Mod di riferimento: Invasio Barbarorum Flagellum Dei 6
Premessa
Nell'anno 410 d.C. Roma versava in una nera situazione, che ne presagiva una caduta immediata.
L'Impero, oramai frazionato in tre parti di cui due in guerra fra loro, era facile preda dei barbari che avevano sfondato tutti i limes e dilagavano nei suoi territori.
Mentre ad oriente l'oro di Costantinopoli permetteva di tenere la supremazia sui propri territori ad Occidente i Visigoti dilagavano in Spagna, i Goti in Italia e l'Africa per problemi interni si ribellava continuamente.
L'Imperatore, Onorio Flavio, per tentare di salvare Roma aveva stabilito un piano che consisteva nel richiamare le due legioni galliche in Italia, radunare le tre legioni Italiche e sconfiggere i Goti.
Dopo questi puntava a sconfiggere l'Imperium Costantini e ad impadronirsi della Gallia, per ristabilire l'ordine Romano sul continente.
Tuttavia tre orde Gotiche si erano portate nei pressi di Roma, e minacciavano direttamente la capitale dell'impero.
Onorio, al comando di una legione e con un'altra al suo seguito, si portò nei pressi della Città Eterna dove con 2700 uomini si oppose a 5000 Goti circa.
Lo Scontro
Onorio occupò per primo il campo di battaglia, schierando le sue legioni con tre coorti d'arcieri in prima linea, subito dietro gli ausiliari illirici e i limitanei, dietro i quali stavano i comitatensi, orgoglio di Roma.
Dietro ai comitatensi era situata un altro reggimento di arcieri con l'Imperatore; sul lato sinistro stava una turma di Cibarnari e due turme di cavalleria da lancio, a destra stava una turma di cavalleria pesante e due di cavalleria da lancio.
Sullo sfondo si cominciarono ad intravedere le armate Gotiche che marciavano in successione: erano sotto tre comandi differenti e si muovevano confusamente, mantenendo disordinatamente i propri ranghi, che erano molto allargati e fra i quali intercorrevano talvolta parecchi metri.
Mentre l'orda, terribile d'aspetto, avanzava giunse un messaggero da parte della VI Legione, al comando di Valente Perpenna, che informava che a causa di disguidi l'esercito sarebbe giunto in ritardo.
Onorio si ritrovava ad affrontare con 1300 uomini un nemico di quattro volte superiore.
I comandanti delle orde nemiche, Teodorico, Alarico e Theudis (capitano semplice) erano talmente convinti della vittoria da non badare neppure a tenere le proprie schiere ordinate, mossa che gli si rivelerà fatale.
Quando giunsero a circa 500 metri di distanza Onorio fece avanzare la cavallerie da tiro in modo da bersagliare i reparti di fanteria laterali, temibili lancieri gotici.
Il tiro si spostò celermente sulla cavalleria da tiro nemica, che disordinata incassò quasi passivamente cominciando a perdere uomini e volgendo rapidamente in ritirata.
Quando cominciarono a tirare anche gli arcieri appiedati cominciò un vero e proprio mattatoio per l'esercito di Teodorico: la cavalleria leggera cominciò a penetrare in alcuni corridoii lasciati fra le truppe nemiche e ad attaccare alcune unità separate e più deboli.
Grazie a questa strategia il nemico avanzò lentamente, molto spesso tornando sui suoi passi, diventando facile preda degli arcieri capitolini.
Allora all'orda di Teodorico, la più avanzata delle tre, si aggiunsero rapidamente anche quella di Alarico e Theudis, formando un semicompatto esercito comprendente circa 4600 unità.
Alcune unità di levanti gotici per eliminare i dannati arcieri intrapresero una carica volontaria contro questi, venendo letteralmente distrutti dai cibarnari che controcaricarono e li volsero in fuga.
Dopo 30 minuti di scontro (minuti reali) il parziale perdite era di 35 cavalieri leggeri per i Romani e di circa 800 fra fanti e cavalieri per i goti... non c'era ancora traccia dei rinforzi.
Le orde nemiche cominciarono ad avanzare decise, ritornando però ad essere a ranghi allargati e disunite fra loro (davanti a tutti stava il residuo dell'orda di Teodorico e l'orda di Theudis, dietro stava Alarico).
Le cavallerie da tiro, esaurite le freccie, tornarono dietro i propri ranghi e così fecero gli arcieri, che si posizionarono fra limitanei e comitatensi.
Il primo vero e proprio assalto nemico fu compiuto dalla cavalleria da tiro rimasta senza freccie (300 cavalieri circa) che tentarono uno sfondamento sul fianco sinistro Romano.
Questo tuttavia era tenuto egregiamente da 30 cibarnari e 120 cavalieri leggeri: con minime perdite volsero in fuga i nemici.
Si arrivò finalmente allo scontro fra le fanterie: numerosissima caricò quella nemica ma eguale fu l'impeto dei Romani, che inflissero molte perdite.
Lo scontro fra le fanterie, contro le previsioni di tutti, fu paritario ed i nemici non sfruttarono la loro superiorità numerica essendo schierati su circa cinque linee distanti da loro in continuo avanzamento.
L'unica cosa che mise realmente in difficoltà la legione fu la carica di circa 1000 cavalieri sul lato destro, che venne tenuta per circa dieci minuti dall'intera cavalleria romana (450 unità circa) per poi volgerla in fuga.
Una carica dei comitatensi della seconda linea permise di mandare in rotta la prima linea barbara e quindi un avanzamento notevole fino ad impattare con il grosso dei nemici, che da cinque linee erano divenute due.
La cavalleria sul lato destro si rese artefice di uno straordinario sfondamento: caricarono con forza una ad una le truppe nemiche che sitavano su quel lato molto distanti fra loro, andarono in rotta una ad una.
Allora, forte di tale vittoria, il reparto equino romano converse verso il centro nemico che, rapidamente, cominciò a fuggire (anche se rimanevano circa 35 reggimenti combattivi fra le file barbariche).
Quando la vittoria pareva arridere ai Romani si aggiunsero altre due festose notizie: Teodorico era stato ucciso da un comitatense e i rinforzi erano finalmente giunti.
Fuga delle truppe di Alarico
L'inseguimento, se di tale si può parlare giacchè fu il proseguo della battaglia contro unità nemiche disparate che puntualmente volgevano in fuga, durò circa altri 30 minuti, e si concluse con una magnifica dimostrazione di valore: Alarico, al comando dei suoi seicento superstiti, si stava ritirando, quando una carica di solamente 200 cavalieri capitolini li volse in fuga e ne falciò moltissimi in fuga.
Alla fine della battaglia sopravvissero 2200 romani circa e 550 barbari: tuttavia 440 di questi si dispersero fra le montagne mentre solamente 111 seguirono Alarico nel ricongiungersi con le sue truppe nei pressi di Ascoli.
Risultato della Battaglia
Conseguenze
La vittoria costituì un bastione al valore di Roma: come ai tempi di Claudio II Il Gotico il valore capitolino era prevalso sul numero di barbari.
Con i nemici oramai lontani dal Lazio e ridotti a 3000 soldati in sud Italia, Onorio vedeva realizzabile il suo sogno dal momento che dal nord stavano giungendo altre due legioni.