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L'imperatore più inetto

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2006 15:10
08/09/2005 19:15
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Ti riporto la descrizione della Battaglia di Adrianopoli, da Cronologia.it


La Battaglia di Adrianopoli

Negli anni 374-375 d.C. la bellicosa tribù degli Unni, una popolazione nomade di origine mongola, si mosse verso Occidente e, oltrepassato il fiume Volga, entrò in contatto con i Visigoti che abitavano quelle terre, e li sospinsero verso le frontiere romane.

Imperatore Romano d’Oriente era Flavio Valente, un buon funzionario dell’amministrazione imperiale, ma del tutto inadeguato alle circostanze che si erano presentate in quel periodo. Egli constatò che il suo esercito non era pronto a fronteggiare la minaccia dei Visigoti, e decise di tentare una soluzione pacifica.

Dal momento che essi desideravano entrare nell’impero ed erano anche disposti a militare nell’esercito romano, nel 376 d.C. Valente li accolse e assegnò loro la Tracia in qualità di Federati dell’Impero.

Purtroppo però la convivenza tra Romani e barbari si rivelò impossibile: le autorità romane sottoponevano i Visigoti a vessazioni di ogni tipo e ne respingevano l’integrazione. Allora i Visigoti si valsero dell’aiuto degli Ostrogoti che, nonostante il divieto impostogli dall’autorità romana, oltrepassarono il Danubio e presero insieme a devastare la penisola balcanica.

Valente si sentì allora in dovere di scendere in campo e in un primo momento la campagna intrapresa produsse dei successi contro le numerose ma disorganizzate tribù gotiche, che vennero sconfitte sulla Maritza.
Tuttavia per bloccare definitivamente le scorrerie barbariche serviva una grande offensiva, ma era opportuno attendere l’aiuto dell’Imperatore Romano d’Occidente, ossia Graziano, nipote dello stesso Valente. Graziano era però impegnato in Occidente contro gli Alemanni di Merobaude, e si mise in marcia verso l’Oriente solo dopo averli sconfitti. Intanto le circostanze imposero a Valente, che sottovalutò il numero delle forze nemiche, di affrontare la battaglia prima dell’arrivo del nipote, confidando nella preparazione del suo generale Sebastiano.

La battaglia decisiva avvenne nei pressi della città di Adrianopoli (oggi Edirne, in Turchia),
il 9 agosto del 378 d.C.

I soldati Romani erano in inferiorità numerica (circa 15.000 uomini) mentre i Visigoti erano decine di migliaia. I primi si trovarono inaspettatamente davanti ad un muro umano impenetrabile: i Visigoti comandati da Frintigerno, uniti a Ostrogoti e ad Alani, guidati rispettivamente da Alanteo e Safrace, si coalizzarono e ciò aggravò la già terribile situazione dei Romani.

Valente, colpito da una freccia, venne trasportato dalle sue guardie del corpo in un capanno, che venne però incendiato dai barbari senza sapere chi vi fosse dentro, e morì quindi bruciato. Il suo cadavere non venne mai ritrovato. Intanto la situazione dell'esercito romano, circondato da una massa superiore di fanteria e cavalleria nemica, era sempre più grave. Nello scontro campale che si determinò mancò ai Romani la lucidità per portare a termine un piano risolutivo. Soprattutto ai soldati romani mancarono ordini precisi che dessero un senso alla loro eroica resistenza.

La battaglia durò un’intera giornata: alla fine oltre due terzi dell’esercito imperiale rimase ucciso sul campo e tra questi anche il generale Sebastiano. La fanteria romana, pur in questa situazione disastrosa, continuò a battersi ancora per diverse ore, ma soltanto pochi superstiti guidati da Vittore riuscirono, con il favore delle tenebre, a fuggire in Adrianopoli.

I Visigoti, gli Ostrogoti e gli Alani, in preda al grande entusiasmo per la vittoria inaspettata, dilagarono quindi attorno alla città e compirono ogni genere di razzie. Il disastro di Adrianopoli fu paragonato alla disfatta di Canne che Annibale aveva inferto ai Romani nel 216 a.C.: infatti entrambe le battaglie misero in serio pericolo la stabilità dell’Impero. La prima però fu seguita da una grande vittoria, quella di Zama del 202 a.C., mentre la seconda fu invece “l’inizio della fine”.

Lo stesso vescovo di Milano Ambrogio, venuto a conoscenza dei fatti,
esclamò questa frase: “Siamo alla fine del mondo!”.

Da allora l’Impero Romano iniziò il suo cammino verso la caduta, che avverrà nel 476 d.C.


"E' utile conservare tutto ciò che non è necessario distruggere."

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