00 13/07/2015 22:22
Salve,

Riporto quanto concluso da una recente ricerca, per cui si "dimostrerebbe che i barbari nella loro conquista dell'impero hanno ricevuto un 'aiutino' da madre natura: una serie di eruzioni hanno provocato condizioni ambientali e climatiche tali da spianare loro la strada alla vittoria"

Naturalmente prendo tali conclusioni come delle supposizioni, non sposo tali teorie.

www.repubblica.it/scienze/2015/07/10/news/i_vulcani_e_non_i_barbari_hanno_distrutto_l_impero_romano-11...

SOCCOMBERE ai barbari è stata la fine dell'impero romano. C'è scritto questo sui libri di storia. Uno studio recente pubblicato su Nature spiega, però, che le popolazioni barbare non avrebbero fatto tutto da sole. Anzi, la principale causa della distruzione dell'impero sarebbe stata una serie di calamità naturali scatenate da violente eruzioni vulcaniche e che avrebbero poi provocato condizioni climatiche avverse, carestie, epidemie.

Lo studio dimostra che 15 delle 16 estati più calde tra il 500 a.C. e il 1000 d.C. furono precedute da grandi eruzioni vulcaniche con quattro delle più fredde subito dopo l'eruzione, rafforzando la correlazione scientifica tra l'attività vulcanologica e i cambiamenti climatici. È stato possibile scoprirlo grazie all'estrazione di più di venti carote di ghiaccio (blocchi cilindrici) da Groenlandia e Antartide. "C'è un grande dibattito sull'origine e le conseguenze dei cambiamenti climatici anomali che interessarono l'attuale Europa e Medioriente che iniziarono con la 'nuvola' misteriosa del 536 d. C." ha detto l'autore della ricerca, il dottore Michael Sigl, del Desert Research Institute di Reno e del Paul Scherrer Institute in Svizzera.

"Abbiamo osservato almeno due grandi eruzioni vulcaniche intorno a quel periodo storico e l'abbassamento di temperature che ha raffreddato la terra è stato provocato da particelle di solfato vulcanico che hanno ricoperto la parte più alta dell'atmosfera e hanno schermato i raggi del sole facendo da scudo". La condizione climatica inospitale ha poi innescato reazioni a catena che sono sfociate in fame, malattie, distruzione, rovina. Siccità, scarsità di cibo e la cosiddetta "peste di Giustiniano", tra il 541 e il 542, che uccise un terzo della popolazione del continente.

Cassiodoro (politico, letterato e storico romano, che visse sotto il regno romano-barbarico degli Ostrogoti e fu prefetto all'inizio del 500 d.C., ndr) scrisse nel 536 d.C. che l'Italia aveva avuto un inverno senza tempeste, una primavera senza mitezza e un'estate senza caldo". Dunque un clima avverso


si aggiunse alla debolezza militare. Molti storici considerano la peste l'ultimo flagello abbattutosi sul morente impero romano, già esanime per la perdita di potere e influenza politica in seguito alle sconfitte inflittegli dagli eserciti barbari.







[Modificato da Iulianus Apostata 14/07/2015 13:57]
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IULIANUS IL VOLSCO

Ecco il mio breve libro, un mio impegno per un approfondimento della storia locale nell'antichità del mio territorio: origini del nome, storia e topografia dell'antica Antium.

Marco Riggi, "Antium: memorie storiche nel territorio di Anzio e Nettuno", Youcanprint, 2019.

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«..il moderno Anzio. Comune di 3500 abitanti, è di recente costituzione (1858), essendo stato sempre un appodiato di Nettuno (Comune di 5500 ab.), il vero centro abitato erede e continuatore degli antichi Anziati. Scorrendo pertanto le memorie antiche di questo popolo, noi non possiamo separare, specialmente nell'età antica, Anzio da Nettuno, perché ogni anticaglia trovata ad Anzio o a Nettuno spetta ad uno stesso centro. Epigrafi anziati trovansi a Nettuno come in Anzio. […] Del resto è certo che la evoluzione del centro abitato [di Nettuno] nel medio evo, fu esclusivamente agricola. Difatti la terza notizia, che ce n'è pervenuta, è quella importantissima dell'essere stata in Anzio [l’antica Antium] fondata una "domusculta", ossia villaggio sparso nel vasto sub antico territorio. Ciò avvenne sotto il papa Zaccaria (a. 741-752) come ne fa fede il citato Liber Pontificalis (ivi, pag. 435). Contemporaneo fu l'abbandono del porto neroniano e lo spostamento od accantonamento degli Anziati a Nettuno. Quindi cessa il nome di Anzio e succede il nome dell'altro, che va divenendo soggetto alle vicende politiche della difesa del mare.»

(Giuseppe Tomassetti, "La Campagna romana antica, medioevale e moderna", vol. II, 1910, pp. 366 e 381-382).

«Che ti importa il mio nome? Grida al vento: 'Fante d'Italia!', e dormirò contento!»

-SOLDATO IGNOTO-

«Le genti che portavano il nome di Umbri sono infatti quelle che diedero vita alla civiltà più antica dell’Italia, come ricorda Plinio, il grande scienziato e storico romano, del quale tutti ricordano la frase "Umbrorum gens antiquissima Italiae". Una civiltà che dal 13° secolo avanti Cristo in poi si estese dalla pianura padana al Tevere, dal mare Tirreno all‘Adriatico, come ricordano gli storici greci, e poi (con l‘apporto safino) pian piano fino all’Italia Meridionale; una civiltà alla quale spetta di diritto il nome di “italica”, come la chiamiamo noi moderni, anche se gli storici greci e romani parlano inizialmente di “Umbri” per la metà settentrionale del territorio, e di “Ausoni” per la metà meridionale. Sul fondamento dei dati linguistici, infatti, possiamo affermare che l’Italia fu una realtà culturalmente unitaria ben prima che Roma realizzasse l’unità politica...»

-Prefazione del dottor Augusto Lancillotti al saggio "La lingua degli Umbri", di Francesco Pinna JAMA EDIZIONI-

«furono i riti italici ad entrare in Grecia, e non viceversa».

-Platone, "libro delle leggi"-

«Cavalcava la tigre di se stesso.E cosa fu la sua vita se non una disperata fedeltà ai propri sogni? La grandezza di Annibale è quì racchiusa,nella sublimazione della vittoria come fine a se stessa,come strumento di passione.Egli non aveva nessuna certezza di piegare il nemico fino in fondo,di vincere la guerra.Forse non l'ebbe mai.Ma la battaglia era il suo palpito d'uomo,e di quel fremito soltanto visse.»

Gianni Granzotto, "Annibale"

«..Tristezza e follia sono compagne.Lo spettacolo era desolante e amaro.Non restò più nulla di ciò che Annibale a Cartagine aveva visto e vissuto.Non restò più nulla di Cartagine.E tutto quello che fin quì abbiamo narrato è costruzione della memoria,ciò che è stato tramandato a noi dei fatti,dei detti,dei luoghi:le regioni dei ricordi,disperse e abbandonate nel grande cerchio del tempo,il solo che eternamente esiste.»

Gianni Granzotto,"Annibale"