hanno partecipato alla battaglia del granico,di isso e gaugamela e vedrai se se sn contadini.L'sercito persiano aveva un assortimento incredibile di truppe,immortali,melofori,guardia reale,cavalleria battriana,sciita,daha,saha,topira,partica e aracosa e chi piu ne ha piu ne metta,elefanti,carri falcati,arceri a cavallo,arcieri del re,insomma c'è ne sn tantissime.Se questi ti sembrano contadini allora...
-5 visto che ti piace brizzi ho trovato un articolo su una rivista dv rispondeva hai lettori,sta di fatto che in una risposta diceva approposito del tuo innovatore che la tattica avvolgente di annibale in realtà fu inventata da alessandro e poi portata alla perfezione da scipione,poi parla della guerra lampo cartaginese portata avanti da annibale,anche questa inventata da Alessandro e poi molto usata dai regni ellenistici.
Quindi come vedi Tymoleon,Alessandro fu anche innovatore.

Adesso passiamo al vocabolario [SM=x506696]

intelletto

1 capacità, facoltà dello spirito di intendere, ragionare e giudicare, intelligenza: la forza dell’i., offuscare, velare l’i., uomo di scarso, di grande i., essere privo di i.
2 estens., persona di notevoli doti intellettuali: essere tra i più grandi intelletti del proprio tempo | il primo, il divino i., Dio
3a TS filos., facoltà teoretica propria dell’uomo di formulare, scegliere e coordinare i concetti
3b TS filos., nella filosofia classica, attività intuitiva contrapposta all’attività discorsiva della ragione | nella filosofia moderna, attività analitica contrapposta all’attività sintetica della ragione
4 TS teol., uno dei sette doni dello Spirito Santo
5a OB LE cognizione, conoscenza: donne c’avete i. d’amore (Dante)
5b OB LE concetto che si intende esprimere, significato: col dir pien d’intelletti dolci et alti (Petrarca)
6 OB LE indole, personalità

quindi cm vedi nn puo ridurre tutto a opere scritte.
Poi cosa ti sembra,un uomo che cerca di fondere oriente e occidente cn la cultura senza imporla cn la spada e che fonda l'ellenismo che ha cambiato il mondo in cui viviamo oggi.Ti ricordo che è stao discepolo di Aristotele e che discuteva ad alti livelli di filosofia cn lui.

Ora ti spiego la mia frase,la società persiana essendo di stampo nobiliare era conservatrice,orgogliosa e nn permetteva al mondo esterno di penetrarvi.Quindi in sostanza nn era disposta a cambiare il suo modo di combattere pur sapendo che era obsoleto,per questo prima di criticare un intero popolo per la loro tattica sul campo di battaglia bisognerebbe riflettere di piu sulla loro storia o sulle loro abitudini

"Desidero che ciascuno di voi, viva felice ed in pace, ora che la guerre stanno per finire.
Tutti gli uomini mortali, da ora in avanti, vivranno uniti in un solo popolo e lavoreranno pacificamente per il bene comune.
Dovrete considerare tutto il mondo come il vostro paese, un paese con il migliore governo possibile, con delle leggi comuni, senza distinzione di razza.
Io non faccio distinzione, come altre menti ottuse fanno, fra Greci e Barbari. Non sono interessato alle origini razziali dei sudditi. Li distinguo solamente sulla base delle loro qualità.
Per me, ogni straniero è un greco ed ogni cattivo greco è un barbaro.
Se ci sono delle differenze fra di voi, non dovete risolverle con le armi, ma con la pace. Se ce ne sarà necessità, io agirò come vostro tramite.
Nn dovete pensare a Dio come a un despota autoritario, ma come ad un padre comune, cosicchè la vostra condotta assomigli a quella di tanti fratelli, che appartengono alla stessa famiglia.
Per quello che mi riguarda, io considero tutti, siano essi bianchi o neri, uguali.
E vorrei che non foste solo sudditi del mio impero, ma anche partecipi alleati.
Dovreste considerare il Giuramento che abbiamo fatto stanotte come un Simbolo di Amore".

Alessandro, dal discorso alle truppe a Babilonia

Avrebbe potuto restarsene a casa in Macedonia, sposarsi, avere una sua famiglia, sarebbe stato celebrato da morto. Ma non era questo Alessandro. Tutta la vita ha combattuto per liberarsi dalla paura e così lottando, così solo, è diventato libero. L'uomo più libero che abbia mai conosciuto. La solitudine crescente e l'impazienza di coloro che non riuscivano a capire furono la sua vera tragedia e se il suo desiderio di riconciliare greci e barbari finì nel baratro del fallimento...e che fallimento, il suo fallimento superò qualunque successo ottenuto dagli altri. Io ho vissuto una lunga vita Kadmo ma gloria e memoria apparterrano per sempre a coloro che seguiranno la propria grande visione e il più grande di questi è colui che ora chiamano Megas Alexandros, Alessandro il grande. (Dal film Alexander)

Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno(Giovanni Falcone)
14/07/2006 22:32
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Re:

Scritto da: Sextus 13/07/2006 18.04
I Falangiti di Cinoscefale erano gli stessi di Gaugamela, che tu lo voglia o no. Stesso armamento, stessi schemi, stesso modo di combattere. Lo sfondamento di cui parli diede possibilità ai romani di incunearsi facilmente nella linea macedone.
Il comandante non era certo Alessandro, ma a parità di generale un Manipolo ha gioco facile sulla Falange, ci gioca come il gatto con il topo.

Sextus



guarda io su questo argomento la vedo cosi

Il concetto di falange(cm ho gia detto in altri post)cambia diventando,da un incudine accompagnata dal martello(la cavalleria),un arma di attacco che deve sferrare il colpo decisivo.
Inoltre gli eserciti falangiti che incontrarono i romani comprendevano una falange molto numerosa,sino a 32 file,poi l'esercito falangitico si concentra molto sulla falange a discapito della cavalliria e delle fanterie leggere,tutto questo naturalmente a discapito della manovra.La dimostrazione dell'inefficenza di questa trasformazione si può vedere chiaramente nella battaglia di Pidna, dv la falange sferra un attacco cosi fulmineo alle legioni di L.Emilio Paolo che le fa ritirare sulle colline,ma allo stesso tempo l'attacco della falange sferrato cn troppo slancio,favorì l'intervento delle seconde linee romane che fecero strage della falange ormai scompattata,inoltre la gia inefficente cavalleria preferì darsi alla fuga piuttosto che combattere.

Mi sembra di avere confuso questa battaglia cn cinoscefale [SM=g27964] [SM=x506685]

[Modificato da Alessandro Magno III 14/07/2006 22.36]

"Desidero che ciascuno di voi, viva felice ed in pace, ora che la guerre stanno per finire.
Tutti gli uomini mortali, da ora in avanti, vivranno uniti in un solo popolo e lavoreranno pacificamente per il bene comune.
Dovrete considerare tutto il mondo come il vostro paese, un paese con il migliore governo possibile, con delle leggi comuni, senza distinzione di razza.
Io non faccio distinzione, come altre menti ottuse fanno, fra Greci e Barbari. Non sono interessato alle origini razziali dei sudditi. Li distinguo solamente sulla base delle loro qualità.
Per me, ogni straniero è un greco ed ogni cattivo greco è un barbaro.
Se ci sono delle differenze fra di voi, non dovete risolverle con le armi, ma con la pace. Se ce ne sarà necessità, io agirò come vostro tramite.
Nn dovete pensare a Dio come a un despota autoritario, ma come ad un padre comune, cosicchè la vostra condotta assomigli a quella di tanti fratelli, che appartengono alla stessa famiglia.
Per quello che mi riguarda, io considero tutti, siano essi bianchi o neri, uguali.
E vorrei che non foste solo sudditi del mio impero, ma anche partecipi alleati.
Dovreste considerare il Giuramento che abbiamo fatto stanotte come un Simbolo di Amore".

Alessandro, dal discorso alle truppe a Babilonia

Avrebbe potuto restarsene a casa in Macedonia, sposarsi, avere una sua famiglia, sarebbe stato celebrato da morto. Ma non era questo Alessandro. Tutta la vita ha combattuto per liberarsi dalla paura e così lottando, così solo, è diventato libero. L'uomo più libero che abbia mai conosciuto. La solitudine crescente e l'impazienza di coloro che non riuscivano a capire furono la sua vera tragedia e se il suo desiderio di riconciliare greci e barbari finì nel baratro del fallimento...e che fallimento, il suo fallimento superò qualunque successo ottenuto dagli altri. Io ho vissuto una lunga vita Kadmo ma gloria e memoria apparterrano per sempre a coloro che seguiranno la propria grande visione e il più grande di questi è colui che ora chiamano Megas Alexandros, Alessandro il grande. (Dal film Alexander)

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15/07/2006 15:10
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Difficile dire chi sia stato il migliore dei due.

Entrambi sono tra i più grandi generali di ogni tempo, entrambi, dobbiamo dirlo, hanno sconfitto generali mediocri o poco più. Annibale sfruttò a proprio favore il dilettantismo dei consoli che sconfisse e le incoerenze del sistema politico-militare romano, Alessandro lo stato di crisi di un impero obsoleto. Quanto all'innovazione, Annibale portò ai massimi livelli le tattiche di Amilcare, Alessandro quelle di Filippo, anche se mi sembra il punico a prevalere, da questo punto di vista, sul macedone.

Annibale non trionfò più contro generali un poco più esperti e perse da un grandissimo. Alessandro non ha mai perso perché non ha mai incontrato un grandissimo. Ed è morto presto, troppo presto.

Ma è stato lui a conquistare un impero. I suoi calcoli, al contrario di quelli di Annibale, erano giusti.

15/07/2006 15:18
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annibale ha perso a zama perchè parte del suo esercito, soprattutto la cavalleria di maarbale, ha disertato prima dell'inizio della battaglia e si è schierata con massinissa...qui è stato colto alla sprovvista e nonostante ciò i 2 eserciti hanno guerraggiato alla pari per molto tempo
15/07/2006 15:59
Re:

Scritto da: Zimisce 15/07/2006 15.10
Difficile dire chi sia stato il migliore dei due.

Entrambi sono tra i più grandi generali di ogni tempo, entrambi, dobbiamo dirlo, hanno sconfitto generali mediocri o poco più. Annibale sfruttò a proprio favore il dilettantismo dei consoli che sconfisse e le incoerenze del sistema politico-militare romano, Alessandro lo stato di crisi di un impero obsoleto. Quanto all'innovazione, Annibale portò ai massimi livelli le tattiche di Amilcare, Alessandro quelle di Filippo, anche se mi sembra il punico a prevalere, da questo punto di vista, sul macedone.

Annibale non trionfò più contro generali un poco più esperti e perse da un grandissimo. Alessandro non ha mai perso perché non ha mai incontrato un grandissimo. Ed è morto presto, troppo presto.

Ma è stato lui a conquistare un impero. I suoi calcoli, al contrario di quelli di Annibale, erano giusti.



ma che stai a di? l'esercito romano non aveva mai perso una battaglia in maniera così totale dai tempi degli etruschi che come contro anniable. annibale non ha vinto perkè contro aveva imbecilli di consoli o altro. Lui era superiore per tattica, strategia , furbizia, innovazione. ti ricordo che con meno di 50.000 uomini fissi e mercenari da quando era in italia ha distrutto 250.000 soldati romani, devastato terre e cittò per 20 anni!

Annibale ha perso solo una battaglia in vita sua, perse una volta sola contro scipione, che era discepolo di annibale in tutti i sensi. Un testo romano dice che Scipione, per imitare annibale, non solo ricopiava le tecniche ma parlava e gesticolava come faceva lui. cercava di entrare nella mente di annibale. La sfiga vuole che annibale perse la battaglia decisiva roma cartagine! se avesse avuto la possibilità di creare un esercito come voleva lui a zama e non come glie l'hanno affibiato dal senato cartaginese, sicuramente avrebbe vinto! Alessandro invece vinse grazie alla debolità nemica che finiva in rotta al primo assalto, veniva rifornito ogni 5 metri dai suoi luogotenenti in tracia e grecia nonchè persia, il suo numero di uomini nell'esercito era sempre costante. i suoi nemici in asia del dopo persia contavano eserciti di 9.000 uomini cadauno incapaci di combattere perkè prelevati dai campi e dalle loro attività di ogni giorno e mandati subito in battaglia senza addestramento minimo militare. La traversata del monte per arrivare all'indo, fu si ad alta quota, ma fatta attraverso un sentiero ben segnato e di facile difficoltà. dove attraversò annibale non esistevano sentieri, li creò annibale con la forza. era usualità dalla gallia per andare in italia e viceversa attraversare la parte via costa oppure pigliare una nave e sbarcare in gallia! mentre il percorso di alessandro esisteva da secoli e lo usavano i cinesi e gli indi per muoversi. annibale salì sino a 4200 metri di altezza attraverso i valichi, alessandro attraversò la sua montagna a 3200 metri di altezza su strada segnalata ed esistente
15/07/2006 16:27
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Re: Re:

Scritto da: davide.cool 15/07/2006 15.59




Un testo romano dice che Scipione, per imitare annibale, non solo ricopiava le tecniche ma parlava e gesticolava come faceva lui. cercava di entrare nella mente di annibale. La sfiga vuole che annibale perse la battaglia decisiva roma cartagine! se avesse avuto la possibilità di creare un esercito come voleva lui a zama e non come glie l'hanno affibiato dal senato cartaginese, sicuramente avrebbe vinto!


Se glielo dico a P.Scipion ti buca le ruote della macchina [SM=g27964]


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Siamo il primo Impero Galattico!
Siamo un Impero che continuerà a essere governato da questo nobile consesso!
Siamo un Impero che non ripeterà i maneggi politici e la corruzione che ci hanno feriti così profondamente!
Siamo un Impero che sarà governato da un unico sovrano eletto a vita!
Siamo un Impero governato da una maggioranza!
Un Impero governato da una nuova costituzione!
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15/07/2006 16:32
Re: Re: Re:

Scritto da: TGD5511 15/07/2006 16.27

Se glielo dico a P.Scipion ti buca le ruote della macchina [SM=g27964]



me ricordo che mesi fa, dovevo andare a casa sua con na ventina di elefanti corazzati il problema è che nel raccordo anulare ce sta il traffico e gli elefanti e spaventano co i claxon che suonano! poi ando li parcheggi na volta a roma? circo massimo? ai parioli? ar colosseo? boh
15/07/2006 19:20
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24/01/08 L'Italia è morta, W l'Italia paese di idioti.

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Se Dio esiste perchè esistono i Finley, i Tokio Hotel, i catt..., i legh..., i fasc... e gli Emo?
15/07/2006 20:04
piuttosto li parcheggio a casa de luca giurato
15/07/2006 21:05
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Ma guarda che non è mia intenzione sminuire la grandezza di questo generale, forse il più grande dell'Antichità... però (c'è sempre un però) le grandi battaglie vinte da Annibale sono tutte contro generali mediocri, per non dire peggio... non ricordo massacri contro il cunctator, o Marcello, per non parlare di Claudio Nerone... è vero che la strategia romana li aiutava... però bisogna ammettere che l'unico grande generale affrontato da Annibale lo ha battuto.

E' vero, Scipione è il primo e più grande allievo di Annibale. Un altro punto a favore del punico.

15/07/2006 21:34
allenamento esercito romano

Il termine esercizio copre attività molto diverse. L'allenamento era di due tipi: quello praticato individualmente e quello collettivo. Nel primo caso, l'obiettivo era di assicurare al soldato romano la superiorità sul nemico anche nel combattimento corpo a corpo e a mani nude.

I combattenti cominciavano col fare ginnastica, che era praticata o in tenuta sportiva, o con il proprio equipaggiamento, o caricandosi di pesi supplementari. L'allenamento comprendeva anche il nuoto, non di rado, in missione, capitava di dover attraversare fiumi o paludi, e l'equitazione. Poi il soldato passava ad attività più professionali, più militari e, essenzialmente, al maneggio delle armi.

Si allenava schermando contro un palo, il palus. Si abituava a lanciare dardi, frecce e giavellotti, nonché pietre, ma anche a difendersi dal riceverne. Imparava quindi a maneggiare la fionda e utilizzare l'arco.

Una volta che il soldato aveva acquisito un minimo di forza fisica e di destrezza nell'uso della spada e del giavellotto, poteva passare a un secondo livello di esercizio, le attività collettive.

Scopo principale dell'esercizio, infatti, era di imparare ai soldati a manovrare in unità costituite. Data l'enorme importanza di questa attività, questa non veniva lasciata alla buona volontà di ognuno.

I quadri controllavano regolarmente il livello di preparazione delle truppe. Tutte le mattine, essi procedevano all'ispezione: ogni centurione era responsabile della propria unità; un tribuno doveva vegliare su due coorti, e un legato sulla sua legione; questo movimento dà luogo a una valanga di rapporti.

A volte, era un generale che effettuava il giro delle guarnigioni di un settore: esaminava lo stato delle fortificazioni, faceva il conto delle riserve di viveri e verificava i ruoli degli effettivi, e si assicurava che le esercitazioni avvenivano regolarmente.

Alle dipendenze dei quadri (legato-tribuni-centurioni), alcuni graduati erano specializzati nella preparazione dell'esercizio. Normalmente, la presidenza di questa attività era affidata a un evocatus decorato, che svolgeva la funzione di istruttore principale.

Bisognava che ognuno sappesse qual era il suo posto nella formazione di combattimento, dove, quando e come doveva muoversi senza nuocere alla coesione della sua centuria. Le esercitazioni di gruppo consistevano essenzialmente in continui allenamenti di marcia, simulazioni di manovre eseguite in sincronia dai manipoli dietro le insegne che seguivano le indicazioni scandite dalle trombe e dai corni.

I singoli manipoli, e le centurie, si allenavano a eseguire manovre in sincronia come la formazione a testugine in cui tutti i soldati serrati dovevano portare lo scudo sopra le teste e quelli di prima linea tenerlo in modo da formare una barriera, altre manovre per sincronizzare l'apertura o la chiusura delle ranghi, o il contemporaneo assalto in linea con le lance o le spade.

Gli ufficiali facevano realizzare anche simulazioni di battaglia, fanti contro fanti, o contro cavalieri, e vere simulazioni, in cui l'esercito diviso in due riproduceva un autentico scontro campale. E nepure la marina non sfuggiva a questo imperativo; di tanto in tanto, le navi venivano raggruppate e si preparano alla guerra di squadra.

Le esercitazioni avvenivano prevalentemente all'aperto, nella Roma repubblicana nel Campo di Marte (Campus Martius), ma con l'estendersi delle conquiste, e l'inserimento nell'esercito di giovani che abitavano sempre più lontano dall'Urbe, fu necessario trovare nuove soluzioni, e organizzare queste attività sia nelle città di reclutamento sia nei pressi dei campi fissi dove le legioni erano stanziate. Ma avvenivano anche in basiliche (da non confondere con l'attuale significato dato a basilica, termine associato in seguito a luogo di culto), in costruzioni appositamente attrezzate a questo scopo o in anfiteatri. Il terreno per le esercitazioni era affidato a un graduato che portava il titolo di campidoctor, e al suo subordinato, il doctor cobortir.

La scherma, dipende dal talento di un doctor armorum, mentre le evoluzioni della cavalleria richiedono la presenza di scudieri particolarmente competenti, l'exercitator e il magister campi.

Tutta una gerarchia era dunque chiamata a controllare lo svolgimento delle esercitazioni
16/07/2006 00:11
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Fatemi parlare pure a me va [SM=g27964]

Secondo me, Annibale ed Alessandro non possono essere paragonati in termini "chi è stato il più grande" semplicemente perchè non affontarono mai gli stessi nemici e le stesse situazioni dell'altro. Inoltre bisogna fare un'ulteriore distinzione tra loro: Alessandro è stato uno degli ultimi "re guerrieri" appartenenti ad una società ed una cultura che si considerava massima realizzazione l'eguagliare le gesta degli eroi mitologici, mentre Annibale è più vicino ad un condottiero moderno i cui obbiettivi sono rafforzare Cartagine. Sebbene anche il punico fosse un discreto combattente, raramente lo si vede impegnato nelle mischie mentre Alessandro guida sempre i suoi cavalieri in prima linea.
Entrambi i condottieri svilupparono i modi di combattere delle loro epoche: il macedone si trovò a combattere in un tempo in cui le più eclatanti rivoluzioni in ambito militare erano state le tattiche tebane e la falange di Filippo (in pratica le battaglie si risolvevano ancora con due blocchi di fanteria che si scontravano frontalmente finchè uno dei due cedeva) e quindi il suo usare in modo così aggressivo la calleria fu un enorme passo avanti. Annibale invece riuscì nell'impresa di far combattere in condizioni sfavorevoli le legioni romane, che dalle guerre sannite avevano la caratteristica di essere corpi molto flessibili e manovrabili, usando anche lui in modo innovativo la cavalleria e proponendo nuovi schieramenti per la fanteria.
Sul piano tattico ritengo che Annibale fosse decisamente superiore ad Alessandro: non mi rimetto a descrivere le battaglie della Trebbia, del Trasimeno e Canne, visto che c'ha già abbondantemente pensato Davide [SM=g27964] , ALessandro sconfisse eserciti più numerosi, ma di qualità nettamente inferiore a quelle romano (se si escludono i legionari che combatterono a Canne) e poi a Gaugamela commise un gravissimo errore nel persistere nello sfondamente.....se Dario non fosse fuggito, i persiani avrebbero sconfitto le falangi di Parmanione e poi fatti a pezzi i macedoni.

Alcuni di voi dicono: "Annibale però quando ha incontrato un generale con non fosse un inetto è stato sconfitto". Vi invito a riflettere meglio sulla figura di Scipione l'Africano, egli altri non era che l'emulo e l'ammiratore di Annibale che riuscì a migliorare ulteriormente le tattiche del Cartaginese: nella battaglia dei Campi Magni (vicino Utica) egli schierò le sue legini in modo classico: prima linea di Astati, poi principi e poi triari e con la cavalleria sui fianchi. La sua cavallerie ebbe facile gioco di quella punica ma, invece di prendere a quel punto sul retro, le era stato ordinato di inseguire ad oltranza i nemici. L'innovazione di scipione stette nell'aggirare le linee cartaginesi con i principi e con i triari mentre erano tenute occupate dagli astati.
Questa fu la rivoluzioni scipionica. Ma già a Zama Annibale aveva pronto una contromossa a questa tattica: schierare il suo esercito su tre file con l'ultima, composta dai veterani d'Itaia lasciata più indietro. Proprio nella sconfitta si dimostrò la superiorità di Annibale: visti fallire i suoi piani, Scipione si vide costretto a combattere una battaglia di logoramento che non avrebbe potuto vincere e si salvò solo grazie al fatto che Lelio e Massinisia si "stufarono" dell'inseguimente della cavalleria nemica e tornaro indietro prendendo i veterani alle spalle.

Il vero punto debole dei due generali è forse la capacità strategica: la scuola ci insegna che Annibale dopo Canne commise l'errore di non assediare Roma (cosa che non avrebbe counque potuto fare) e di passare troppo tempo a Capua, ma mi pare che anche qui Davide abbia già spiegato come non avrebbe potuto fare altrimenti. Alessandro d'altro canto si lanciò nel folle progetto di conquistare l'India (dove peraltro fu sconfitto...) e se non si può considerare un grave errore strategico questo....

Chiudo il lungo discorso dicendo con queste frasi sibilline ( [SM=g27964] ) Alessandro fu l'ultimo eroe, Annibale il più grande condottiero dell'antichità.


PS scusate la forma in cui ho scritto sta roba ma io avevo cominciato volendo scrivere un paio di righe e poi sono sfociato in questo in un ora così tarda [SM=g27964]


EDIT: confuso Massinisia con Maarbale [SM=g27964]

[Modificato da AsTiNuS of PaLaNThaS 16/07/2006 1.03]




"Chi vede la propria morte può evitarne il cammino. Chi vede la morte altrui può rendersene il fautore"



"Vengeace" His voice was soft, as if he were afraid that someone might be listening.
"Justice" [...] he pressed the onyx dragon into her palm [...] "Fire and blood"

-G.R.R. Martin
16/07/2006 00:32
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Re:

Scritto da: AsTiNuS of PaLaNThaS 16/07/2006 0.11
Scipione si vide costretto a combattere una battaglia di logoramento che non avrebbe potuto vincere e si salvò solo grazie al fatto che Lelio e Maarbale si "stufarono" dell'inseguimente della cavalleria nemica e tornaro indietro prendendo i veterani alle spalle.

Il vero punto debole dei due generali è forse la capacità strategica: la scuola ci insegna che Annibale dopo Canne commise l'errore di non assediare Roma (cosa che non avrebbe counque potuto fare) e di passare troppo tempo a Capua, ma mi pare che anche qui Davide abbia già spiegato come non avrebbe potuto fare altrimenti. Alessandro d'altro canto si lanciò nel folle progetto di conquistare l'India (dove peraltro fu sconfitto...) e se non si può considerare un grave errore strategico questo....

[SM=g27964]


Prendendo le veci del vacanziero P.Scipion dico che non si può attribuire la vittoria alla fortuna, dal momento che la cavalleria era comunque parte dello schieramento


----------------------------------------

"Per garantire che resteremo sempre uniti, che parleremo sempre con un'unica voce e che agiremo con un'unica mano la Repubblica dovrà cambiare. Dobbiamo evolverci, dobbiamo crescere. Siamo diventati un Impero di fatto, diventiamo un Impero anche di nome!
Siamo il primo Impero Galattico!
Siamo un Impero che continuerà a essere governato da questo nobile consesso!
Siamo un Impero che non ripeterà i maneggi politici e la corruzione che ci hanno feriti così profondamente!
Siamo un Impero che sarà governato da un unico sovrano eletto a vita!
Siamo un Impero governato da una maggioranza!
Un Impero governato da una nuova costituzione!
Un Impero di leggi,non di politici!
Un Impero votato alla salvaguardia della società onesta. Di una società unita e sicura!
Siamo un Impero che durerà diecimila anni!"

Discorso di Creazione dell'Impero, 19 BBY
Imperatore Palpatine



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Re: Re:

Scritto da: TGD5511 16/07/2006 0.32

Prendendo le veci del vacanziero P.Scipion dico che non si può attribuire la vittoria alla fortuna, dal momento che la cavalleria era comunque parte dello schieramento


mi rendo conto solo ora di essermi espresso assai male....m i spiego meglio: gli oordini che scipione assegnò alla cavalleria furono gli stessi che gli diede ai Campi Magni: inseguire il nemico. QUesto perchè era convinto di aggirare i cartaginesi con la sola fanteria e così preferiva assicuararsi che la cavalleria nemica non si raggruppasse e prendesse i suoi uomini alle spalle. Visto vanificato il suo piano scipione fu costretto a richiamare in tutta fretta i suoi cavalieri. Il genio di Annibale fu riuscire a volgere a suo favore anche una situazione in cui per la prima volta si trovava con la cavalleria inferiore a quella romana e fu sconfitto solo grazie al rapido ritorno di Massinisia e di Lelio, che scipione aveva schierato malamaente



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16/07/2006 13:20
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ho gia detto piu volte su annibale sn un po ignorante qualcuno potrebbe dirmi che genere di consoli(sul piano strategico e militare)affrontò il punico e soprattutto che genere di eserciti affrontò?.
"Desidero che ciascuno di voi, viva felice ed in pace, ora che la guerre stanno per finire.
Tutti gli uomini mortali, da ora in avanti, vivranno uniti in un solo popolo e lavoreranno pacificamente per il bene comune.
Dovrete considerare tutto il mondo come il vostro paese, un paese con il migliore governo possibile, con delle leggi comuni, senza distinzione di razza.
Io non faccio distinzione, come altre menti ottuse fanno, fra Greci e Barbari. Non sono interessato alle origini razziali dei sudditi. Li distinguo solamente sulla base delle loro qualità.
Per me, ogni straniero è un greco ed ogni cattivo greco è un barbaro.
Se ci sono delle differenze fra di voi, non dovete risolverle con le armi, ma con la pace. Se ce ne sarà necessità, io agirò come vostro tramite.
Nn dovete pensare a Dio come a un despota autoritario, ma come ad un padre comune, cosicchè la vostra condotta assomigli a quella di tanti fratelli, che appartengono alla stessa famiglia.
Per quello che mi riguarda, io considero tutti, siano essi bianchi o neri, uguali.
E vorrei che non foste solo sudditi del mio impero, ma anche partecipi alleati.
Dovreste considerare il Giuramento che abbiamo fatto stanotte come un Simbolo di Amore".

Alessandro, dal discorso alle truppe a Babilonia

Avrebbe potuto restarsene a casa in Macedonia, sposarsi, avere una sua famiglia, sarebbe stato celebrato da morto. Ma non era questo Alessandro. Tutta la vita ha combattuto per liberarsi dalla paura e così lottando, così solo, è diventato libero. L'uomo più libero che abbia mai conosciuto. La solitudine crescente e l'impazienza di coloro che non riuscivano a capire furono la sua vera tragedia e se il suo desiderio di riconciliare greci e barbari finì nel baratro del fallimento...e che fallimento, il suo fallimento superò qualunque successo ottenuto dagli altri. Io ho vissuto una lunga vita Kadmo ma gloria e memoria apparterrano per sempre a coloro che seguiranno la propria grande visione e il più grande di questi è colui che ora chiamano Megas Alexandros, Alessandro il grande. (Dal film Alexander)

Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno(Giovanni Falcone)
16/07/2006 14:53
LA BATTAGLIA DEL TICINO
Mentre Annibale era quasi alla sorgente del Rodano, CORNELIO SCIPIONE era alla
foce, e dopo il sanguinoso combattimento tra cavalieri romani e cartaginesi si
era mosso con tutte le sue truppe alla ricerca di Annibale, ma quando
finalmente giunse sulla riva sinistra del fiume, dove i Cartaginesi avevano
posto l'accampamento, trovò questo abbandonato e seppe che il nemico era
partito da tre giorni.
Disperando di poterlo raggiungere, ritornò a Massilia (Marsiglia) e qui
giunto, inviò il fratello GNEO SCIPIONE (di cui parleremo più avanti) con la
maggior parte dell'esercito in Spagna a proteggere le popolazioni amiche di
Roma e a infastidire Asdrubale; poi con le poche forze che gli rimanevano,
questa volta via di mare raggiunse Pisa pensando di unirsi agli eserciti di
Torquato e di Attilio, che si trovavano presso il Po, e di attaccare Annibale
stanco e stremato dal difficile passaggio delle Alpi.
Giunto a Pisa, il console iniziò la sua marcia attraverso l'Etruria e,
valicati gli Appennini, giunse nelle vicinanze di Piacenza. Riunite le sue
truppe con quelle dei pretori, composte la maggior parte di reclute e provate
per giunta dalla guerra che avevano dovuto sfavorevolmente sostenere con i
Galli ribelli, SCIPIONE assunse il comando dell'esercito e, passato il Po,
pose il campo tra il Ticino e la Sesia e sul Ticino fece costruire un ponte.
Annibale intanto, giunto nella pianura aveva provato una delusione. Partendo
dalla Spagna, aveva sperato negli aiuti dei Galli cisalpini ed invece questi,
intimoriti forse dalla presenza di Scipione, si mostravano dubbiosi mentre i
Taurini non nascondevano il proposito di sbarrargli il passo. Costretto dal
contegno ostile di questi ultimi, Annibale ingaggiò con loro battaglia, li
sconfisse, conquistò la principale città della regione, poi avanzò avendo
sicure le spalle, verso il Ticino ed, approfittando dell'inerzia dell'esercito
consolare, mandò MAARBALE con cinquecento cavalieri della Numidia a
saccheggiare i territori abitati da popolazioni amiche di Roma e a persuadere
i capi dei Galli a schierarsi dalla parte dei Cartaginesi.
Avendo però saputo che Scipione era penetrato nell'Insubria (nell'odierno
Milanese) e si era accampato presso gli alloggiamenti cartaginesi, richiamò
Maarbale e si preparò a sostenere l'urto dei Romani.
Secondo la narrazione di TITO LIVIO, Annibale, radunato l'esercito, promise a
ciascun soldato come premio della vittoria terre in Italia, in Spagna e in
Africa e molti denari, promise agli alleati la cittadinanza cartaginese, ai
servi la libertà, e ai padroni, per ogni servo liberato, due prigionieri. E,
per mostrare che avrebbe mantenuto le promesse sollevò con la sinistra un
agnello, impugnò con la destra una grossa selce indi, pregate le divinità di
dargli la morte che stava per dare all'agnello se mancava di parola, schiacciò
con la pietra la testa dell'animale.
Secondo lo stesso Livio, uno dei giorni che precedettero la battaglia, un lupo
penetrò nel campo romano e, feriti alcuni soldati, riuscì a fuggire illeso.
Nel medesimo tempo uno sciame di api si posò sopra un albero che sovrastava la
tenda del console. Questi fatti furono interpretati come infausti auguri e si
narra che misero lo sgomento tra le truppe romane.
Finalmente il giorno della grande battaglia giunse. Scipione mise in prima
linea i veliti e la cavalleria e, dietro le fanterie; Annibale pose al centro
del suo schieramento la cavalleria iberica e la fanteria, e alle due ali
estreme i cavalieri della Numidia (attenzione a questi ultimi!)
Non appena fu iniziato il combattimento i veliti, urtati violentemente dalla
cavalleria nemica, si ritirarono sulla seconda linea e la battaglia continuò
fra le due opposte cavallerie per un certo tempo e sempre con esito incerto e,
siccome lo spazio era ristretto, e mano a mano che il combattimento si
svolgeva i pedoni s'interponevano fra i cavalieri, questi erano stati
costretti a smontare di sella e a combattere pure loro a piedi.
Con la stessa energia si combatteva da una parte e dall'altra. Lo scontro era
più acceso che mai, ma senza dominare l'una o l'altra, quando Annibale ordinò
ai cavalieri della Numidia, i quali formavano le estremità delle ali, di
sganciarsi da queste, di aggirare quasi inosservati, perché posti alle
estremità, dalla destra e dalla sinistra l'esercito romano al centro, e poi
attaccarlo alle spalle.
La mossa fu decisiva e riuscì perfettamente, causando un macello, e mettendo
nello scompiglio le legioni consolari. Pure SCIPIONE fu ferito e sarebbe stato
ucciso se un servo o - come altri antichi storici narrano - il figlio
diciassettenne (che in seguito diventerà famoso) non avesse protetto con il
proprio corpo il padre.
Attorno al console si strinse la cavalleria romana, la quale, vista la
giornata infausta, senza cessare di combattere, lentamente ripiegò verso il
campo, portando in salvo Scipione.

BATTAGLIA DELLA TREBBIA

La cavalleria di Annibale, superiore numericamente alla romana, aveva deciso
le sorti della battaglia. Per non esser costretto a scontrarsi ancora in
pianura con i Cartaginesi, Scipione, durante la notte, levò il campo e,
riattraversato il Po, scese a rifugiarsi a Piacenza.
Annibale, accortosi troppo tardi della ritirata nemica, lanciò
all'inseguimento la
cavalleria iberica al comando di MAGONE, poi lui stesso si mosse con il grosso
dell'esercito e, giunto nella Gallia Cispadana, si accampò a sei miglia da
Piacenza. '
Il suo arrivo presso l'accampamento di Scipione provocò la defezione di
numerosi Galli che militavano sotto le insegne consolari: duemila fanti e
duecento cavalieri Galli, massacrate le sentinelle, passarono al nemico, che,
accolti con calore, li inviò nei loro rispettivi paesi per portare le buone
novelle e così sollevare gli abitanti contro Roma.
Questo fatto preoccupò non poco Scipione. Lasciata di notte Piacenza, passò la
Trebbia e si rafforzò sulle colline che sorgono presso la sinistra del fiume,
e dove Annibale lo seguì.
La notizia dell'infelice battaglia del Ticino era giunta a Roma e il Senato
aveva scritto al console SEMPRONIO, che si trovava in Sicilia, di portare
aiuto, appena possibile al collega. Sempronio accettò malvolentieri
quest'ordine: le cose, nell'isola, andavano felicemente per i Romani; una
piccola flotta cartaginese era stata sconfitta nelle acque di Lilibeo e Malta
si era arresa con i duemila Cartaginesi della guarnigione. Ma la sua presenza
era reclamata altrove e Sempronio, lasciata la difesa della Sicilia alle cure
del pretore EMILIO, attraverso lo Jonio e l'Adriatico, sbarcò a Rimini, poi
raggiunse il collega Scipione sulla Trebbia.
Annibale, approfittando dello stallo delle truppe romane di Scipione che
attendeva i rinforzi di Sempronio, aveva risolto bene il suo problema del
vettovagliamento impadronendosi di Clastidio, dove c'erano i magazzini di
viveri dei Romani, ma ora, temendo che i suoi rinforzi gallici intimoriti
dall'arrivo di Sempronio, si schierassero dalla parte dei Romani, inviò
duemila fanti e mille cavalieri a fare scorrerie nel territorio posto tra la
Trebbia e il Po allo scopo di intimorire gli abitanti e costringerli a sposare
la sua causa.
Ma ottenne l'effetto contrario. I Galli chiesero protezione ai Romani e
Sempronio, contro il parere del collega, inviò la sua cavalleria con mille
pedoni, i quali sorpresi i Cartaginesi sparpagliati e carichi di bottino,
parte ne uccisero, parte inseguirono fin sotto il campo nemico presso il quale
si accese una violenta mischia favorevole ai Romani.
Questa però altro non era che il preludio della grande battaglia che doveva
esser combattuta di lì a poco.
L'iniziativa fu presa da Annibale. Mise suo fratello Magone con mille uomini
scelti in agguato fra le macchie in mezzo cui scorreva un piccolissimo
affluente di destra della Trebbia, fece accendere nel campo dei grandi fuochi
intorno ai quali ordinò che le sue truppe si scaldassero e mangiassero,
comandò inoltre che i soldati si ungessero il corpo con olio per resistere
meglio al freddo e, infine, inviò un corpo di cavalieri Numidi sulla sinistra
della Trebbia con l'ordine di attaccare le truppe dei consoli e, poco dopo,
simulata una fuga, di ripassare il fiume.
Era una giornata rigidissima; durante il giorno era piovuto e la Trebbia si
era ingrossata; nella notte cadeva fitta la neve. I legionari si trovavano
dentro il loro campo quando improvvisamente questo fu assalito dai cavalieri
di Annibale.
Piuttosto che tenersi sulla difensiva, come avrebbe voluto Scipione,
Sempronio, mandò contro il nemico, tutta la cavalleria di cui disponeva
(seimila uomini), poi il resto delle truppe di fanteria, composta di
diciottomila Romani, ventimila Italici e alcune schiere di Cenomani.
I Numidi dopo una piccola schermaglia, volsero le spalle, i Romani li
inseguirono e, benché digiuni, si misero nell'acqua e passarono il
fiume.Quando giunsero oltre la sponda opposta erano sfiniti di forze e
intirizziti dall'acqua che si era gelata sui loro corpi.
Annibale intanto aveva disposto a battaglia le sue truppe: in prima linea
ottomila tra frombolieri e sagittari delle Baleari e soldati armati alla
leggera, nella seconda tutta la fanteria; alle due ali gli elefanti e circa
diecimila cavalieri.
Appena ripassata la Trebbia, i cavalieri Numidi si rivolsero contro i
legionari e cominciarono a tener loro testa, per questo motivo, Sempronio
ordinò alla sua cavalleria di raccogliersi presso le fanterie.
Allora Annibale diede ai suoi il segnale della battaglia; primi ad ingaggiarla
furono i Balearici e gli armati alla leggera, ma, resistendo al loro attacco
le legioni e cominciando queste ad avere il sopravvento, quelli si recarono
verso le ali, scoprendo la fanteria di Annibale.
Anche se digiuni e intirizziti dal freddo, i fanti romani si battevano
coraggiosamente, tenendo a bada la fanteria avversaria. Con non minore valore
combattevano i cavalieri, quantunque si trovassero di fronte ad un numero
quasi doppio di cavalieri nemici; ma presi di fianco dai Balearici
cominciarono a cedere. Annibale lanciò addosso alla cavalleria romana i suoi
elefanti ma non ottenne il risultato che si era ripromesso perché da squadre
specialmente addestrate a imbizzarrire i pachidermi, furono ributtati indietro
ed avrebbero riportato il disordine nelle schiere cartaginesi se un tempestivo
intervento di Annibale non li avesse rivolti contro i Cenomani.
Fu allora che entrarono in azione i mille di MAGONE alle spalle dei Romani;
questi, circondati dalla cavalleria avversaria, con il fiume dietro e i fanti
di Annibale davanti, dopo energica e lunga resistenza, benché sfiniti dalla
fatica, dalla fame e dal freddo, tentarono di liberarsi dalla stretta. Un
corpo di diecimila Romani, operando più che con il valore con la disperazione
contro i Cartaginesi, si aprì un varco causando una grande strage di nemici,
ma, poiché non poteva tornare indietro al campo a causa del fiume alle loro
spalle, né poteva soccorrere gli altri, si diresse alla volta di Piacenza.
Quelli che rimasero, cercarono pure loro di rompere il cerchio che li
stringeva e molti riuscirono a raggiungere il campo, altri si dispersero per
le campagne, e altri ancora, tentando di passare a guado la Trebbia, furono
travolti dalla corrente, morti assiderati dall'acqua gelida, o uccisi dai
nemici.
Il tempo orribile, la fatica e le numerose perdite subite non permisero
all'esercito di Annibale di sfruttare la vittoria, e ritiratosi negli
alloggiamenti non osò molestare durante la notte i resti dell'esercito romano,
che condotto da SCIPIONE, dopo aver passato il fiume, raggiunta Piacenza, si
trasferì a Cremona.

GNEO SCIPIONE IN SPAGNA

Alla notizia della sconfitta della Trebbia a Roma - come al solito- furono
fatti solenni sacrifici agli dei; ma non erano le geremiadi, i piagnistei, gli
atti di devozione e le immolazioni a far cambiare la situazione; credendo poco
agli dei e di più alla forza, molto più pragmatico il Senato si affrettò a
chiamare sotto le armi quattro legioni e radunò nel porto di Ostia centoventi
navi, affinché si tenessero pronte a impedire che dalla Spagna o dall'Africa
giungessero, per mare, rinforzi di truppe ad Annibale.
Né queste navi rimasero a lungo oziose, perché, infatti, una flotta
cartaginese comandata da Annone, raccoltasi nelle acque della Sardegna, tentò
dall'isola di avvicinarsi alle coste dell'Etruria, ma fu dalle navi romane
costretta a rinunciare e far ritorno nei porti d'Africa.
Così Annibale non ruscì a ricevere dalla patria per via di mare nessun aiuto,
né poteva sperarlo dalla Spagna dove - come si è detto - si era recato GNEO
SCIPIONE.
Questi, sbarcato nella costa Iberica, si era impadronito di Ampurias, poi un
po' con la forza, un po' con un accorta politica, aveva rinnovato le antiche
alleanze, ne aveva contratte di nuove ed aveva indotto i rivieraschi e gli
abitanti dell'interno a fornirgli uomini che aveva, in seguito, addestrati
alle armi. Marciando poi contro ANNONE - il quale si era proposto di
contrastare con le armi l'azione di Scipione - lo aveva sconfitto e fatto
prigioniero, uccidendo seimila Cartaginesi, catturando duemila prigionieri e
impadronendosi del campo con un ricco bottino.
A sbarrare il passo al condottiero romano era però corso dalla Spagna
meridionale ASDRUBALE con ottomila fanti e mille cavalieri. Passato l'Ebro,
aveva sorpreso presso Taracona i contingenti sbarcati delle navi nemiche e li
aveva costretti, a rifugiarsi sulle stesse, infliggendo rilevanti perdite; ma,
temendo l'avvicinarsi di Scipione, si era affrettato a ripassare l'Ebro, poi,
tornato una seconda volta, era riuscito ad attirare a sé alcune popolazioni
con cui Scipione aveva stretto amicizia. La reazione di GNEO era stata
immediata ed aveva riconquistato tutta la regione tra l'Ebro e i Pirenei; gli
Illergeti ribelli erano stati sconfitti e sottomessi, assediata ed espugnata
la città di Atanagia, invaso il territorio degli Ausetani e -dopo un mese di
assedio- costretta alla resa la loro capitale.

Scipione lo abbiamo lasciato a Cremona, mentre Roma sgomenta con la disfatta
alla "Trebbia" doveva decidere in fretta cosa fare; con la fuga dal Po delle
legioni ROmane, ora Annibale aveva la porta spalancata sugli Appennini.

[Modificato da davide.cool 16/07/2006 15.07]

16/07/2006 14:59
BATTAGLIA DEL TRASIMENO (217 a.C.)
Dopo la sconfitta e la fuga delle legioni nella "battaglia della Trebbia",
SCIPIONE, passato il Po, raggiunta Piacenza, si era poi trasferito a Cremona.
Come abbiamo già detto nel precedente capitolo, dopo questa "sventura", a Roma
- come il solito- furono fatti solenni sacrifici agli dei (perfino umani,
seppellendo vivi una coppia di Galli); ma non erano le geremiadi, i
piagnistei, gli atti di devozione e le immolazioni a far cambiare la
situazione che era molto critica; ora Annibale aveva le porte aperte verso
l'Appennino, raggiunto il quale, chi poteva fermarlo se decideva di scendere a
Roma? Credendo poco agli dei e di più alla forza, molto più pragmatico il
Senato si affrettò a chiamare sotto le armi quattro legioni
Nelle elezioni del 217 a.C., Roma elesse consoli CAJO FLAMINIO II e GNEO
SERVILIO GEMINO. Il secondo fu inviato ad Arimino (Rimini) allo scopo di
sbarrare con il suo esercito il passaggio dei nemici lungo la costa adriatica,
il primo fu invece inviato nelle vicinanze di Arezzo per custodire i varchi
dell'Appennino e impedire all'esercito di Annibale di penetrare nell'Etruria.
Ma lo scaltro condottiero cartaginese, che non voleva combattere nei luoghi
scelti dal nemico, scese nell'Italia centrale dall'Appennino ligure attraverso
la valle del Serchio. Fu una marcia faticosa e disastrosa, e la traversata
delle maremme del Valdarno inferiore costò ai Cartaginesi perdite non
indifferenti di uomini e di animali. Annibale stesso soffrì molto, e
ammalatosi, perse -non si sa come- un occhio.
Solo quando giunse nel fertile, sano e ricco territorio tra Fiesole ed Arezzo,
l'esercito barbaro riuscì finalmente a riposarsi e a rifarsi dalle logoranti
fatiche.
Scopo di ANNIBALE era costringere FLAMINIO a muoversi e ad attaccarlo, prima
che SERVILIO, appresa la sua discesa in Etruria, si muovesse da Rimini per
congiungersi con il collega. E siccome conosceva il carattere impaziente
dell'ambizioso console e sapeva che questi, malvisto dal Senato, desiderava
procurarsi gloria - ma non aveva la virtù della prudenza, un difetto che fu
causa degli insuccessi avuti anni prima nella guerra contro i Galli- ANNIBALE
lo stuzzicava devastando ed incendiando i territori dove passava.
Nell'agire così, Annibale riuscì a raggiungere lo scopo. Giunto tra il lago
Trasimeno e i monti di Cortona, il Cartaginese si fermò ad aspettare nella
trappola che gli stava preparando, il vanaglorioso Romano. Il luogo era fatto
apposta per un agguato: tra i monti e il lago corre uno stretto passaggio, che
sbocca a sud in una pianura circondata da colline. Il gran capitano appostò
alle falde di alcuni di questi colli, all'imbocco settentrionale del passo, la
cavalleria, abilmente mascherandola; scaglionò sulle colline cortonesi i
soldati delle Baleari e le truppe armate leggere, mentre lui, con il grosso
dell'esercito composto di Africani e Spagnoli, si accampò bene in vista nella
pianura.
Sembra incredibile l'ingenuità del romano, eppure Flaminio, con la sua
imprudenza, cadde nel banale tranello. Non potendo sopportare che il nemico
devastasse l'Etruria e poi procedere indisturbato verso Roma, disdegnando il
saggio parere di coloro che consigliavano di aspettare Servilio, ordinò
all'esercito di seguire Annibale, poi dopo averlo visto mettere il campo così
bene in vista nella pianura, ordinò di schierarsi per dargli battaglia. Né si
curò di certi segni nefasti avvenuti prima della partenza. Gli si annunziava
che lo stendardo pur con la fatica non si riusciva a conficcarlo al suolo; lui
rispose: "Che adoperino la zappa se per la paura hanno le mani affaticate".
Altro segnale -si narra- che mentre lui balzava a cavallo, questo
imbizzarritosi, lo fece capitombolare al suolo. Non importa i presagi e tante
simili sciocchezze; si deve partire lo stesso, e si parte.
L'esercito romano giunge al lago sul far della sera e si ferma. Il giorno
dopo, prima ancora che spunti l'alba e senza mandare in giro gli esploratori
(che avrebbero potuto scoprire le forze appostate nei dintorni), FLAMINIO
impartì l'ordine di muoversi. Le legioni marciano attraverso lo stretto
passaggio tra il lago e i monti; quando l'avanguardia è appena sboccata nella
pianura e la retroguardia ha appena finito di penetrare nell'imbocco, questo è
sbarrato dalla cavalleria nemica.
A quel punto al centro della pianura Annibale dà il segnale della battaglia e
da tre parti si corre ad assalire impetuosamente l'esercito romano.
Quel giorno una nebbia bassa ricopriva il campo e toglieva la vista ai Romani,
i quali, colti alla sprovvista e udendo da ogni parte le grida dei nemici, non
sanno neppure da che punto voltarsi per difendersi, se dietro, davanti, al
lato destro o a quello sinistro, né hanno il tempo di schierarsi e tirare
fuori le armi.
Ciononostante, nello sbigottimento generale, FLAMINIO mantiene una calma
ammirevole e fornisce prove di grandissimo coraggio. Ordina, nel caos, come
meglio e dove può, la calma alle schiere e prega, conforta, comanda che si
stia saldi e si combatta senza angoscia e va affermando che la salvezza è
soltanto riposta nel valore e nelle armi e che è inutile pregare gli dei o
fare voti; che occorre aprirsi la via con il ferro, ed è minore il pericolo
dov' è minore la paura.
Ma il tumulto e il rumore impediscono ai soldati di riconoscere perfino le
insegne e le proprie schiere, ed è così fitta la nebbia che usano più gli
orecchi che non gli occhi; ed è così grande la confusione che c'è appena lo
spazio di sguainare le spade. Alcuni fuggono, ma sono arrestati dai soldati
cartaginesi che hanno sferrato l'attacco, altri fuggiaschi tornando a
combattere sono respinti da altri che fuggono. Infine, visto che non c' è
nessuna speranza di uscire dalla stretta con la fuga, i Romani iniziano
veramente a combattere disperatamente, decisi a vender cara la pelle; ed è
così accanita la mischia e così alto il fragore delle armi che nessuno dei
combattenti avverte in quel preciso istante un terremoto che quel giorno
danneggiò molte città d'Italia.
Tre ore di dura e aspra battaglia, più accanita che altrove è quella che
infuria attorno al console che fa prodigi di valore. Però, ad un tratto, un
Gallo d'Insubria, chiamato DUCARIO, che milita sotto le insegne di Annibale,
lo riconosce e, spronato il cavallo, dà addosso al console; ucciso prima un
soldato che tentava di proteggere il capitano, trapassa con l'asta da parte a
parte FLAMINIO che si abbatte morto al suolo. Non contento di averlo
ammazzato, il Gallo tenta di spogliarlo, ma i triari, ricoprendo il cadavere
del console con gli scudi, lo difendono.
La morte del console segnò il principio della disfatta e della fuga. Molti
cercarono scampo per la via dei monti e caddero uccisi dai nemici, molti altri
perirono miseramente nelle acque del lago, i più caddero con le armi
disperatamente strette in pugno.
I Cartaginesi subirono solo 1500 morti; i Romani 15.000 vittime e altri 15.000
fatti prigionieri: soltanto diecimila riuscirono, approfittando della nebbia e
della confusione, a fuggire e tornare alla spicciolata a Roma a raccontare la
disfatta.
Nella battaglia, all'inizio, quando vi era la nebbia, seimila Romani della
prima schiera, combattendo ordinatamente, erano riusciti a sfondare le file
nemiche dalla parte della pianura; fermatisi sopra un colle, lì rimasero
indecisi non sapendo come andavano le cose, ma a metà giornata dissipatasi la
nebbia videro con i loro stessi occhi, che l'esercito era stato sconfitto e
per non cader prigionieri si erano allontanati. Raggiunti però dalla
cavalleria di Maarbale e ricevuta da questo la promessa che se deponevano le
armi sarebbero stati messi in libertà e in più in regalo una veste a ciascuno
di loro, quelli prestarono fede alle parole del Cartaginese, ma poi giunti al
campo di Annibale, questi li trattenne come prigionieri.
Un corpo di quattromila cavalieri, comandati dal vicepretore CAJO CETRONIO
spediti pochi giorni prima dal console Servilio, giunse al Trasimeno quando
l'esercito di Flaminio era stato distrutto; ripiegarono nell'Umbria, ma,
inseguiti e circondati dalla cavalleria cartaginese, superiore di numero,
buona parte furono uccisi, il resto catturati o fuggiti.
Con la vittoria del Trasimeno, ora la via di Roma era aperta all'esercito di
Annibale.
Si era nell'aprile dell'anno 217.
16/07/2006 15:01
RESISTENZA DI SPOLETO
Dopo la vittoria conseguita alle rive del lago Trasimeno, Annibale trattenne
solo i prigionieri Romani mentre lasciò liberi senza riscatto i prigionieri
italici, dicendo loro che lui era sceso nella penisola per combattere solo
contro Roma e per rendere la libertà a tutte le popolazioni d' Italia.
Così facendo, Annibale sperava di ingraziarsi l'animo dei popoli della
penisola e di riceverne aiuti con i quali potesse poi con maggiore probabilità
di successo assalire Roma.
Fu appunto per questo motivo che, dopo la giornata del Trasimeno, anziché
puntare su Roma - e lo poteva fare perché in quel momento nessun esercito
nemico gli contrastava il passo - si rivolse e marciò verso l'Umbria ed assalì
la città di Spoleto, una forte colonia Romana.
Ma gli Spoletini non si lasciarono sgomentare dalla preceduta fama del
generale nemico né dalla turba innumerevole del suo esercito. Vollero rimanere
fedeli a Roma e difendere la propria libertà; né valsero gli assalti impetuosi
delle orde iberiche, galliche e cartaginesi, le quali furono coraggiosamente
respinte dai cittadini con abbondante lancio di frecce e di sassi dall'alto
delle mura, con olio bollente versato dalle cime delle torri e con audaci
sortite.
A ricordare lo scacco subito dai Cartaginesi, Spoleto denominò una delle sue
porte, quella della fuga di Annibale, e perpetuò il glorioso fatto su una
lapide, la cui epigrafe dice: "Annibale dopo avere sconfitto i Romani al
Trasimeno, respinto da Spoleto con grande strage dei suoi mentre ostilmente
marciava verso Roma, con la memorabile fuga assegnò il nome alla porta".
Fallita l'impresa di Spoleto, Annibale, sperando di trovar minori difficoltà
nell'Italia meridionale e contando sui Sanniti e sui Greci, attraversò
l'Appennino, poi, costeggiando l'Adriatico, per le regioni dei Marsi, dei
Peligni, dei Marrucini e dei Frencani, giunse nell'Apulia e si accampò tra
Arpi e Luceria, aspettando che le popolazioni innalzassero il vessillo della
rivolta.
QUINTO FABIO MASSIMO, IL "TEMPOREGGIATORE"
A Roma, giunta la notizia della disfatta del Trasimeno, si pensò di affidare
le sorti della repubblica ad un dittatore; ma secondo le leggi poiché il
console che doveva crearlo, era assente, né si poteva aspettare che tornasse,
fu, dietro proposta del Senato, creato dai comizi centuriati un prodittatore
nella persona del patrizio QUINTO FABIO MASSIMO al quale fu dato, come maestro
della cavalleria, il plebeo MARCO MINUCIO RUFO.
Fatti voti solenni alle divinità, il prodittatore ordinò che si rafforzassero
le mura e le torri di Roma e vi si ponessero grosse guardie d'armati e dispose
che fossero tagliati i ponti; comandò inoltre che si abbandonassero i paesi e
i castelli privi di buone fortificazioni e gli abitanti si ritirassero solo
nelle città fornite di opere salde di difesa e che le case e le campagne poste
sul cammino di Annibale incendiate affinché al nemico mancassero le
vettovaglie.
Arruolò poi due legioni, e con queste andò incontro al console, attraverso la
via Flaminia, per ricevere i resti dell'esercito.
Preso, nelle vicinanze di Otricolo, il comando di tutte le truppe, Quinto
Fabio Massimo ordinò a SERVILIO di recarsi ad Ostia, di armare quante più navi
possibile, e con una parte guardare le coste, un'altra di inseguire la flotta
cartaginese che aveva catturate alcune navi romane che portavano viveri in
Spagna.
Date queste disposizioni, il prodittatore, attraverso Tivoli e Preneste,
marciò con grande circospezione verso l'Apulia.
Proposito di Fabio era quello di non affidare le sorti della guerra ad una
battaglia campale, perché sapeva che una terza sconfitta sarebbe stata fatale
per Roma, potendo scuotere la fedeltà degli Italici; a lui premeva che da
Cartagine non giungessero rinforzi ad Annibale, che l'esercito romano si
tenesse in serbo per l'ultimo inevitabile scontro, che il nemico si logorasse
da solo a poco a poco, ed infine che si portasse nell'estremità della penisola
dove qui poi poteva essere bloccato.
Occorreva pertanto seguirlo da vicino, tenendosi costantemente sulle alture
per non essere assalito dalla cavalleria nemica numericamente superiore,
sorvegliarlo attentamente e stancarlo con continue schermaglie.
Questa tattica guerresca, che secondo alcuni storici salvò Roma e l'Italia
dalla rovina, valse a Quinto Fabio Massimo il nome di "cunctator", il
"temporeggiatore".
Ben presto Annibale si accorse di quanta prudenza fosse dotato il nuovo
generale romano e come fosse più facile avere ragione della sconsiderata
aggressività di un Sempronio e di un Flaminio che della saggia calma di un
Fabio. Per questa ragione cercò di attirarlo a battaglia, sfidandolo e
molestandolo e devastando e saccheggiando paesi e campagne per provocar l'ira
del nemico.
QUINTO FABIO non si lasciava vincere dall'astuzia del Cartaginese, lo seguiva
sempre, ma rifiutava ostinatamente di battersi. Teneva le truppe nel campo e
le lasciava uscire solo quando vi era costretto dal bisogno e sempre con le
precauzioni che il caso richiedeva. Così facendo non rischiava di perdere
l'esercito in una battaglia sfortunata, restringeva con la quotidiana minaccia
della sua presenza il campo d'azione del nemico e con scaramucce ben preparate
e ben condotte abituava i soldati a non temere i Cartaginesi.
Annibale poiché l'Apulia non si ribellava a Roma, varcati gli Appennini, passò
nel Sannio seguito sempre dal prodittatore, e saccheggiò orribilmente il
territorio di Benevento e conquistò la città di Telesia. Dal Sannio, su
consiglio di tre capuani fatti prigionieri al Trasimeno, Annibale marciò verso
la Campania e, poiché dalle persone pratiche dei luoghi fu consigliato di
andare attraverso il contado casinate, si affidò ad una guida, la quale avendo
capito che i Cartaginesi volevano essere condotti a Casilino anziché a Casino,
per il contado allifano, calatino e caleno, guidò Annibale nel piano
stellatino.
La guida scontò poi con la crocifissione l'errore non suo.
Accampatosi nel piano stellatino, ANNIBALE inviò MAARBALE con parte della
cavalleria a predare nel territorio falerno. Maarbale si spinse fino a
Sinuessa, bruciando senza pietà le meravigliose campagne della Campania e
distruggendo, al suo passaggio, tutti i paesi e le ville non riuscendo però a
muovere le popolazioni dalla fede di Roma né ad attirare nella pianura Fabio,
il quale dal monte Massico sorvegliava le mosse ed assisteva alla devastazione
del nemico.
Intanto era trascorsa l'estate dello stesso anno 217 a.C., ed Annibale,
vedendo fallita la speranza di sollevare la Campania e desiderando di trovare
un luogo dove mettere al sicuro le prede fatte e anche per svernare, decise di
dirigersi verso il mezzogiorno.
Attraverso delle spie queste intenzioni giunsero a conoscenza di QUINTO FABIO
MASSIMO e volle approfittare del luogo svantaggioso in cui Annibale si trovava
per chiudere l'esercito cartaginese.
Inviò pertanto quattromila uomini sulla strada, che dal Volturno porta ad
Allife e chiuse il passo di Casilino, mettendo sulla sinistra del Volturno la
guarnigione della città ed occupando con il grosso dell'esercito il monte
Callicula sulla destra del fiume.
Annibale si accorse e intuì il piano di Fabio e cercò di farlo fallire con uno
stratagemma che gli riuscì a meraviglia. Portatosi di nascosto nelle vicinanze
del passo, ordinò, che, durante la notte, ASDRUBALE con alcune schiere armate
alla leggera spingessero verso le alture che dominavano la strada, duemila
buoi con legati alle corna singolari aggeggi che bruciavano, per far credere
ai Romani che il suo esercito, al lume delle fiaccole, marciava in quella
direzione.
Giunta la notte e messi in movimento i buoi per le colline, le guardie romane
che custodivano i passi, vedendo tante fiaccole sulle alture, lasciarono i
posti dove erano stati messi, e per paura di essere circondati, si ritirarono
sulle cime più alte, dando così tempo all'esercito cartaginese di raggiungere
il territorio allifano.
Qui lo seguì poi Fabio. Annibale giocò ancora d'astuzia: finse di dirigersi
per il Sannio alla volta di Roma poi, giunto nel territorio dei Peligni,
cambiò strada, puntò verso l'Apulia ed occupò la città di Geronio.
MARCO MINUCIO RUFO
La tattica di Fabio era senza dubbio eccellente e l'unica che si potesse
allora usare contro un generale astuto e geniale qual'era Annibale; ma non era
da tutti approvata. Nonostante avesse dato fino allora ottimi frutti,
l'esercito romano non riusciva ad assistere inoperoso ed indifferente alle
devastazioni consumate dalle truppe di Annibale e dentro nelle file delle
legioni si era venuta formando una corrente ostile ai metodi del prodittatore,
composta di giovani focosi ed impazienti che desideravano di misurarsi in
battaglia con il nemico e decidere con le armi, anziché con il temporeggiare,
le sorti della lunga guerra.
Alla testa dei malcontenti vi era il maestro della cavalleria, MARCO MINUCIO
RUFO, che non si lasciava sfuggire nessuna occasione per criticare la condotta
di Fabio.
Accadde che Fabio dovette lasciare l'esercito per recarsi a Roma a causa di
alcuni riti religiosi che dovevano essere compiuti e il comando delle legioni
rimase a Minucio, che si trovava accampato nel territorio di Larino
(Campobasso) a poca distanza da Geronio.
Quantunque avesse ricevuto ordine dal prodittatore di seguire la tattica
temporeggiatrice e di non assalire il nemico, Minucio Rufo non seppe resistere
al proprio desiderio e a quello dell'esercito di misurarsi con i Cartaginesi
e, presentatasi l'occasione, assalì improvvisamente un reparto nemico uscito
in cerca di frumento, e violentemente lo sbaragliò, poi scrisse a Roma
annunciando questo successo come una grande vittoria.
Il partito popolare esaltò la condotta del plebeo Minucio, condannando così la
tattica di Fabio, la quale anche presso i nobili aveva trovato oppositori, e
il tribuno della plebe MARCO METELLO propose che MINUCIO RUFO fosse innalzato
alla dignità di Fabio e che si dividesse fra i due la dittatura e reclamò
inoltre che il "Temporeggiatore", prima di tornare al campo, eleggesse il
successore del morto console Flaminio.
La proposta di Metello caldamente appoggiata dal console CAJO TERENZIO
VARRONE, demagogo plebeo che, figlio di un macellaio, aveva saputo acquistarsi
il favore del popolo e ricoperto la carica di questore, di edile e di pretore,
ottenne l'approvazione dei comizi e il maestro della cavalleria fu innalzato
al grado di prodittatore.
QUINTO FABIO, creato console MARCO ATTILIO REGOLO, se ne tornò a Larino; e,
avendo Minucio proposto che i due prodittatori tenessero un giorno ciascuno il
comando supremo, Fabio si oppose e preferì che l'esercito si dividesse in due
parti.
Annibale volle trarre profitto dalla nuova situazione dei Romani, fattasi
debole per l'improvvisa mancanza dell'unità di comando; collocò cinquemila
fanti in una valle per organizzare un agguato, poi inviò una piccolo
contingente ad occupare un colle posto tra Geronio e il campo di Minucio allo
scopo di provocare a battaglia all'impaziente capitano.
MINUCIO abboccò e inviò un corpo di armati alla leggera affinché cacciassero
dalla collina occupata dal nemico. La battaglia, che si era accesa all'inizio
fra poche truppe, ben presto assunse in breve vaste proporzioni, quando
Minucio fu costretto a impiegare sempre più forze e alla fine tutte; ed è
quello che voleva Annibale, che a quel punto ordinò ai cinquemila Cartaginesi
posti in agguato di assalire alle spalle i Romani.
Questi sgomenti, iniziarono a ritirarsi dandosi alla fuga, e sarebbero finiti
ugualmente in mano al nemico subendo una sanguinosa sconfitta se Quinto Fabio
con le sue legioni non fosse intervenuto e costretto il nemico alla ritirata.
Solo allora Minucio si rese conto della bontà del metodo del collega e,
Commosso e pentito, rinunziò alla sua nuova carica sostenendo che, non avendo
saputo obbedire, non era nemmeno capace di comandare.
Si narra che Annibale, durante il combattimento, vedendo scendere Fabio
dall'altura in soccorso di Minucio, disse: "la nuvola che soleva stare sui
gioghi dei monti si è finalmente sciolta in tempestosa pioggia"
16/07/2006 15:02
LA BATTAGLIA DI CANNE
Dopo sei mesi di prodittatura, QUINTO FABIO MASSIMO si dimise dalla carica e
consegnò l'esercito ai consoli GNEO SERVILIO GEMINO e MARCO ATTILIO REGOLO.
Questi condussero la guerra secondo la tattica di Fabio, e - se dobbiamo
credere a TITO LIVIO - Annibale si ridusse a tanta penuria di viveri che se la
sua partenza non fosse sembrata una fuga egli se ne sarebbe ritornato
volentieri in Gallia.
La prova migliore delle tristi condizioni in cui versava l'esercito
cartaginese noi la troviamo nel contegno di Roma. La repubblica ormai è sicura
della fedeltà delle popolazioni italiche, sa che Annibale è completamente
isolato e non ha speranza di soccorsi da Cartagine; sa ancora che il nemico
non è capace di costringere alla resa le città fortificate. La sua presenza
non desta nemmeno le preoccupazioni di un tempo.
Roma agisce come se in Italia i Cartaginesi nemmeno ci fossero; a Penne re
d'Illiria chiede il tributo o gli ostaggi; a Filippo il Macedone chiede che
consegni Demetrio di Faro; rifiuta da Neapoli offerte di oro e di uomini; e
vorrebbe perfino rifiutare gli aiuti del vecchio e fedele Cerone di Siracusa
che gli offre una statua d'oro della Vittoria di trecentoventi libbre,
trecentomila moggi di grano e duecento d'orzo, mille arcieri e mille
frombolieri e venticinque quinqueremi; si lagna con i Liguri perché hanno
aiutato Annibale con uomini e denari; manda al Po il pretore Lucio Postumio
con una legione per sorvegliare i Galli; e dà facoltà a Marco Ottacilio
vicepretore della Sicilia di portare la guerra in Africa.
Roma però pensa anche di finirla una buona volta con Annibale e, pur
conoscendo la bontà della tattica temporeggiatrice, è d'avviso che si può
sconfiggere il generale cartaginese opponendogli un esercito superiore di
forze.
Pertanto alle cinque vecchie legioni ne sono aggiunte altre quattro e i
soldati di ciascuna che prima ammontavano a quattromila fanti e a duecento
cavalli, accresciute di mille pedoni e cento cavalieri; un numero uguale di
fanti e un numero doppio di cavalli forniscono gli Italici. In definitiva fu
allestito un poderoso esercito di novantamila soldati e di circa seimila a
cavallo.
In un primo tempo è creato dittatore LUCIO VETURIO FILONE e maestro dei
cavalieri MARCO POMPONIO MATONE, che durano però in carica soli quattordici
giorni; succede un interregno alla fine del quale sono eletti consoli il
patrizio LUCIO EMILIO PAOLO II, il vincitore delle seconda guerra illirica, e
CAIO TERENZIO VARRONE, plebeo. Gli uscenti SERVILIO e REGOLO sono mantenuti in
carica con il titolo di proconsoli.
Nel luglio del 216, i due nuovi consoli - dei quali il patrizio era prudente e
seguace del metodo di Fabio, il plebeo impetuoso ma incapace di guidare un
esercito in battaglia - a Geronio assunsero il comando delle truppe e
stabilirono di tenere un giorno l'uno, un giorno l'altro, il supremo comando.
Fin dai primi giorni cominciarono i dissensi tra i due capi ed Annibale, che
si accorse subito della diversa indole dei due generali romani, cercò di
trarne profitto provocando i nemici e tendendo loro insidie che, per la
prudenza di Emilio Paolo, andarono a vuoto.
Trovandosi a corto di viveri, il Cartaginese pensò di trasferirsi nei piani
dell'Apulia e levato il campo da Geronio per la via di Luceria condusse
l'esercito a Canne, castello che sorgeva sulla riva destra dell'Ofanto tra
Canusio (Canosa) e Barduli (Barletta).
Qui lo seguì l'esercito romano e qui il 2 agosto del 216, essendo quel giorno
il comando supremo nelle mani del console Terenzio Varrone, avvenne la grande
battaglia.
Lo schieramento delle truppe romane fu il seguente: alla destra, la cavalleria
romana e le fanterie comandata da EMILIO PAOLO; alla sinistra, la cavalleria
italica ed altre fanterie comandata da TERENZIO VARRONE; al centro, sotto il
comando del proconsole Servilio, gli arcieri e lanciatori, congiunti con le
legioni romane; in prima linea gli armati alla leggiera.
Annibale dispose il suo esercito a cuneo: nel centro le fanterie galliche ed
iberiche; alle ali quelle cartaginesi; i cavalieri galli e spagnoli
all'estrema sinistra; i Numidi alla destra.
Della sinistra era comandante ASDRUBALE, della destra MAARBALE; al centro
stavano ANNIBALE e il fratello MAGONE. Il comando di tutta la cavalleria che
raggiungeva il numero di diecimila la prese CARTALONE.
La superiorità numerica era dei Romani, i quali nonostante inferiori per
numero di cavalieri, aveva il doppio di fanti; ma la disposizione era del
tutto favorevole ai Cartaginesi. I Romani infatti, avevano davanti il sole e
un vento che, soffiando da mezzodì, sollevava una densa polvere che accecava.
L'azione cominciò con scontri di avanguardie leggere, poi seguì il cozzo tra
la cavalleria romana e quella dei Galli e degli Iberi. Il combattimento dei
cavalieri fu breve ma accanito, ma in un ristretto spazio, limitato da un lato
dal fiume e quindi non consentiva ai combattenti di distendersi e manovrare
liberamente, di modo che i Romani cedettero al numero.
Ben presto, la battaglia infuriò al centro e all'impeto delle fanterie romane
i Galli e gli Spagnoli non vollero né riuscirono a resistere, e spinti dai
legionari, che assalivano furiosamente il centro nemico indietreggiò
considerevolmente trascinandosi dietro i Romani, mentre i Cartaginesi delle
due ali, con slancio, guadagnarono terreno alle due estremità.
I Romani, per l'imperizia di TERENZIO, non si accorsero che cadevano
nell'insidia tesa da Annibale, il quale, quando vide che il nemico, quasi
tutto in avanti e si accaniva al centro, a quel punto fece distendere in
avanti le ali ed avvolse l'intero esercito avversario.
Da quel momento per le truppe della repubblica la battaglia era persa. Quando
compresero di essere accerchiate era ormai troppo tardi, tuttavia cercarono di
rompere l'accerchiamento e la battaglia continuò con un disperato accanimento,
che meritava forse una migliore sorte.
Il console EMILIO PAOLO cercò di risollevare le sorti dei suoi uomini e,
sebbene ferito, con un drappello di cavalieri ridiede vigore alla battaglia,
poi, sceso da cavallo, imitato dai suoi, oppose ai soldati di Annibale una
fiera resistenza.
Nobili, ma vani sforzi! Presi anche alle spalle da un corpo appiedato di
cinquecento cavalieri numidi, i Romani si lasciarono prendere dalla sfiducia e
dal terrore e cercarono scampo nella fuga, che a pochi però riuscì.
Narra TITO LIVIO che il tribuno militare GNEO LENTULO, cercando con la fuga di
salvarsi, vide il console EMILIO tutto imbrattato di sangue seduto sopra un
sasso e gli disse "O Paolo Emilio, tu che non sei il solo responsabile di
questa sconfitta, eccoti il mio cavallo; salvati mentre ancora puoi e non
rendere con la tua morte più grave la nostra disfatta!"
Ma il console rifiutò di allontanarsi, rispondendo: "Grazie, Lentulo, ma,
pensando a me, non perdere invano il tuo tempo. Va' e di' al Senato che
fortifichi Roma e la munisca di difensori prima che arrivi il nemico. E di' a
Fabio Massimo che io sempre, in vita e in punto di morire, mi sono ricordato
dei suoi precetti. E tu sii lieto che io muoia in mezzo alla strage dei miei
soldati, affinché, vivendo, non accusi il mio collega per difendere la mia
innocenza con la colpa altrui".
La turba dei Romani in fuga e dei nemici lanciati al loro inseguimento
travolse l'infelice ed eroico console e Lentulo ebbe appena il tempo di
mettersi in salvo sopra un vicino colle vicino.
Le perdite di Annibale furono lievi: ottomila morti; ma molto gravi quelle dei
Romani. Settantamila soldati caddero, diecimila furono fatti prigionieri e
solo settemila riuscirono a rifugiarsi a Canusio e a Venusia.
Fra i caduti furono Lucio Paolo Emilio, Gneo Servilio e Attillo Regolo
proconsoli, due questori, Lucio Attilio e Lucio Bibaculo, ventuno tribuni
militari e ottanta senatori che si erano volontariamente arruolati.
II console Varrone con cinquanta cavalieri riuscì a salvarsi fuggendo a
Canusio.
La battaglia era finita con una delle più grandi disfatte. A Roma tacquero gli
odi di parte, e fu chiuso nel cuore il dolore per la perdita di così tanti
uomini.
Con la tristezza c'era però anche l'angoscia di un attacco alla capitale.
Come reagire davanti ad un'ora così drammatica, che minacciava seriamente
l'esistenza stessa della repubblica
16/07/2006 15:03
ROMA DOPO LA BATTAGLIA DI CANNE
Roma, dopo la grande sconfitta di Canne, riuscì a trovare nelle virtù del suo
popolo la forza per resistere ai durissimi colpi del destino; che non si
accaniva su questo o quel cittadino, o su questa, o quell'altra città; ora
c'era in gioco l'esistenza della repubblica, era minacciata l'intera penisola,
che da pochissimo tempo era stata unificata, e già il nome "ITALIA" correva
dalla Sicilia alle Alpi.
A questo punto, tacquero gli odi di parte, fu chiuso nel cuore il dolore per
la perdita di tanti uomini, né si pensò a criticare l'operato dei capi
dell'esercito.
La mente e le opere di tutti i cittadini, ottimati e plebei, uomini e donne,
furono rivolte a salvare la patria.
Dietro consiglio di FABIO MASSIMO si stabilì che il lutto per i morti in
guerra avesse la durata di soli trenta giorni, si misero numerose sentinelle
alle porte affinché nessuno uscisse dalla città e si mandarono uomini a
cavallo lungo le vie Appia e Salaria per raccogliere notizie dei superstiti di
Canne e sui propositi e movimenti di Annibale.
Poi si pensò a radunare un nuovo esercito e a procurar denaro. Furono chiamati
sotto le armi i giovani di diciassette anni, arruolati ottomila schiavi e
seimila carcerati ai quali fu promesso il condono dopo la guerra. I creditori
rinunziarono alle somme prestate. Fu proibito di tener denari e gioielli oltre
un determinato limite. In seguito ad una legge sul lusso delle donne, proposta
dal tribuno OPPIO, le matrone diedero alla repubblica una parte delle loro
gioie. Si vietò al cartaginese CARTALONE sceso nella capitale per trattare del
riscatto dei prigionieri di metter piede nel territorio di Roma e il riscatto
fu rifiutato per non arricchire Annibale e per ammonire i soldati a non
sperare di ricomprare con l'oro la libertà perduta per viltà.
Più tardi creò non poco conforto la notizia che alcune migliaia di soldati,
scampati alla strage, si erano rifugiate a Canusio e quando VARRONE,
richiamato, arrivò nelle vicinanze di Roma, il Senato, anziché rimproverarlo
come responsabile della sconfitta, gli andò incontro e, confortandolo, lo
ringraziò d'avere raccolto i superstiti.
Ritornato Varrone, fu incaricato M. FABIO BUTEONE di colmare i vuoti che la
battaglia di Canne aveva fatto tra i senatori (80) e ne furono nominati
centosettantasette scelti in gran parte fra i plebei e fra coloro che erano
stati tribuni, edili e questori.
Contemporaneamente fu creato dittatore M. GIUNIO PERA e maestro della
cavalleria TIBERIO SEMPRONIO GRACCO.
ANNIBALE A CAPUA
Dopo la vittoria di Canne, l'esercito cartaginese avrebbe voluto marciare su
Roma, ma ANNIBALE, il quale sapeva che non era cosa facile espugnare una città
così forte con truppe che non avevano potuto far cadere Piacenza ed erano
state respinte da Spoleto, non volle. Con la sua profonda visione strategica,
riconobbe la futilità di una vuota dimostrazione davanti alle mura di Roma,
che non avrebbe fatto altro che sminuire le conseguenze morali della vittoria
e avrebbe fatto sfuggire all'opportunità di fare più importanti progressi.
In un momento in cui si agitava fortemente la confederazione romana, lui
preferì fare un comodo viaggio -trionfale- attraverso il Sannio fino in
Campania per raccogliere gli alleati in rivolta.
Infatti, le stirpi più rudi, con forti sentimenti d'indipendenza, che si erano
sempre opposti alla dominazione Romana (Hirpini, Pentri, Caudini, Lucania,
Bruttium, ecc) la sollevazione fu quasi generale. E una di quelle che
rappresentò un vero pericolo di disgregazione fu poi la rivolta di Capua, che
allora era la seconda città d'Italia dopo Roma, e per essere un importante
centro industriale e commerciale, molto più ricca della stessa Roma.
ANNIBALE partito dall'Apulia, passò nel Sannio e, lasciati Cossa (che
spontaneamente gli si era data), i bagagli e il bottino, comandò a MAGONE di
procedere con una parte delle truppe a prendere possesso delle città che si
davano e di combattere quelle che facevano resistenza. Lui con il grosso
dell'esercito andò nella Campania con il proposito d'impadronirsi di Neapoli
(Napoli), ma, giunto sotto le mura della città, le forti opere di difesa gli
fecero mutar parere e si diresse nella non lontana Capua.
Qui ebbe miglior fortuna che a Napoli. Dopo la battaglia del Trasimeno, il
potere della città era venuto in mano al partito popolare, nemico della
nobiltà locale; molti di questi, avevano rafforzato il loro potere con le più
importanti famiglie di Roma con una serie di matrimoni. Ma non erano certo dei
grandi patrioti; nel periodo di queste lunghe guerre, le coscrizioni imposte
da Roma, a questa gente amante del lusso, erano particolarmente moleste.
Ma se a loro erano sgradevoli, più spiacevoli e perfino ostili erano al
popolo, pur avendo il senso patrio che a Roma (con le guerre diventata più
democratica) avevano favorito e coltivato; ma non in Campania che era
fortemente limitata dalla giurisdizione di un "praefectus" romano, alla cui
elezione, il popolo campano non partecipava, doveva solo e sempre ubbidire.
Fu per quest'ultimo motivo che il popolo aprì le porte ad Annibale, che
entrato in trattative, accettò in pieno le condizioni avanzate dai cittadini
(popolo) di Capua: nessun arruolamento nell'esercito, completa autonomia, dono
di 300 prigionieri romani da scambiare con i cavalieri capuani che erano al
servizio di Roma in Sicilia.
L'esempio di Capua fu seguito da altre città minori della Campania, Atella,
Calatia, Nuceria, Acerrae. Comunque poca cosa, il nucleo della forza di Roma,
Lazio, Umbria ed Etruria, rimaneva ben saldo; e così in Sicilia, Gerone si
affrettò a dimostrarsi ancora una volta un fedele alleato.

Quindi la dedizione di Capua e pochi altri centri non erano fatti che avessero
gran peso nella guerra. L'Italia si manteneva fedele a Roma e la repubblica
rimaneva perciò forte e temibile.
Fallita la speranza di sollevare i popoli italici e di procurarsi soldati per
il suo esercito, denari e vettovaglie, Annibale comprese che due sole vie gli
rimanevano: o abbandonare il pensiero di sottomettere Roma e tornarsene in
Spagna, oppure cercare aiuti in patria e alleanze fuori.
Non volendo lasciare incompiuta un'impresa così felicemente iniziata, Annibale
inviò il fratello MAGONE in Africa a chiedere aiuti per l'esercito che
guerreggiava in Italia.
Magone magnificò al Senato Cartaginese le vittorie del fratello e fornendo la
prova di ciò che asseriva mostrò una montagna di anelli sottratti ai cavalieri
romani nella battaglia di Canne, che -si narra - misuravano tre moggi e mezzo.
Invano il partito contrario, capeggiato da ANNONE, si oppose; ma la fazione
dei Barca vinse e il Senato deliberò che si mandassero ad Annibale quaranta
elefanti e si assoldassero nella Spagna ventimila fanti e quattromila cavalli
per la guerra d'Italia e della penisola Iberica.
ANNIBALE SCONFITTO A NOLA
Intanto i Romani non perdono tempo. Il dittatore GIUNIO PERA alla testa di
venticinquemila uomini passa nella Campania e si accampa a Teano per sbarrare
al nemico la strada del Lazio; il prefetto MARCO GIUNIO SILVANO si reca invece
a Neapoli e assume il comando della difesa di questa città fedele a Roma; il
pretore CLAUDIO MARCELLO, da Canusio, si porta rapidamente a Nola per tenere a
freno la plebe che vorrebbe darsi ai nemici e per opporsi ad Annibale, che per
la seconda volta, con Marcello già dentro con le sue schiere, tenta
d'impadronirsi della città.
L'esercito di Annibale si schiera davanti a Nola e aspetta che Claudio esca ed
accetti battaglia; ma nessuno esce dalle porte; il Cartaginese crede che il
nemico abbia paura, manda una parte dei soldati agli alloggiamenti, e ordina
loro di portare le macchine da guerra, sperando che, bombardando la città, la
plebe si sollevi a faccia aprire le porte.
CLAUDIO MARCELLO però non ha paura; ha schierato di nascosto dietro le mura le
sue truppe, suddividendole in tre gruppi e mettendone uno dietro ognuna delle
tre porte che guardano il campo nemico: alla porta centrale le legioni e i
cavalieri romani, alle due laterali le fanterie e la cavalleria italica e gli
armati alla leggiera.
Quando vede che i nemici sono intenti a lavorare intorno alle macchine,
Marcello fa aprire la porta di mezzo fa irrompere le legioni e i cavalieri,
poi, aperte le altre, fa assalire le ali avversarie. Preso alla sprovveduta,
l'esercito cartaginese è sbaragliato, duemila e trecento uomini rimangono sul
campo ed Annibale è costretto ad abbandonare la piazza (anno 215 a.C.).
Non è trascorso nemmeno un anno da Canne e la fortuna del generale cartaginese
comincia a declinare. Si vuole attribuire il declinare della fortuna di
Annibale agli ozi di Capua, alla vita molle che strapazzò e indebolì
l'esercito cartaginese.
C' è in quest'asserzione un po' di verità , ma non riposa soltanto in questi
famosi ozi la causa del tramonto della potenza militare di Annibale. Ma si
deve cercare nel patriottismo di Roma, nelle inesauribili energie e virtù del
popolo romano, nella politica saggia ed avveduta della repubblica che aveva
saputo farsi amare dalle popolazioni italiche che nei momenti della sventura
non la tradirono e si opposero con tutte le loro forze agli invasori.
Di quest'attaccamento a Roma delle città italiane fa fede il contegno di
Neapoli e di Acerria e specialmente di Casilino, che tenne in scacco per lungo
tempo Annibale nel 216, e di Petelia che l'anno seguente, assediata,
resistette eroicamente per circa undici mesi.
BATTAGLIA DELLA SELVA LITANA
Nell'anno 215 l'attività dei Romani aumenta mentre decresce quella di
Annibale. Roma trova la forza di fronteggiare non solo il nemico nell'Italia
meridionale ma di inviare truppe nella settentrionale contro i Galli. Qui però
la fortuna non è favorevole alla repubblica.
LUCIO POSTUMIO, designato console, ma non ancora entrato in carica, guida un
esercito di venticinquemila uomini nel paese dei Boi, ma un'insidia lo
attende. Lungo la via che deve percorrere attraverso la vastissima Selva
Litana gli alberi giganteschi sono stati dai Galli tagliati in modo da
rimanere ritti, ma ad essere abbattuti al suolo dalla più piccola spinta, e
con la selva piena di nemici in agguato.
Quando l'esercito consolare è dentro nella foresta, cadono con immenso fragore
le piante uccidendo uomini ed animali. I superstiti, con la strada sbarrata
per la fuga, assaliti dal nemico, sono fatti a pezzi e fra questi è Lucio
Postumio.
Grande sbigottimento a Roma all'annunzio di questo nuovo disastro, ma il
Senato ordina che dalla città sia tolto ogni segno di mestizia e di lutto.
Come con fiero animo sono stati sopportati i disastri della Trebbia, del
Trasimeno e di Canne si deve con altrettanta fermezza sopportare quello della
Selva Litana. Anziché piangere i morti è necessario intensificare la lotta
contro Annibale, il quale ormai non ha più speranza di sostenersi da solo in
Italia e cerca alleanze fuori della penisola. Ma sono tutti tentativi inutili!

Riesce a tirare dalla sua parte l'imbelle giovinetto GERONIMO, succeduto nel
trono di Siracusa al vecchio e saggio Gerone, con il promettergli il possesso
dell'intera Sicilia; ma Geronimo cade ucciso per mano di congiurati e muoiono
con lui le speranze di aiuti che Annibale si attendeva.
Né più fortunata e proficua è l'alleanza che stringe con FILIPPO di Macedonia
perché gli ambasciatori macedoni e cartaginesi cadono nelle mani dei Romani e
il pretore M. VALERIO LEVINO fa buona guardia con la sua flotta nelle acque di
Apollonia.
(Questo tentativo di alleanza col re di Macedonia, cui Annibale ha promesso la
cessione dell'Illiria romana dopo la sconfitta di Roma -fra breve come
vedremo- sarà l'occasione per dare inizio alla prima guerra macedonia)

Intanto in Italia le condizioni di Annibale si fanno più precarie e difficili.
Tre eserciti romani gli stanno sempre alle costole e lo sorvegliano: il
console FABIO MASSIMO a Teano, il console TIBERIO SEMPRONIO GRACCO a Cuma e a
Neapoli e il proconsole CLAUDIO MARCELLO tra Capua e Nola. Annibale cerca di
impadronirsi di Cuma e si serve dei capuani, ma questi sono sconfitti da
SEMPRONIO, prontamente accorso con le sue truppe, le quali, rimaste a Cuma, la
difendono valorosamente dagli assalti dell'esercito cartaginese appena giunto
ad assediare la città e subito respinto con gravissime perdite è costretto a
ritirarsi sulle montagne di Tifate.
A quest'insuccesso altri e più gravi se n'aggiungono poco tempo dopo: presso a
Grumento, in Lucania, il cartaginese ANNONE è sconfitto e perde duemila
uomini; tre castelli ribellatisi ai Romani sono riconquistati dal pretore
MARCO VALERIO; QUINTO FABIO riprende Compulteria, Trebula e Saticula e
Annibale, sotto le mura di Nola, è nuovamente sconfitto da MARCELLO e lascia
sul campo cinquemila uomini e nelle mani del proconsole cinquecento
prigionieri.
Sconfitto a Nola, Annibale va a svernare in Apulia e mette il campo ad Arpi,
incalzato da SEMPRONIO GRACCO che va ad accamparsi a Luceria.
Anche ANNONE lascia la Campania e con l'aiuto dei Bruzi cerca di ridurre in
suo potere le città greche sottomesse a Roma. Locri si arrende e si arrende
anche Crotone, ma Reggio resiste valorosamente ai ripetuti assalti.
Così finisce l'anno 215 a.C. Nell'Italia Annibale ha fatto il massimo sforzo
per attirare a sé i popoli e conquistare città, ma soltanto una piccola parte
del Sannio e della regione dei Bruzi è riuscito a far passare dalla sua parte,
e delle città che ha potuto amicarsi o sottomettere una sola è importante:
Capua.
Ora il gran generale aspetta che le intese da lui promosse fuori della
penisola diano buoni risultati. Spera molto dalla Macedonia e dalla Sicilia, e
qualcosa ancora da Cartagine. Ma la sua patria, nonostante governata dalla
fazione dei Barca, si preoccupa più della Spagna che non dell'Italia, né sa
sostenere con aiuti la rivolta della Sardegna che il pretore TITO MANLIO ha
soffocato nel sangue.
E intanto Roma è più che mai decisa a fare sforzi giganteschi per condurre a
termine vittoriosamente la guerra.
16/07/2006 15:04
BATTAGLIA DI BENEVENTO
La riscossa, iniziata l'anno precedente, continua nel 214. Al consolato sono
chiamati i due più famosi generali che ha Roma: QUINTO FABIO MASSIMO VERRUCOSO
IV e CLAUDIO MARCELLO III, e il numero delle legioni da dodici è portato a
diciotto. Anche il numero delle navi è accresciuto e portato a centocinquanta
e per la prima volta si stabilisce che la flotta sia fornita di ciurma a spese
di privati cittadini.
Il vicepretore QUINTO MUCIO è lasciato in Sardegna, MARCO VALERIO a Brindisi
per sorvegliare le mosse di Filippo il Macedone, il governo della Sicilia è
assegnato al pretore PUBLIO CORNELIO LENTULO, e TITO OTACILIO rimane in carica
come comandante della flotta.
Le forze di terra sono divise in cinque corpi: uno, comandato da CAJO TERENZIO
VARRONE, ha il compito di campeggiare nel Piceno, il secondo, di volontari,
assegnato a Luceria è messo sotto il comando del proconsole SEMPRONIO GRACCO
ed il terzo, capitanato da MARCO POMPONIO, è posto alla difesa della Gallia
Cisalpina, il quarto, comandato dal pretore QUINTO FABIO, figlio del
"Temporeggiatore", è destinato nell'Apulia, gli altri sono affidati ai consoli
FABIO MASSIMO e CLAUDIO MARCELLO.
Questi ultimi due Minacciando Capua, Annibale leva il campo da Arpi, passa
nella Campania e si ferma nei vecchi alloggiamenti di Tifate; qui lasciata una
guardia di Numidi e Iberi, con il resto dell'esercito marcia su Puteoli
(Pozzuoli).
Queste mosse di Annibale provocano un parziale dislocamento delle forze
romane; il pretore FABIO è mandato a presidiare Luceria e SEMPRONIO GRACCO
dovrà marciare su Benevento per tagliare le comunicazioni del nemico tra
l'Apulia e la Campania e sorvegliare i Bruzi e Annone che si aggira da quelle
parti.
Annibale intanto, danneggiato il territorio di Cuma fino al promontorio
Miseno, marcia su Puteoli e la pone in assedio. Puteoli è fortissima per la
natura del luogo oltre che per le opere militari ed ha un'agguerrita
guarnigione di seimila Romani; assalita per tre giorni consecutivi, si difende
splendidamente, spalleggiata dalla vicina Neapoli, e costringe Annibale ad
abbandonar l'idea d'impadronirsene.
Fallita l'impresa di Puteoli, Annibale saccheggia il contado di Neapoli e
stabilisce di marciare ancora su Nola, mentre Annone dalla Lucania risale
verso il Sannio per rompere il cerchio nemico che si sta stringendo minaccioso
intorno al generale cartaginese, ma l'uno e l'altro sono preceduti con mosse
fulminee da Claudio Marcello, SEMPRONIO GRACCO e Fabio Massimo.
Il primo da Suessola invia a Nola seimila fanti e trecento cavalli; il terzo
si avvicina a Casilino; il secondo, corre -come già detto sopra- ad occupare
Benevento.
SEMPRONIO, poiché Annone, che si è accampato a tre miglia dalla città, sul
Calore, va saccheggiando il territorio, esce da Benevento e pone il campo ad
un miglio circa dai Cartaginesi e il giorno dopo, allo spuntar del sole,
attacca energicamente il nemico, che dispone di diciassettemila fanti, la
maggior parte Bruzi e Lucani, e milleduecento cavalieri Numidi e Mauritani.
La battaglia dura quasi cinque ore ed è di un accanimento straordinario; alla
fine i soldati di Annone, decimati, sono messi in fuga e cercano scampo nel
campo trincerato; ma i Romani lo prendono d'assalto e ne fanno una strage.
Solo due mila con il generale riescono a fuggire, tutti gli altri, in numero
di diciassettemila, sono catturati o uccisi. Trentotto insegne cadono in mano
dei Romani e un bottino ricchissimo.
A questa importante vittoria altri successi dei Romani sono da aggiungersi.
Annibale, saccheggiato il territorio di Neapoli, muove nuovamente su Nola, ma
CLAUDIO MARCELLO gli dà battaglia e lo sconfigge, causandogli la perdita di
duemila uomini e costringendolo a ritirarsi.
Dopo il combattimento di Nola, i due consoli, riunite le forze, assaltano e
costringono alla resa Casilino; FABIO MASSIMO, passato nel Sannio, riprende a
viva forza Telesia, Cossa, Mela, Fulfula ed Orbitania, poi espugna Blanda
nella Lucania ed Anca nell'Apulia, infliggendo ai nemici, tra morti e
prigionieri, la perdita di venticinquemila uomini; mentre il pretore QUINTO
FABIO conquista Acua e si accampa ad Ardonea.
ANNIBALE, dopo tanti insuccessi, rivolge tutte le sue speranze sugli aiuti
della Macedonia e della Sicilia; ma a Taranto, dove si avvia allo scopo
d'impadronirsene per farne poi la base delle truppe macedoni, è preceduto da
un luogotenente di MARCO VALERIO ed alla Sicilia ci ha già pensato il Senato
romano deliberando di mandarvi il console MARCELLO con un esercito.
ASSEDIO DI SIRACUSA - ARCHIMEDE
Siracusa, dopo l'uccisione di GERONIMO, era caduta in mano dei nobili, ma
questi avevano ben presto dovuto cedere il potere al partito popolare,
capeggiato da IPPOCRATE ed EPICIDE, i quali (per rivalsa sui nobili)
parteggiando per Cartagine, avendo assalito e tagliato a pezzi il presidio
romano di Leontini, furono poi la causa della guerra tra Siracusa e Roma.
Il console MARCELLO, giunto in Sicilia, assali prima Leontini e costretta alla
resa, la saccheggiò, poi marciò su Siracusa, la grande e superba città dai tre
porti e dai cinque quartieri: Ortigia, Acradina, Tiche, Neapoli ed Epipoli,
tutti recintati da consistenti mura.
L'esercito, comandato dal luogotenente APPIO CLAUDIO, si accampò presso
l'Anapo, a poca distanza dalla città, la flotta, alle dirette dipendenze del
console, si recò nelle acque che bagnavano le mura del quartiere di Acradina e
qui iniziarono l'attacco contro Siracusa.
Sessanta erano le navi, numerosi i frombolieri e potentissime le macchine
d'assedio e Siracusa non avrebbe potuto resistere a lungo se non fosse stata
difesa dal genio di un suo illustre figlio, ARCHIMEDE, celebrato come il più
grande matematico del tempo.
Molto gli antichi scrissero di lui e dell'opera da lui prestata in favore
della sua patria, ma sono moltissime nelle leggende le cose che si
attribuiscono ad Archimede.
Secondo la tradizione egli inventò e costruì gigantesche balestre, che,
scagliando grosse pietre sulle navi romane, causarono alla flotta gravissime
perdite; costruì degli ordigni meravigliosi che dall'alto delle mura
afferravano con uncini le navi, e sollevate in aria per mezzo di contrappesi,
le lasciavano poi cadere facendole colare a picco; poi fra le molte altre
macchine, mise in azione degli strumenti forniti di specchi concavi, ustori,
che riflettevano i raggi del sole concentrati, per mezzo dei quali a grande
distanza incendiava le navi romane.
Riuscito vano ogni sforzo di far capitolare la città, Marcello pensò di
prenderla per fame e la cinse d'assedio dal mare e dalla terra.
Ma non era un'impresa facile costringere Siracusa alla capitolazione.
Cartagine era finalmente intervenuta nella guerra e il teatro delle operazioni
si era in breve esteso in tutta la Sicilia.
I Romani assediavano Siracusa quando BOMILCARE con centotrenta navi
cartaginesi entrò nel più grande dei tre porti della città e IMILCONE sbarcò
con un esercito di venticinquemila fanti e tremila cavalli ad Eraclea Minoa e
marciò su Agrigento.
Per andare a difendere questa città si affrettò Marcello, ma, quando giunse,
Agrigento era già caduta nelle mani dei Cartaginesi e molte città della
Sicilia si erano ribellate a Roma e fra queste Enna contro la cui popolazione
il presidio romano esercitò una sanguinosa rappresaglia.
Il console fece ritorno a Siracusa; lungo la via si scontrò con diecimila
Siracusani comandati da Ippocrate, li sbaragliò, poi intensificò le operazioni
di assedio.
Ma Siracusa resisteva magnificamente: i viveri non le mancavano, alle milizie
cittadine si erano aggiunti l'esercito di Imilcone e la flotta di Bomilcare;
Archimede, infine, dava gran fastidio agli assedianti con le sue poderose e
geniali macchine guerresche.
Il console richiese rinforzi a Roma e contemporaneamente cercò d'impadronirsi
della città, mettendosi in segreto rapporto con alcuni nobili siracusani amici
della repubblica: ma, scoperta da EPICIDE la congiura, ottanta cittadini
furono giustiziati.
PRESA DI SIRACUSA E MORTE DI ARCHIMEDE (211 a.C.)
Quantunque le legioni e le navi romane fossero cresciute di numero, Siracusa
continuò a difendersi valorosamente, ma era destino che l'illustre città
cadesse in mano di Roma. Si celebravano in Siracusa le feste in onore di Diana
e i Siracusani, dopo le abbondanti bevute e lauti pasti, erano immersi nel
sonno.
I Romani approfittarono di questa circostanza e scalate, nei punti più bassi,
le mura presso il porto di Tragilo, s'impadronirono del quartiere
dell'Epipoli. Più tardi anche i quartieri di Tiche e di Neapoli caddero in
mano di Marcello e la fortissima rocca di Eurialo, che dominava la città, fu a
tradimento dal greco Filodemo consegnata ai Romani.
Solo Ortigia ed Acradina resistevano ancora, ma le condizioni dei difensori
erano disperate. Una terribile pestilenza era scoppiata decimando Siracusani e
Cartaginesi; Imilcone ed Ippocrate erano morti e gli avanzi delle milizie di
Cartagine si erano allontanati; Bomilcare, di ritorno dall'Africa, mentre
stava per doppiare il capo Pachino, saputo che le navi romane avanzavano per
dargli battaglia, era fuggito con la flotta a Taranto, ed Epicide, disperando
di poter difendere Siracusa, aveva lasciato di nascosto la città e si era
rifugiato ad Agrigento.
Tuttavia, Ortigia ed Acradina ostinatamente si difendevano ed avrebbero
resistito per molto tempo ancora se un traditore non avesse consegnato i due
quartieri a Marcello.
Si chiamava costui, MERICO, era di origine iberica ed aveva un fratello che
militava nell'esercito romano. Persuaso da questo, Merico aprì le porte di
Acradina ai legionari e l'eroica Siracusa si ritrovò con i loro nemici
all'interno. I soldati romani, inferociti dalla resistenza, che secondo alcuni
storici era durata otto mesi, secondo altri due anni, si riversarono come una
fiumana impetuosa nelle vie, penetrarono nelle case, le saccheggiarono,
uccisero gli abitanti. Soltanto le case degli amici di Roma furono rispettate.
I tesori ingenti della reggia d'Ortigia, le meravigliose statue greche, i
quadri, i preziosi ornamenti dei templi che da cinque secoli risplendevano in
città, e perfino i simulacri delle divinità furono presi e inviati a Roma.
Archimede, l'illustre scienziato, l'insigne patriota siracusano, trovò la
morte durante uno dei tanti saccheggi.
Secondo la tradizione, prima di dar licenza alle truppe di metter a sacco la
città, il console Marcello aveva ordinato ai soldati di rispettar la persona
del grande cittadino.
Si trovava Archimede nella sua casa, intento a un disegno geometrico, quando
un legionario, entrato improvvisamente, gli chiese ripetutamente chi fosse e,
non avendo il vegliardo, assorto com'era nelle sue profonde meditazioni,
subito risposto, lo uccise.
Narra la storia che Marcello fu molto addolorato nell'apprendere la notizia
della fine dell'illustre uomo e volle non solo che avesse degna sepoltura, ma
ordinò anche che si cercassero i parenti e, in memoria del loro grande
congiunto, giustamente onorati.
Correva l'anno 211 a.C.
16/07/2006 15:05
CADUTA DI AGRIGENTO - ANNIBALE A TARANTO
Caduta Siracusa, la guerra in Sicilia durò ancora due anni né il console
CLAUDIO MARCELLO riuscì vederne la fine. Tornato a Roma il Senato gli negò il
trionfo. Chi invece continuò la guerra nell'isola fu un ufficiale di Annibale,
MUTINE, accorto e valoroso guerriero, riuscì a tenere sveglia la rivolta
anti-romana in molte città e a difendere Agrigento dagli assalti dei Romani.
Ma, avendo Cartagine inviato Annone con un esercito, ben presto tra Annone e
Mutine nacquero gravi dissidi che alla fine causarono ai Cartaginesi la
perdita della Sicilia. Annone sottrasse il comando della cavalleria a Mutine e
questi, per vendicarsi, si accordò segretamente con il console MARCO VALERIO
LEVINO e gli aprì le porte di Agrigento, ricevendo, in premio del tradimento,
la cittadinanza romana.
Agrigento subì sorte peggiore di Siracusa; la guarnigione cartaginese fu fatta
a pezzi; la popolazione fu tratta in schiavitù e la città, saccheggiata, e
ricevette poi una colonia romana. Con la caduta di Agrigento la guerra si
avviò al suo termine; nello stesso anno, le altre città ribelli si arresero o
furono prese con la forza, la Sicilia fu interamente riconquistata.
Nella penisola intanto la guerra proseguiva, e Roma continuava a fare grandi
sforzi, portando il numero delle legioni da diciotto a ventitré.
Arpi, nell'Apulia, assalita dal console FABIO, figlio del "Temporeggiatore",
scaccia il presidio cartaginese e si consegna ai Romani; Cliterno è espugnata
dal pretore SEMPRONIO TUDITANO e Cosenza e Turio si sottomettono a Roma; molti
territori della Lucania sono riconquistate dal console SEMPRONIO GRACCO.
Ma cadde però in potere dei Cartaginesi, Taranto.
Da due anni Annibale cercava di impadronirsene ma non gli riuscì che nel 209
ma non con le armi ma con due traditori-vendicatori.
Aveva Roma condannato a morte e fatto precipitare dalla Rupe Tarpeja alcuni
ostaggi tarantini che avevano tentato di fuggire. Questo fatto, aveva
provocato lo sdegno degli abitanti di Taranto, che decisero di dare la città
ad Annibale per vendicare i concittadini uccisi.
Due tarantini, FILOMENE e NICONE, fingendo di andare a caccia, riuscirono a
raggiungere il campo cartaginese, posto a non molta distanza dalla città, e si
accordarono con Annibale, poi fecero ritorno a Taranto portandosi dietro del
bestiame dato dal capitano africano e dissero ai propri concittadini di averlo
razziato e che, visto il buon esito dell'impresa, volevano ritentarla. Da
allora, ogni notte, uscivano e tornavano con delle prede e quando giungevano,
al ritorno, ad una delle porte della città, il guardiano, avvertito da un
fischio, apriva.
Una notte però ritornarono dalla finta scorreria alla testa dell'esercito
cartaginese e, ucciso il guardiano che come il solito era andato ad aprire,
fecero entrare il nemico nella città, che così cadde in potere di Annibale, ma
non la fortissima rocca, dove la guarnigione romana era riuscita a rifugiarsi.
PRESA DI CAPUA

A parte Taranto, lo sforzo di Roma si concentrò tutto su Capua difesa da un
forte presidio cartaginese comandato da BOSTARE e ANNONE. Tre eserciti sotto
il comando dei consoli GNEO FULVIO FLACCO e APPIO CLAUDIO PULERO e del pretore
CAJO CLAUDIO NERONE, marciano verso la Campania. All'inizio le cose non vanno
molto bene per i Romani. SEMPRONIO GRACCO, chiamato dall'Apulia per sbarrare
il passo ad un esercito cartaginese guidato da Magone, cade in un'imboscata
preparatagli da un traditore lucano. Credendo alle parole di costui che lo
invitava ad un colloquio con i capi Lucani ribelli per trattare la resa, con
un drappello di cavalieri si avviò nel luogo stabilito, ma qui fu circondato
ed assalito da un gran numero di nemici e, dopo un'eroica resistenza, furono
tutti uccisi.
Un rovescio subisce in Apulia un esercito romano, una sconfitta tocca alle
truppe consolari presso Capua e sedicimila Romani e Italici sbaragliati in
Lucania. Sono perdite gravissime, ma queste sconfitte non intralciano le
operazioni intorno a Capua; spronano anzi maggiormente Roma a farla finita una
buona volta con la città ribelle, la quale, stretta da tutti i lati,
tormentata dai continui assalti dei legionari e dalla penuria di vettovaglie,
chiede disperatamente aiuto al capo Cartaginese.
ANNIBALE risponde subito all'appello. Lasciata Taranto, nella cui rocca il
presidio romano resiste disperatamente, marcia a grandi giornate verso Capua;
passando per Calazia, sorprende la guarnigione romana e la distrugge, poi si
accampa sulle montagne di Tifate, nelle vicinanze di Capua sperando di
provocare a battaglia i consoli, ma non osa assalire gli eserciti nei campi
fortemente trincerati. La sua presenza non reca alcun giovamento alla città
assediata. Allora Annibale mette in opera un audacissimo disegno nella
speranza che i consoli tolgano l'assedio da Capua. Rimosso il campo, marcia
verso il Lazio. Attraversa il Sannio, i territori dei Peligni, dei Marrucini e
dei Marsi e, passato l'Aniene, giunge minacciosamente a due miglia da Roma.
L'improvvisa comparsa del temuto capitano suscita lo sgomento nella città,
dove si crede che gli eserciti consolari siano stati distrutti; ma, ritornata
la calma negli animi, si prepara la difesa. Meraviglioso è il contegno di Roma
di fronte al pericolo: per mostrare ad Annibale che non teme nulla, pone in
vendita il terreno dove i Cartaginesi si sono accampati e spedisce delle
truppe in Spagna.
Ma Annibale non ha alcuna voglia di assalire la città. Fallito il tentativo di
distrarre i Romani da Capua, leva il campo pure da Roma e si avvia verso il
mezzogiorno d'Italia, seguito da una schiera di legionari, i quali, però,
affrontati dai Cartaginesi, con imboscate o attacchi se ne liberano
Ma questo lieve successo del nemico non influisce sull'assedio di Capua. La
sorte di questa città è ormai segnata. È inutile ogni resistenza contro un
nemico (i romani) deciso a vincere, e contro la fame; meglio arrendersi.
Ambasciatori sono inviati al campo romano, nonostante l'opposizione di VIBIO
VINIO che vorrebbe che si continuasse a resistere. La resa però è stabilita.
Vibio, per non cadere in mano al nemico, si riunisce a banchetto nella propria
casa con alcuni amici e, dopo un lauto pranzo, i convitati brindano con un
veleno dandosi la morte.
Il giorno dopo Capua apre le porte e subisce la sorte di Agrigento; le case
sono abbandonate al saccheggio delle soldatesche, ai cittadini sono sottratte
le armi, mentre i ricchissimi tesori e le opere d'arte sono inviati a Roma;
cinquantatre senatori sono sommariamente processati e subito giustiziati sulle
piazze di Cales e di Teano; parte degli abitanti è ridotta in schiavitù, parte
è stipata nelle prigioni, parte è confinata a Vejo, Nepete e Sutrio, parte
oltre il Volturno e il Liri.
Soltanto gli operai e i liberti sono lasciati in città; le case dei ricchi
sono messe tutte a disposizione di quei Romani che vogliono stabilirsi a
Capua. L'anno dopo, Capua è cancellata dal numero delle città e il territorio
e le case sono dichiarate patrimonio della repubblica.
La presa di Capua rianima i Romani e scoraggia le città ribelli, che a poco a
poco abbandonano Annibale per il contegno delle truppe cartaginesi. Salapia,
nell'Apulia, massacra cinquecento cavalieri Numidi, che costituiscono il
presidio, e si dà a Claudio Marcello.

Nel 209 a.C. Roma affida il comando di tre eserciti ai consoli QUINTO FABIO
MASSIMO e QUINTO FULVIO FLACCO e al proconsole MARCELLO. Il primo, console per
la quinta volta, ha il compito di riconquistare Taranto. Perché l'impresa
riesca Marcello con le sue truppe costringe Annibale ad allontanarsi da
Canusio e a lasciar libero il passo all'esercito di Fabio, mentre dal presidio
di Reggio si muovono alcuni reparti su Caulonia per attirarvi il nemico e
distrarlo da Taranto.
Così FABIO MASSIMO può avere la via libera e giungere indisturbato a Taranto;
se ne impadronisce con lo stesso sistema dei Cartaginesi: con il tradimento di
un ufficiale bruzio dei Cartaginesi.
Taranto è spogliata e saccheggiata, un gran numero di abitanti e soldati
uccisi e parte del territorio dichiarato dominio della repubblica.
Annibale corre, si precipita in difesa di Taranto, ma quando vi arriva la
città è già in potere dei Romani ed il generale Cartaginese si rifugia a
Metaponto.
La stella della sua fortuna, va sempre più declinando; ma di tanto in tanto ha
qualche improvviso bagliore. Nel 208 Annibale si accampa tra Venusia e Bantia
al confine dell'Apulia con la Lucania; gli eserciti dei consoli CLAUDIO
MARCELLO e TITO QUINZIO CRISPINO lo tallonano e pongono il campo vicino a lui,
ma non di fronte a lui, perché solo un colle boscoso divide gli accampamenti
dei Cartaginesi da quelli dei Romani e tra le piante in agguato vi sono alcuni
reparti di cavalieri di Numidia.
I due consoli, desiderosi di occupare il colle, vanno ad esplorarlo con un
piccolo reparto di cavalleria, ma sono improvvisamente assaliti dai nemici. Si
accende la lotta, ma il numero dei Numidi ha il sopravvento; Marcello, dopo
una strenua difesa, soccombe e Crispino, ferito, riesce a salvarsi e a
riparare con l'esercito in Campania dove muore per le ferite riportate.
Da undici anni dura la guerra in Italia contro Annibale e Roma è quasi esausta
dagli immani sforzi; ma il patriottismo dei Romani è grande e i ricchi non
esitano a dare alla repubblica tutto l'oro e gli oggetti preziosi posseduti.
Le città italiche alleate che fino ad ora hanno sopportato con Roma il peso e
i disagi della guerra sono anch'esse stanche ed esauste; dodici dichiarano di
non voler più continuar a mandar aiuti d'uomini e di denari e invano la
repubblica cerca di farle desistere dai loro propositi. Alla defezione delle
città alleate si aggiunge ora il contegno minaccioso dell'Etruria, e Roma
quasi da sola è costretta a nuove spese e a nuove leve per mandarvi un
esercito.
Così stavano le cose quando una gravissima notizia giunse a Roma: ASDRUBALE,
fratello d'Annibale, proveniente dalla Spagna, sta per valicare le Alpi per
scendere in Italia in aiuto del grande generale cartaginese.
Come l'ormai celebre fratello, anche lui è un uomo astuto, che in Spagna (come
leggeremo nel prossimo capitolo) ha dato del filo da torcere alle legioni che
Roma ha continuato a inviare per recuperare i territori dopo la disfatta a
Sagunto, ma anche per tenere impegnato l'esercito cartaginese, evitandogli di
portare aiuto in Italia al fratello.
Ora, è anche sta discendendo dalle Alpi, e se il suo valore è pari a quello di
Annibale, per Roma ci sono davanti altri undici anni di guerre?

tratto completamente dal sito cronologia. come vedi, i romani non erano sprovveduti per niente
18/07/2006 00:55
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Una serie di semplice questioni :

- Davide sei troppo di parte e alle volte calchi troppo le tinte (secondo me aggiungendo pure invenzioni troppo colorite)
Non puoi venirmi a dire che a Canne i Cartaginesi erano molti di meno di quelli che vengono riportati : le fonti storiche dicono chiaramente 2 a 1 (circa 100.000 romani contro 50.000 cartaginesi).

A questo punto dovrei aggiungere che a Gaugamela fonti macedoni affermano espressamente che i Persiani fossero addirittura sul milione di uomini, ma per correttezza mi baso sulle fonti ufficiali.

- Alla frase Alessandro non era un'intellettuale : "l'intellettuale si distingue perchè lascia la parola scritta", non credo di aver mai sentito cagata più grossa :

Socrate era analfabeta, qualcuno non lo definirebbe un' intellettuale ?

E' stato allevato da Aristotele ed è stato il più grande fautore e diffusore della cultura greca in Asia e viceversa di quella persiana presso i Greci, certo aveva da conquistare mezzo continente : scusate se non aveva il tempo di scrivere un'enciclopedia !

Per quanto riguarda Cesare, se qualcuno intendesse citarlo, (che Sextus non me ne abbia ma è la verità) i De Bello Gallico e Civili non erano resoconti obiettivi delle vicissitudini cesaree, ma meri strumenti di propaganda che lo stesso Cesare si affannava a diffondere presso i Senatori e gli intellettuali di Roma al fine di consolidare il proprio potere politico.

Alcune descrizioni di suo pugno sembrano letteralmente prese dai film di Ridley Scott.

Che i Persiani fossero militarmente inferiori ai macedoni è sicuramente un dato di fatto ma questo non vuol dire che fossero meno pericolosi : ognuno adopera le armi di cui dispone e se i greci/macedoni avevano le tecnologie e le tattiche militare, i persiani avevano preparazione di ottime truppe scelte (ma di poco numero e di scarsa coesione), milioni di uomini,
oro e potere politico presso ognuna delle polis greche (che per la cronaca erano state malamente soggiogate da Alessandro e non aspettavano altro che il momento propizio per infinocchiarlo e riconquistarsi la secolare, agognata autonomia).

I Persiani non erano poveracci, avevano una cultura estremamente stratificata e Babilonia era la più fastosa e colossale città del mondo conosciuto !! (E non solo per via dei Babilonesi e degli Assiri, che cmq avevano più in comune con i Persiani che con i Greci basti vedere le architetture di Persepoli).

Quando i macedoni la videro furono sconcertati, erano loro i veri pastori poveracci ! Ve li immaginate davanti alle porte di Ishtar e ai giardini pensili ?

Alessandro ha sfruttato al meglio le proprie forze e la storia gli ha dato ragione.

La vittoria di Scipione a Zama non può essere considerata una "questione di culo" o un momento sfavorevole di Annibale : la storia non è fatta di se e ma, la storia la scrivono i vincitori.

Annibale sapeva che il Senato e le altre famiglie Cartaginesi gli andavano contro : avrebbe dovuto prevederlo e agire di conseguenza, a maggior ragione se era sto po' po' di gran genio.

A questo punto potrei dire : se in India non ci fosse stata la giungla e il tifo e l'Hindokush Alessandro avrebbe trionfato lungo l'intera piana dell' Indo, ma non lo dico.

La storia è questa.

Non è vero che Alessandro Magno non è un innovatore militare, non so come si faccia a dire certe vaccate :

Anzitutto è stato lui a concretizzare la tattica dell'incudine e del martello macedone che non solo i Greci ma lo stesso Filippo non avevano mai raggiunto con pienezza.

E' stato lui a concepire la tecnica della trappola per topi da utilizzare contro i carri :

Dario lanciò i suoi carri, alcuni dei quali furono intercettati dagli Agriani. Pare che l'esercito Macedone fosse stato addestrato ad una nuova tattica per contrastare il devastante attacco dei carri, se questi fossero penetrati nei loro ranghi. Le prime linee avrebbero dovuto spostarsi lateralmente, aprendo un vuoto. Il cavallo si sarebbe rifiutato di schiantarsi contro le lance delle schiere più avanzate e sarebbe entrato nella trappola, dove le lance delle seconde linee lo avrebbero fermato. I cocchieri sarebbero, allora, stati uccisi con facilità. Di fatto, i Macedoni riuscirono a fermare l'attacco dei carri.

I persiani inoltre non erano affatto dei contadini minchioni che scappavano al primo accenno di sconfitta o di fuga del proprio regnante :

Quando Dario scappa sul famigerato carro Alessandro deve optare per non inseguirlo poichè l'ala di Parmenione sta per essere sterminata dalle file dei lancieri persiani. Deve per forza fare dietro front e caricarli alle spalle per garantirsi la vittoria.

Cmq andiamo avanti da settimane con questa discussione asfisiante.

Sapete meglio di mè che nessuno cambierà mai parere, pertanto a quale fine continuare ?? [SM=x506656]

[Modificato da + Mather + 18/07/2006 1.11]

18/07/2006 01:24
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Re:

Scritto da: + Mather + 18/07/2006 0.55
Una serie di semplice questioni :

- Davide sei troppo di parte e alle volte calchi troppo le tinte (secondo me aggiungendo pure invenzioni troppo colorite)
Non puoi venirmi a dire che a Canne i Cartaginesi erano molti di meno di quelli che vengono riportati : le fonti storiche dicono chiaramente 2 a 1 (circa 100.000 romani contro 50.000 cartaginesi).

A questo punto dovrei aggiungere che a Gaugamela fonti macedoni affermano espressamente che i Persiani fossero addirittura sul milione di uomini, ma per correttezza mi baso sulle fonti ufficiali.

- Alla frase Alessandro non era un'intellettuale : "l'intellettuale si distingue perchè lascia la parola scritta", non credo di aver mai sentito cagata più grossa :

Socrate era analfabeta, qualcuno non lo definirebbe un' intellettuale ?

E' stato allevato da Aristotele ed è stato il più grande fautore e diffusore della cultura greca in Asia e viceversa di quella persiana presso i Greci, certo aveva da conquistare mezzo continente : scusate se non aveva il tempo di scrivere un'enciclopedia !

Per quanto riguarda Cesare, se qualcuno intendesse citarlo, (che Sextus non me ne abbia ma è la verità) i De Bello Gallico e Civili non erano resoconti obiettivi delle vicissitudini cesaree, ma meri strumenti di propaganda che lo stesso Cesare si affannava a diffondere presso i Senatori e gli intellettuali di Roma al fine di consolidare il proprio potere politico.

Alcune descrizioni di suo pugno sembrano letteralmente prese dai film di Ridley Scott.

Che i Persiani fossero militarmente inferiori ai macedoni è sicuramente un dato di fatto ma questo non vuol dire che fossero meno pericolosi : ognuno adopera le armi di cui dispone e se i greci/macedoni avevano le tecnologie e le tattiche militare, i persiani avevano preparazione di ottime truppe scelte (ma di poco numero e di scarsa coesione), milioni di uomini,
oro e potere politico presso ognuna delle polis greche (che per la cronaca erano state malamente soggiogate da Alessandro e non aspettavano altro che il momento propizio per infinocchiarlo e riconquistarsi la secolare, agognata autonomia).

I Persiani non erano poveracci, avevano una cultura estremamente stratificata e Babilonia era la più fastosa e colossale città del mondo conosciuto !! (E non solo per via dei Babilonesi e degli Assiri, che cmq avevano più in comune con i Persiani che con i Greci basti vedere le architetture di Persepoli).

Quando i macedoni la videro furono sconcertati, erano loro i veri pastori poveracci ! Ve li immaginate davanti alle porte di Ishtar e ai giardini pensili ?

Alessandro ha sfruttato al meglio le proprie forze e la storia gli ha dato ragione.

La vittoria di Scipione a Zama non può essere considerata una "questione di culo" o un momento sfavorevole di Annibale : la storia non è fatta di se e ma, la storia la scrivono i vincitori.

Annibale sapeva che il Senato e le altre famiglie Cartaginesi gli andavano contro : avrebbe dovuto prevederlo e agire di conseguenza, a maggior ragione se era sto po' po' di gran genio.

A questo punto potrei dire : se in India non ci fosse stata la giungla e il tifo e l'Hindokush Alessandro avrebbe trionfato lungo l'intera piana dell' Indo, ma non lo dico.

La storia è questa.

Non è vero che Alessandro Magno non è un innovatore militare, non so come si faccia a dire certe vaccate :

Anzitutto è stato lui a concretizzare la tattica dell'incudine e del martello macedone che non solo i Greci ma lo stesso Filippo non avevano mai raggiunto con pienezza.

E' stato lui a concepire la tecnica della trappola per topi da utilizzare contro i carri :

Dario lanciò i suoi carri, alcuni dei quali furono intercettati dagli Agriani. Pare che l'esercito Macedone fosse stato addestrato ad una nuova tattica per contrastare il devastante attacco dei carri, se questi fossero penetrati nei loro ranghi. Le prime linee avrebbero dovuto spostarsi lateralmente, aprendo un vuoto. Il cavallo si sarebbe rifiutato di schiantarsi contro le lance delle schiere più avanzate e sarebbe entrato nella trappola, dove le lance delle seconde linee lo avrebbero fermato. I cocchieri sarebbero, allora, stati uccisi con facilità. Di fatto, i Macedoni riuscirono a fermare l'attacco dei carri.

I persiani inoltre non erano affatto dei contadini minchioni che scappavano al primo accenno di sconfitta o di fuga del proprio regnante :

Quando Dario scappa sul famigerato carro Alessandro deve optare per non inseguirlo poichè l'ala di Parmenione sta per essere sterminata dalle file dei lancieri persiani. Deve per forza fare dietro front e caricarli alle spalle per garantirsi la vittoria.

Cmq andiamo avanti da settimane con questa discussione asfisiante.

Sapete meglio di mè che nessuno cambierà mai parere, pertanto a quale fine continuare ?? [SM=x506656]

[Modificato da + Mather + 18/07/2006 1.11]



Essendo che non voglio essere coinvolto nelle vostre infantili liti non intervengo attivamente...dico solo che i Persiani erano dei contadini chiamati alle armi in guerra... ovviamente i loro ufficiali no.
A gaugamela credo che i lancieri persiani non fossero neanche informati della fuga del resto dell'esercito...


----------------------------------------

"Per garantire che resteremo sempre uniti, che parleremo sempre con un'unica voce e che agiremo con un'unica mano la Repubblica dovrà cambiare. Dobbiamo evolverci, dobbiamo crescere. Siamo diventati un Impero di fatto, diventiamo un Impero anche di nome!
Siamo il primo Impero Galattico!
Siamo un Impero che continuerà a essere governato da questo nobile consesso!
Siamo un Impero che non ripeterà i maneggi politici e la corruzione che ci hanno feriti così profondamente!
Siamo un Impero che sarà governato da un unico sovrano eletto a vita!
Siamo un Impero governato da una maggioranza!
Un Impero governato da una nuova costituzione!
Un Impero di leggi,non di politici!
Un Impero votato alla salvaguardia della società onesta. Di una società unita e sicura!
Siamo un Impero che durerà diecimila anni!"

Discorso di Creazione dell'Impero, 19 BBY
Imperatore Palpatine



18/07/2006 04:57
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Rileggere prego le fonti storiche

www.warfare.it/storie/persiani.html

Molti erano contadini, ma anzitutto, ciò non implica necessariamente un'incapacità intrinseca di organizzazione militare :

Non abbiamo fonti sicure sul tipo di addestramento impartito a questi contadini (e ciò esclude comunque i lancieri corazzati, gli immortali persiani e i famigerati cavalieri persiani che erano tutt'altro che guerrieri incapaci).

In secondo luogo un sacco di popoli vantavano contadini preparati militarmente : molti guerrieri di tribù celtiche ed indogermaniche, i popoli del Mare, i più celebri AngloSassoni e Vichinghi erano contadini presi dai campi dotati di un sommario addestramento militare e hanno messo a ferro e fuoco diversi popoli (alcuni l'intera Europa).


E poi ricordiamoci che quei contadini sono gli stessi che hanno messo fine ai Medi, ai Babilonesi (più con abili strategie politiche che con movimenti militari) e agli Assiri.

Non è roba da niente.

Se ci fosse stato Ciro I o II al posto di Dario sarebbero stati cazzi maggiormente acidi per Alessandro.

Ma proprio come ho già detto la storia non si scrive con i ma...

e per quanto riguarda la figura di Gaio Terenzio Varrone a

Canne non c'è di certo paragone in termini di deficienza.

Uno che contravviene ai consigli dei generali spingendo una massa di legionari inesperti su un terreno accidentato in pendenza con i fianchi bloccati da foresta e fiume e che lancia quasi tutta la fanteria pesante al centro contro un branco di schermagliatori non è proprio sto fior fior di tattico.

L'ha scritto anche Davide Cool :

I Romani infatti, avevano davanti il sole e
un vento che, soffiando da mezzodì, sollevava una densa polvere che accecava.

Terenzio era un povero plebeo incapace, Annibale aveva dalla sua Asdrubale e Maarbale, e 'itt nient !

[Modificato da + Mather + 18/07/2006 5.03]

18/07/2006 15:00
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[SM=x506627] quoto mather

cmq io vi posso assicurare e ve lo confermerà greek che i persiani nn erano contadini.In tutti i libri che ho letto su Alessandro nessuno degli autori parla di contadini.
A gaugamela nessuno poteva essere informato della fuga di dario visto che c'era un polverone incredibile,anche se fosssero stati informati nn avrebbero potuto fare nulla visto che erano caduti nell'incudi e nel martello(cosa che all'inizio sembrava impossibile)

[Modificato da Alessandro Magno III 18/07/2006 15.03]

"Desidero che ciascuno di voi, viva felice ed in pace, ora che la guerre stanno per finire.
Tutti gli uomini mortali, da ora in avanti, vivranno uniti in un solo popolo e lavoreranno pacificamente per il bene comune.
Dovrete considerare tutto il mondo come il vostro paese, un paese con il migliore governo possibile, con delle leggi comuni, senza distinzione di razza.
Io non faccio distinzione, come altre menti ottuse fanno, fra Greci e Barbari. Non sono interessato alle origini razziali dei sudditi. Li distinguo solamente sulla base delle loro qualità.
Per me, ogni straniero è un greco ed ogni cattivo greco è un barbaro.
Se ci sono delle differenze fra di voi, non dovete risolverle con le armi, ma con la pace. Se ce ne sarà necessità, io agirò come vostro tramite.
Nn dovete pensare a Dio come a un despota autoritario, ma come ad un padre comune, cosicchè la vostra condotta assomigli a quella di tanti fratelli, che appartengono alla stessa famiglia.
Per quello che mi riguarda, io considero tutti, siano essi bianchi o neri, uguali.
E vorrei che non foste solo sudditi del mio impero, ma anche partecipi alleati.
Dovreste considerare il Giuramento che abbiamo fatto stanotte come un Simbolo di Amore".

Alessandro, dal discorso alle truppe a Babilonia

Avrebbe potuto restarsene a casa in Macedonia, sposarsi, avere una sua famiglia, sarebbe stato celebrato da morto. Ma non era questo Alessandro. Tutta la vita ha combattuto per liberarsi dalla paura e così lottando, così solo, è diventato libero. L'uomo più libero che abbia mai conosciuto. La solitudine crescente e l'impazienza di coloro che non riuscivano a capire furono la sua vera tragedia e se il suo desiderio di riconciliare greci e barbari finì nel baratro del fallimento...e che fallimento, il suo fallimento superò qualunque successo ottenuto dagli altri. Io ho vissuto una lunga vita Kadmo ma gloria e memoria apparterrano per sempre a coloro che seguiranno la propria grande visione e il più grande di questi è colui che ora chiamano Megas Alexandros, Alessandro il grande. (Dal film Alexander)

Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno(Giovanni Falcone)
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