Mod di riferimento: Europa Barbarorum
Premesse
Nel
255 a.C. Roma, con l'annessione di Patavium, ha terminato la conquista della penisola, eccezion fatta per Mediolanum tenuta dagli Edui. La Repubblica deve fare i conti con la costante penuria di denaro dovuta a porti con pochi sbocchi commerciali, data la bellicosità delle città-stato sulle coste sicula e balcanica, ed un eccessivo costo di mantenimento delle legioni.
Il Senato lo stesso anno decretò l'invasione dell'Epiro, cacciato 17 anni prima dall'Italia, per creare una colonia romana in terra balcanica e nuovi sbocchi commerciali, nonché uno sbocco sulla prolifica grecia.
Appio Aurelio Cotta, diciannovenne di stirpe non illustre dotato di buon acume strategico, viene messo al comando di 1400 soldati, ben addestrati ed omogenei, per l'invasione dell'Epiro.
Nel
254 a.C. sbarca vicino alla città di Ambrakia e, accampato su di un colle, invita gli eserciti avversari al combattimento. Questi, comandati da
Eudamida, in leggera superiorità numerica, danno battaglia.
Gli Schieramenti
Il Generale Romano schierò le sue truppe a difesa del colle, ben conscio della difficoltà delle falangi di combattere sui terreni scoscesi. Grande timore tra i romani destava la cavalleria epirota, superiore per numero ed efficacia alle due torme di equiti (100 cavalieri) a disposizione. Per questo motivo Appio dispose il centro del suo schieramento nella usuale formazione a scacchiera, con gli astati in prima linea e i principi in seconda, ponendo i triari a preservare il fianco destro.
Sulla destra si trovava una foresta della stessa altezza del colle, e se era poco praticabile per le compatte falangi, diversa questione poteva essere per la cavalleria. Il fianco sinistro era protetto dalla ripidità del colle, tanto che attaccare da lì sarebbe equivalso ad un suicidio.
La cavalleria, numericamente insignificante per poter giocare un ruolo importante nella battaglia, venne nascosta nella foresta.
Eudamida si schierò con la falange al centro, mentre la fanteria illirica copriva i fianchi. La cavalleria, pesante, si teneva lateralmente distaccata dal grosso delle forze.
La Battaglia
Appio era saldamente intenzionato a non abbandonare la sicura posizione, conservando in se la assoluta certezza che il nemico avrebbe tentato di espugnarla, non potendo tollerare schiere avverse a pochi chilometri dalla sua capitale.
Eudamida ebbe chiaro fin da subito il suo obiettivo: scardinare la formazione avversaria per portarla in una collocazione geografica che potesse essere più favorevole. Per questo motivo la sua prima mossa fu di far caricare alla cavalleria pesante il fianco destro romano passando per la foresta. Solo la fortuna permise agli equiti di non essere visti e per tanto sterminati.
In questo frangente la scelta del Generale capitolino di schierare i triari a destra si rivelò quanto mai azzeccata, visto che ressero l'impatto con la cavalleria da soli, senza necessitare di aiuti da altri reparti e senza intaccare, così, la formazione. Vista la situazione sfavorevole i cavalieri volsero in fuga dopo aver subito perdite considerevole e forse speravano di attirarli in un inseguimento. Gli ordini di Appio risultarono tuttavia ferrei: nessuno doveva abbandonare i propri posti.
Il grosso delle falangi epirote giunse a contatto con l'intero schieramento romano, la cui conformazione impediva loro di creare un fronte compatto, risultando vulnerabili ai fianchi. Contemporaneamente però Eudamida aveva inviato la cavalleria con la fanteria illirica a risalire il fianco del colle, laddove il generale romano non pensava di essere colto.
Gli astati posti a sua difesa incontrarono difficoltà nel tenere le posizioni e solo la brillantezza ed il sangue freddo di Appio permisero ai Triari di arrivare sul posto in tempo, respingendo la carica senza poterli inseguire.
Privati del loro fianco e sentendosi vulnerabili, i falangiti cominciarono ad indietreggiare. Appio, peccando forse di eccessiva prudenza, temette di essere tratto in trappola e così rinunciò all'inseguimento globale, distaccando solo due manipoli di astati per dar loro fastidio.
Quando gli fu chiara l'intenzione di Eudamida di arroccarsi ad Ambrakia lanciò la cavalleria all'inseguimento ed essa, fresca e riposata, fece strage di nemici. Una buona metà di quell'esercito epirota venne sterminato, infliggendo perdite irrisorie (21 soldati) ai capitolini.
Conseguenze
La vittoria fu fondamentale per il proseguo della campagna, giacché spezzò l'unica resistenza considerevole Epirota. Le truppe, galvanizzate per il successo, lo nominarono
Imperator e due anni dopo Ambrakia si arrese. Tornò a Roma nel
251 a.C. e celebrò il suo trionfo, pronto a diventare il più grande comandante che Roma conoscesse dai tempi di Furio Camillo.