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Ultimo Aggiornamento: 01/04/2011 16:44
28/03/2011 17:41
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"tattiche militari"
Ciao a tutti, propongo la creazione di un thread sulle tattiche militari.
Infatti, a parer mio, i fattori di realismo tattico sono stati implementati in questo TW e permettono di manovrare sul campo in modo verosimile. L’IA finalmente si muove alla ricerca di zone favorevoli sulla mappa tattica (specialmente in difesa) e cerca di sfondare le linee nei punti deboli o aggirando (io uso difficile per battaglie e campagna). Le mappe per l’appunto offrono diverse soluzioni strategiche (con tutti i limiti che ancora ci sono –vedi assedi-) e le unità sono ben diversificate.
Tutta questa premessa per dire che, secondo me, sarebbe molto interessante una discussione meramente TATTICA: come affrontare le diverse situazioni in game (multy e non), come sfruttare al meglio il terreno a proprio favore, quali sono stati gli schieramenti di battaglie realmente avvenute, quali le manovre militari dell’epoca, come gestire l’inferiorità numerica e/o tecnologica, quale il mix di unità migliore per creare le armate in base agli obbiettivi, come affrontare un determinato avversario, etc etc …
Magari sono io che mi perdo troppo in queste cose (da storico appassionato di tattica militare) però credo possa essere utile (oltre che divertente) per migliorare le “prestazioni” belliche.

Io posterò a breve un report su uno scontro che sto affrontando diverse volte proprio per capire ciò che cambia e quale sia la tattica migliore in quel tipo di situazione.
Scusate la lungaggine.
Ciao
30/03/2011 17:27
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30/03/2011 18:10
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Praefectus Legionis
Deus ex machina
Sicuramente l'altitudine del terreno conta, secondo me più di prima. Oggi in multi io e RickyRoss abbiamo vinto una battaglia proprio perché abbiamo caricato in discesa. Gli avversari ci avevano massacrato gli arcieri e ci facevano danno stando fermi e sulla difensiva. Ma per colpirci si erano avvicinati, e per farlo erano finiti nella parte bassa di fronte alla nostra altura. Il nostro attacco col favore della pendenza è stato devastante.
01/04/2011 09:35
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Per ora il multy non l'ho ancora provato, ma ho notato anche io che le pendenze contano moltissimo !
E' un aspetto tattico degli scontri di mischia che può fare la differenza (mentre non succede negli scontri a fuoco che infatti non amo perchè troppo "ripetitivi").
In una battaglia l'IA è volata con i suoi arceri su un'altura e ci è arrivata prima di me. Ho cercato di aggirare, i loro uomini erano stanchi e non in formazione. Ho fatto correre i miei in formazione allargata per la carica solo nel tratto finale, è però bastata quella lieve pendenza a far stancare i miei mentre i suoi ashigaru ancora non freschi, sfruttando il terreno, sembravano Super Sayan e mio hanno massacrato....
Morale della favola: se si attacca in salita bisogna avere una netta superiorità altrmenti son botte da orbi.
[Modificato da MegaRutto 01/04/2011 09:38]
01/04/2011 09:58
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GLI ARCHIBUGI

L'INTRODUZIONE DEGLI ARCHIBUGI OCCIDENTALI IN GIAPPONE

Arrivano i portoghesi
nicola zotta

L'Occidente si affacciò per la prima volta in Giappone il 23 settembre 1543. Una giunca cinese, sospinta dai venti, era stata costretta a cambiare la propria destinazione e ad apporodare nell'isola di Tanegashima, presso il villaggio di Nishinomura.

Tra i passeggeri, due occidentali provenienti dal Portogallo, dei quali le cronache giapponesi stilate qualche decennio dopo i fatti (il Teppoki, il Tanegashima kafu e altre) riportano i nomi: Murashukusha e Kirishita da Mota, identità non proprio portoghesi, e difficili far concordare con quelle provenienti da fonte portoghese (le "Peregrinaçam" di Fernao Mendes Pinto -- il quale per altro si include in una terna di viaggiatori --, il "Tratados descobrimentos antigos e modernos" di Antonio Galvano e altre), ma in fondo indifferenti per quanto ci riguarda, perché più importante era, ai fini della nostra storia, ciò che portavano nel proprio bagaglio: un paio di archibugi occidentali.

I due nanbansen ("diavoli meridionali") suscitarono il vivo interesse della popolazione giapponese e, superato con difficoltà il problema della lingua ricorrendo a scambi in cinese scritto tra il capitano della giunca e un locale monaco buddista, riuscirono a raccontare le proprie disavventure al capo del villaggio.

L'insolito avvenimento doveva essere immediatamente comunicato nella capitale Akogi e il solerte capovillaggio vi si recò immediatamente, organizzando un incontro con il signore dell'isola, il quindicenneTanegashima Tokitaka, 14mo esponente della dinastia dopo l'abdicazione del padre.
L'imbarcazione danneggiata venne rimorchiata a remi fino all'estremo opposto dell'isola e qui venne accolta dallo stesso Tokitaka e dalla sua corte il 25 sera.

Il giorno successivo due stranieri, che rappresentavano per i locali una specie di attrazione da circo equestre, vennero ricevuti con ogni onore da Tokitaka nel suo palazzo. Portavano con sé un lungo oggetto in legno e metallo e, trovando difficoltà a spiegare che cosa fosse e a che cosa servisse, chiesero ed ottennero di effettuare una dimostrazione.

Immaginiamo l'entusiasmo dell'adolescente signore di Tanegashima quando l'archibugio sparò: il fumo, il fuoco, il botto: e soprattutto un bersaglio colpito a 100 passi. Tutto ciò che può fare felice un ragazzino in guerra per la riconquista di un feudo perduto.

L'archibugio dei portoghesi venne acquistato per 1.000 tael d'argento (qualcosa meno di 40 kg. del prezioso metallo) e immediatamente passato al fabbro e maestro nell'arte della fabbricazione delle spade Yaita Kinbee Kiyosada al quale fu affidato il compito di fabbricarne delle copie.

Qui le cose si complicavano, perché, seppure di fattura non particolarmente complessa, presentava qualche problema tecnico impossibile da risolvere, per quanto abile fosse l'artigiano giapponese.
Costruire un tubo in ferro era fattibile, ma il meccanismo di scatto che portava la miccia accesa a contatto col focone di sparo, la molla che teneva la serpentina in tensione e soprattutto la chiusura posteriore della canna erano un altro paio di maniche.

Si narra che Yaita per sciogliere alcuni misteri dovette ricorrere alla bellissima figlia Wakasa, di cui il portoghese chiamato Murashukusha si era invaghito, e che gli venne data in sposa in cambio di alcune non precisate informazioni.

Rimaneva da sciogliere ancora l'enigma principale, quello del vitone che chiudeva la culatta della canna: ma qui solo un fabbro occidentale esperto nella costruzione di archibugi avrebbe potuto dare le risposte cercate, e l'artigiano fu costretto per il momento a improvvisare soluzioni di efficacia più che limitata.

Anche a questo pensò, però, la bella Wakasa che, partita immediatamente con il consorte per il Portogallo, ma afflitta dalla nostalgia per tutto il suo (breve, immaginiamo) soggiorno in Europa, convinse il marito a ritornare nell'isola natia l'anno successivo, nel 1544. Non da sola, però, ma con un maestro d'arme occidentale che diede a suo padre le informazioni tecniche di cui aveva bisogno per produrre il primo vero archibugio giapponese.

Per chiudere con questo inciso (probabilmente una leggenda, perché ne parlano solo le tarde tradizioni giapponesi e non le prime fonti giapponesi né quelle portoghesi, che invece ci si sarebbero prevedibilmente accanite), Wakasa, compiuto il suo dovere, poteva finalmente liberarsi del fastidioso fardello costituito dall'indesiderato marito occidentale.

Non trovò di meglio che fingersi morta e Murashukusha, uomo di mondo, finse di crederci, non esimendosi tuttavia, da "vedovo" rancoroso, di maledire tutta la sua famiglia.

Comunque la giovane assurse nel suo paese ad encomiabile simbolo di dedizione filiale e le è dedicata persino una statua che accoglie i visitatori nel porto di Nishinoomote imbracciando un archibugio di ferro.

Le prime fonti giapponesi, tuttavia, tolgono fascino alla storia e si limitano a riportare il secondo arrivo nel 1544 di una nave straniera che trasportava sull'isola un fabbro e armaiolo portoghese che insegnò a Yaita la tecnica per realizzare il vitone posteriore.

Vera o no la storia di Wakasa, comunque, pochi mesi dopo l'arrivo dei portoghesi il fabbro Yaita aveva già consegnato al signore Tokitaka qualche decina di archibugi, che, seppure imperfetti e causa di qualche incidente, consentirono all'impaziente e aggressivo ragazzino di riconquistare l'isola di Yakushima, verdeggiante e montagnoso possedimento strappato alla sua casa tempo addietro.

Un'altra testimonianza dell'intraprendenza e della capacità di apprendere dei giapponesi marcia al fianco del fabbro Yaita Kinbee Kiyosada: un archibugio, come ebbe ad osservare lo stesso Tokitaka, è inservibile senza la polvere da sparo, e a questa pensò un altro artigiano, Sakawa Koshiro, che apprese sempre dai portoghesi l'arte di mischiare assieme nelle giuste proporzioni carbone di legna, salnitro e zolfo.

Incidentalmente, nell'isola di Tanegashima non mancavano due materie prime indispensabili alla fabbricazione degli archibugi e al loro funzionamento: il minerale di ferro per le parti metalliche veniva fornito dalla sabbia ricca di minerale ferroso, e anche lo zolfo per la polvere da sparo era disponibile a sufficienza. Il carbone di legna non era un problema, mentre per il salnitro si dovette procedere con importazioni dalla Cina.

Che sull'isola di Tanegashima, dove accidentalmente sbarcarono i due passeggeri portoghesi in balìa del vento, fossero presenti a sufficienza le materie prime necessarie a dare il via alla produzione di archibugi, è una circostanza che aggiunge altra materia impalpabile a questo intreccio di eventi casuali che pure ebbe un'incredibile influenza sulla storia giapponese.

Iniziò così una rivoluzione militare ma il suo esito non era affatto scontato.
[Modificato da MegaRutto 01/04/2011 10:59]
01/04/2011 11:33
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Un altro articolo interessante:

ASHIGARU E TEPPO

Gli ashigaru e l'introduzione degli archibugi
nicola zotti






All'arrivo dei portoghesi nel XVI secolo, il Giappone è un paese diviso e travagliato da secoli di stato di guerra permanente in un intrecciarsi sia di faide tra singoli feudi, gli shoen, e sia di guerre nazionali come la guerra di Onin (1467-1477).

Siamo nel cuore più acceso del periodo Sengoku, o degli "stati combattenti", che incomincia a metà del XV secolo e si concluderà solo per l'opera di stabilizzazione condotta da Oda Nobunaga e dal suo alleato Tokugawa Ieyasu, con l'insediamento di quest'ultimo, nel 1603, allo shogunato e l'inizio dell'era che da lui prende il nome.

Durante il periodo Sengoku la natura delle armate dei vari feudi combattenti era significativamente simile qualsiasi fosse il partito dei daimyo in conflitto. Ogni differenziazione nella composizione delle armate o nelle tattiche dipendeva più dalle risorse a disposizione del daimyo e dall’evoluzione spontanea dell’arte militare dei samurai nel corso dei secoli che dalle inclinazioni personali degli stessi daimyo.

La prima distinzione era ovviamente di casta. I samurai rappresentavano l’elite di qualsiasi armata, appartenendo ad un ceto combattente ben definito e circoscritto per nascita, sia che combattessero a piedi che a cavallo, come era il loro uso normale e consueto, Il resto dell’armata era composto dagli “attendenti” dei samurai, gli genin, e soprattutto da fanti reclutati nei modi più diversi, attingendo ai samurai di basso rango (Ji samurai), alle milizie contadine, come ai briganti o semplicemente a singoli più o meno “volontari”: nel corso degli anni il grande costo in termini di vite umane degli innumerevoli conflitti portò i daimyo a dipendere in misura sempre maggiore da queste truppe che, per la loro assenza di armature, venivano chiamati ashigaru, ovvero “piedi leggeri”, e non ricevevano inizialmente un regolare pagamento, ma venivano ricompensati con il diritto di saccheggio.

Armati ed equipaggiati secondo quello che riuscivano a reperire tra i cadaveri di un campo di battaglia, combattevano soprattutto con le lunghe picche chiamate yari o con archi, suddivisi in raggruppamenti estemporanei alla guida di comandanti chiamati ashigaru taisho, per differenziarli dai samurai taisho, dai quali invece dipendevano le unità di questi ultimi.

Comprensibilmente, l’affidabilità delle unità di ashigaru non era delle più rassicuranti: le diserzioni erano una pratica comune, così come aleatorio il comportamento sul campo di battaglia. Non era raro il caso che intere armate evaporassero nell’imminenza dello scontro fisico.

Gradualmente si ovviò a queste carenze regolarizzando sia il pagamento degli ashigaru, quanto il loro addestramento e le loro uniformi, misure che raggiunsero lo scopo e consentirono ai daimyo di portare sui campi di battaglia un numero di truppe sempre maggiore e sempre più affidabile.

È in questo scenario che l’introduzione della armi da fuoco raggiunse gli eserciti giapponesi.

Fu subito evidente che gli archibugi di manifattura occidentale fornivano le prestazioni di combattimento migliori quando utilizzati in massa e possibilmente riuscendo a garantire un volume di fuoco sostenuto e protratto nel tempo.

Con queste premesse, il fuoco degli archibugi rappresentava un vantaggio decisivo sul campo di battaglia, ma per concretizzarle non solo si dovevano armare un sufficiente numero di truppe di archibugi, ma si doveva soprattutto addestrarle al loro uso in modo coordinato ed unitario.

I samurai non disdegnarono l’uso degli archibugi, ma la loro concezione di sé e le loro forme di combattimento erano idealmente comunque indirizzate al duello anche in combattimenti collettivi, alla prestazione di eccellenza anche con un’arma di gruppo come l’archibugio e non si adattavano facilmente al radicale cambiamento che un efficace uso delle armi da fuoco avrebbe richiesto loro.

D’altra parte, i samurai solo eccezionalmente combattevano a piedi e anzi l’arma di cavalleria nel XVI secolo aveva rinnovato il proprio stile di combattimento abbandonando l’arco come arma principale in favore della lunga lancia di cavalleria.

Se in Occidente, infatti, la cavalleria feudale era stata messa in crisi dalle formazioni di picche, non altrettanto sembra accadere in Giappone, dove la cavalleria, constatando la propria inferiore efficacia rispetto al tiro a massa degli arcieri ashigaru, mantiene il ruolo prevalente sul campo di battaglia proprio armandosi di lance di varia forma e lunghezza (orientativamente in media di circa 3 metri) e caricando gli avversari.

Che le cavalcature dei samurai non fossero altro che minuscoli pony alti circa 130 cm. al garrese e pesanti solo 280 kg. sembra non aver influito sull’efficacia in battaglia delle loro cariche e proprio negli anni in cui si introducevano le prime armi da fuoco di tipo occidentale, Takeda Shingen portava la propria cavalleria all’apice della fama e dell’efficacia.

Per queste ragioni fu in qualche modo un fatto naturale che gli archibugi venissero assegnati prevalentemente agli ashigaru, modificandone radicalmente il ruolo sul campo di battaglia e non solo.

Nonostante la sua ancora scarsa affidabilità, infatti, l’archibugio aveva alcuni significativi vantaggi rispetto alla tradizionale arma da getto giapponese, l’arco: non solo l’addestramento al suo uso era molto più semplice, standardizzabile e realizzabile in un tempo incomparabilmente minore, e per giunta poteva essere usato da un soldato di costituzione fisica normale e non necessariamente con la corporatura atletica e la resistenza fisica dell’arciere; ma garantiva anche un’efficacia molto maggiore sul campo di battaglia per la penetratività delle palle di piombo che potevano perforare praticamente qualsiasi corazza fino a 75-50 metri, ed essere letali per un bersaglio non protetto anche a 100 metri e oltre. Il tiro di massa contro una compatta schiera avversaria, aveva come esito, semplicemente in virtù della statistica e nonostante il tiro indirizzato e non mirato, la decimazione dell’avversario.

Tuttavia, una cosa è consegnare ad un soldato un’arma a costo praticamente zero, come una picca, un’altra, ben diversa, è affidargli un’arma rara e costosa.

Inoltre l’archibugio aveva in sé quel tanto di novità da imporre un sostanziale cambio tattico sul campo di battaglia: una nuova gerarchia tattica si trasformava, o minacciava di trasformarsi, in una nuova gerarchia sociale, o per lo meno in un impulso all’ascesa nella stratificazione di classe della società giapponese di un nuovo ceto.

Le ragioni della guerra ebbero momentaneamente la prevalenza su quelle della tradizione e gli archibugieri ashigaru divennero il fulcro delle armate, scalzando dal loro status i samurai che si ritrovarono ad occupare il ruolo di arma di supporto, alla pari degli arcieri e dei picchieri ashigaru: in pratica confinati a concludere il lavoro incominciato da altri.

L’attenzione dei daimyo iniziò di conseguenza a concentrarsi sugli ashigaru, sul loro addestramento e sul loro trattamento, e il loro ruolo nelle armate giapponesi, fino alla conclusione del periodo Sengoku, fu sempre crescente e decisivo..




01/04/2011 11:44
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QUESTA MI MANCAVA.....

QUALCHE CIFRA SULLA LOGISTICA MEDIOEVALE

Guerra e sterco di cavallo
nicola zotti


Se pensate che i comandanti militari medioevali dovessero curarsi solo di nutrire i loro cavalli vi sbagliate, perché un'uguale preoccupazione doveva essere posta alle loro deiezioni.

Ogni 100 kg. di peso un cavallo produce quotidianamente 4,5 kg. di sterco e 4,8 litri di urina.

L'urina non è tossica, ma evaporando produce ammoniaca che invece è altamente dannosa alle vie respiratorie di uomini e animali. Inoltre, l'ammoniaca minaccia la durezza e l'elasticità degli zoccoli dei cavalli, complicandone la pareggiatura e la ferratura: i cavalli costretti a sostare a lungo in aree malsane erano quindi più soggetti a malattie e problemi agli zoccoli.

Lo sterco al contrario è particolarmente pericoloso in sé, causa di infezioni ed epidemie.

Anche solo un piccolo esercito composto da 1.000 uomini e quindi con circa 3.000 animali produceva una vera e propria montagna di escrementi e un fiume di urina, generando problemi di difficile soluzione in situazioni come assedi o riunioni di eserciti che durassero più di qualche settimana.

Nel breve lasso di tempo di 30 giorni, infatti, 3.000 animali distribuivano sul territorio quasi 2.500 tonnellate di sterco e oltre 2.600.000 litri di urina, che, se non controllati a dovere, potevano rendere invivibile qualsiasi accampamento.

[SM=g8906]
01/04/2011 16:43
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Tribunus Angusticlavius
Ελέω Θεού Βασιλευς
και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
abbiamo tutta una collezione degli articoli di Nicola Zotti su basileiatotalwarteam.freeforumzone.leonardo.it/forum.aspx?c=173308&f... abbiamo una sezione apposita di approfondimento storico-tecnico.
[Modificato da Xostantinou 01/04/2011 16:44]



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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


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