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Gli elefanti nell'antichità.

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    smea37gollum
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    Centurio
    00 20/03/2006 16:08
    Io e un mio amico vorremmo scrivere un trattatello sull'argomento, l'idea è nata dopo una discussione in cui ci siamo posti numerosi problemi che abbiamo intenzione di affrontare: in particolare: che tipo di elefanti utilizzava Annibale (e qui davide aiutaci!!!! [SM=g27964] ) per combattere contro Roma? la domanda sembra stupida e scontata, ma sorge un problema: gli elefanti Africani non sono addomesticabili e allora li prendevano in India???un po' troppo lontano, ma allora esisteva un altra specie??? poi quanto gli costava in termini di grano portare anche solo una decina di loro??? non era troppo??? e gli elefanti che combatterono con antioco e seleuco erano gli stessi che Alessandro magno comprò da Porro dopo averlo distrutto??? e poi sono nate molte altre domande... se sapete qualcosa ci aiutate??? [SM=x506627] [SM=x506657]

    Vi faremo sapere appena avremmo raccolto molte notizie!!! [SM=x506642]
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    smea37gollum
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    Centurio
    00 20/03/2006 16:14
    Mi correggo, pare che gli elefanti Africani furono addomesticati anche loro sebbene più tardi.
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    Superpolo Gigante buono
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    00 20/03/2006 16:20
    per quanto ne sò io , credo che gli Elefanti che usarono i Cartaginesi erano un altra specie poi estinta a causa dei Giochi Romani....eppoi credo che gli Elefanti non ce l'avevano fatta a passare le Alpi [SM=x506667]
    Saluti,
    Superpolo Wolf




  • davide.cool
    00 20/03/2006 17:42
    gli elefanti di annibale erano di razza africani. molto piu piccoli rispetto a quelli presenti in rome, non portavano torretta e teneva due persone in groppa piu guidatore (colui che comandava l'elefante).

    adesso ti descrivo in parole mie la traversata delle alpi


    Conquistata Sagunto alla fine del 219, Annibale si recò a Cartagena. Qui,
    radunati i soldati iberici, diede loro licenza di tornare alle famiglie e li
    invitò a radunarsi nella successiva primavera nella capitale per una nuova
    guerra dalla quale intendeva ricavare un grandissimo bottino oltre che la
    vittoria.
    A Cartagena, com'era stato stabilito, l'esercito di Annibale si concentrò
    nella primavera del 218, forte di novantamila fanti, dodicimila cavalieri e
    trentasette elefanti.
    Prima di muovere verso l'Italia, Annibale, il quale oltre essere audace
    guerriero era un capitano dotato di grande prudenza, con astuzia provvede alla
    difesa della sua patria ed alla sicurezza delle proprie spalle. Temendo - e
    non a torto- che durante la sua assenza i Romani sbarcassero in Africa, inviò
    a Cartagine un esercito di soldati iberici composto di quattordicimila pedoni
    e milleduecento cavalieri. Oltre a questi affiancò un corpo scelto di
    quattromila giovani spagnoli che in apparenza dovevano servire di guardia a
    Cartagine, ma in realtà rappresentavano ostaggi. Mentre da Cartagine si fece
    raggiungere da circa dodicimila fanti e trecento cavalieri africani che con un
    migliaio di soldati iberici e mercenari liguri lasciò in Spagna, sotto il
    comando del fratello Asdrubale, affinché con la loro presenza impedissero alla
    popolazione indigena di ribellarsi.
    Quando tutto fu pronto, furono inviati in Gallia numerosi informatori,
    emissari e diplomatici, allo scopo di esplorare la regione che doveva essere
    attraversata, ingraziarsi i capi dei Galli nei confronti dell'esercito
    cartaginese, e dov'era possibile incitare alla rivolta i locali.
    A quel punto Annibale passò l'Ebro e, vinti gl'Illergeti, i Barguzi e gli
    Aquitani che tentarono di chiudergli la via, giunse ai Pirenei.
    Prima di lasciar la Spagna, volendo assicurarsi la ritirata e presidiare le
    ultime conquiste, lasciò nella regione tra l'Ebro e i Pirenei, Annone con
    diecimila fanti e mille cavalli e, siccome tremila Carpentani del suo esercito
    avevano disertato, temendo che l'esempio potesse essere contagioso, né voleva
    tirarsi dietro truppe indisciplinate e svogliate, congedò circa settemila
    soldati che lo seguivano di malavoglia. Con il resto dell'esercito, ridotto a
    cinquantamila fanti e novemila cavalieri, passò i Pirenei, attraversò la
    Linguadoca e giunse nella valle del Rodano.
    Nell'Italia settentrionale intanto, forse incoraggiati dagli emissari di
    Annibale, i Boi e gli Insubri avevano brandito le armi e cacciato da Piacenza
    i coloni romani, i quali s'erano rifugiati dentro le mura di Mutina (Modena)
    che fu assediata dai ribelli.
    Si trovava allora - come abbiamo accennato sopra - il console PUBLIO CORNELIO
    SCIPIONE a Pisa con la flotta e l'esercito. Appresa la notizia della
    ribellione dei Boi e degli Insubri, Scipione aveva fatto marciare le sue
    legioni, al comando del pretore LUCIO MANLIO TORQUATO, verso i luoghi della
    rivolta e, rimasto senza truppe, era ritornato a Roma per arruolare un nuovo
    esercito.
    Trovandosi però Torquato in una difficile situazione presso la riva destra del
    Po, Scipione era stato costretto a mandargli in aiuto il pretore CAJO ATTILIO
    con una legione romana e cinquemila soldati italici che aveva appena raccolto
    per sé, perciò chiamare alle armi altre milizie perdendo così del tempo
    preziosissimo. Finalmente, formata una nuova legione, SCIPIONE aveva lasciato
    Roma e attraverso la Maremma toscana e la costa ligure era giunto a Marsiglia
    ponendo il campo presso la foce del Rodano, e aveva inviato all'interno
    trecento cavalieri per esplorare la regione e sorvegliare le mosse del nemico.
    Il nemico - come sappiamo - era sulla destra del Rodano. La sinistra era
    tenuta dai Volcari, tribù potentissime decise a non permettere che Annibale
    passasse il fiume. Il cartaginese, per passarlo, dovette ricorrere ad uno
    stratagemma: affidò ad Annone un discreto contingente di cavalleria, di
    risalire il fiume per venticinque miglia, di attraversare il Rodano e
    discendere poi lungo la riva sinistra e impegnare alle spalle i Volcari per
    dare tempo al grosso dell'esercito di effettuare il passaggio. La mossa astuta
    riuscì in pieno e l'esercito cartaginese raggiunse la sponda opposta mettendo
    in fuga i Volcari.
    Appresa nel frattempo, la notizia dell'arrivo di Scipione alla foce del
    Rodano, Annibale spedì verso la costa, in esplorazione, un corpo di
    cinquecento cavalieri numidi, ma questi scontratisi con un'avanguardia
    composta di trecento Romani, dopo un furioso combattimento, lasciarono sul
    campo oltre duecento morti e tornarono all'accampamento cartaginese.
    Capì allora Annibale che non c'era tempo da perdere. A lui non conveniva
    muovere contro l'esercito di Scipione sia perché non ne conosceva le forze,
    sia perché aveva alle spalle i Volcari nemici, e sia ancora perché non voleva
    compromettere l'esito della spedizione con una sconfitta iniziale, la quale,
    data la stanchezza delle sue truppe, quel giorno o anche il successivo era
    probabile che gli potesse toccare.
    Decise quindi di evitare il nemico mentre questo lo cercava presso il Rodano e
    di marciare verso l'Italia; qui unendosi ai Boi e Insubri, poteva con
    probabilità di vittoria attaccare i Romani.

    ANNIBALE - IL PASSAGGIO DELLE ALPI (218 a.C.)
    Rianimato il suo esercito, Annibale risale il Rodano fino all'Isara (Isère) e
    giunge nel paese degli Allobrogi. Qui i due fratelli si disputano il trono.
    Annibale, chiamato a decider la contesa, aiuta il maggiore e in compenso ne
    riceve viveri, vestiti e guide, poi per la valle della Durenza giunge ai piedi
    delle Alpi.
    Davanti a lui s'innalzano monti giganteschi che colle cime par che tocchino il
    cielo, colossi di pietra che s'accavallano gli uni sugli altri, le falde
    ricoperte di foreste e le sommità ammantate di perpetue nevi.
    Sono davanti alla imponente e massiccia catena di montagne più alta d'Europa.
    I soldati, specie quelli d'Africa, non hanno mai visto nulla di simile e
    restano ammirati e sgomenti al grandioso spettacolo. Ma la volontà del duce
    domina ogni altra volontà, il fascino che esercita vince ogni paura, la fede
    da cui è animato scaccia ogni dubbio e infonde nell'animo dei gregari una
    grande fiducia. E si rendono pure conto che stanno per compiere qualcosa di
    straordinario e memorabile.
    Bisogna salire, passare, affrontare difficoltà e pericoli, giungere alle
    altissime vette e ridiscendere dalla parte opposta; lottare contro gli uomini
    e contro la natura. Di là dalla barriera immensa delle Alpi, dice il loro
    duce, c'è l'Italia, pianure immense, messi rigogliose, giardini verdi, città
    ricchissime e poi, più giù, c'è Roma, la grande, l'opulenta Roma da
    conquistare.
    L'esercito alle parole d'Annibale, si rinfranca. L'impresa titanica comincia.
    Cinquantamila uomini con migliaia di cavalli, decine di elefanti e carriaggi
    s'incamminano per raggiungere e superare il valico. È il Piccolo San Bernardo?
    Il Cenisio? Il Monginevro? Il Gran San Bernardo? Non si sa; forse il penultimo
    o quest'ultimo; ma non importa. Sono le Alpi!
    Ma i primi ostacoli non sono le montagne, ma gli uomini. I selvaggi abitanti
    contendono e ostacolano il passo ad Annibale e, occupate le scoscese parete
    dei monti che circondano le valli, minacciano di sterminare l'esercito. Vinti
    dall'astuzia del Cartaginese non cessano però di causargli molestia e, mentre
    le schiere procedono lentamente e faticosamente per le aspre salite, le
    assalgono alla testa, ai fianchi, in coda; spaventano con terribili suoni e
    strani rumori i cavalli, mettendo nel disordine e nello scompiglio l'esercito.
    I cavalli, specie quelli da soma, alcuni scivolano, e cadendo giù dai ripidi
    sentieri si trascinano dietro bagagli e uomini, mentre altri che dalla paura
    s'impennano si volgono indietro e tentando di fuggire investono i retrostanti
    e quelli e questi precipitano nei burroni.
    Occorre aprirsi il passo con le armi e sopportare dolorose perdite di uomini,
    di animali, di armi e di masserizie; ma si va sempre avanti; espugnano
    castelli e villaggi, razziano il bestiame dei valligiani e con questo le
    truppe si sfamano.
    Ed ecco, dopo giorni e notti di aspri combattimenti e di fatiche inenarrabili,
    venire incontro con offerte di amicizia gruppi di montanari. Offrono cibi,
    ostaggi e guide. L'esercito crede che gli ostacoli siano finiti e segue
    fiducioso gli ospitali abitatori dei monti per una valle angusta e dirupata.
    Ma ad un tratto, le cime circostanti si coronano di turbe minacciose di
    selvaggi valligiani e dall'alto cominciano a far rotolare giù massi che
    causano una strage e lo scompiglio nelle file dei Cartaginesi.
    Bisogna ricominciare a combattere, a fermarsi, e a riordinare spesso le
    schiere. Si lasciano insepolti i morti, senza cure i feriti. Il cuore di
    Annibale sanguina al vedere tante perdite di uomini e di cose; ma la sua
    volontà è inflessibile. Avanti sempre; si vincono le ultime resistenze,
    l'esercito deve sostenere soltanto la guerriglia di qualche banda di predoni
    che segue ed accompagna la marcia molestando.
    Però, se le difficoltà opposte dai montanari, vanno scemando man mano che si
    sale verso le cime, crescono gli ostacoli del terreno, Questo si fa di momento
    in momento più scosceso, i sentieri non si vedono sotto la neve ed i
    ghiacciai, quelli che sono ancora visibili, sono impraticabili; le truppe
    prive di guide s'inoltrano in gole senza uscita, in passi inaccessibili dove
    spesso è necessario retrocedere, si smarriscono in burroni profondi o sciupano
    le loro forze in fatiche sovrumane. I viveri scarseggiano, gli animali muoiono
    d'inedia o di stanchezza, che dispiace, ma diventano utili al pasto dei
    soldati; il freddo intenso taglia le carni, massi enormi si staccano dai
    fianchi delle rupi sfracellando coloro che salgono, valanghe immense di neve
    precipitano dalle sommità; riempiendo di boati paurosi le valli e seppellendo
    manipoli interi.
    Finalmente le vette sono raggiunte. È la mèta. Annibale con la sua parola
    riesce ad infondere nuovo coraggio ai soldati. Non rimane che scendere; poi ci
    saranno il riposo e il bottino. La discesa è affrontata. Ma nuovi e più gravi
    ostacoli si presentano. Nevica, la tormenta infuria, la tormenta che acceca,
    intorpidisce le membra e la volontà, obbliga all'inerzia. E dopo la tempesta
    di neve e di vento, iniziano le valanghe, che ostruiscono il passaggio e
    sommergono, trascinano e travolgono i temerari che osano attraversarle.
    Incomincia un titanico lavoro di piccoli uomini contro la potente natura
    avversa. Si scava nel ghiaccio, si taglia un sentiero nella roccia e si
    discende, seminando le insidiose Alpi, di cadaveri e di carogne. Vince alla
    fine l'ostinata volontà umana. La discesa si fa più dolce, i sentieri più
    agevoli, le nevi più rade; ricomincia la vegetazione; le Alpi bianche
    gigantesche si sostituiscono a montagne e colline ricoperte di verde smeraldo,
    agli orribili burroni si succedono ora incantevoli valli con grandi pascoli, e
    gli abitanti non sono ostili. E' la fine dell'impresa sovrumana.
    Gli animali trovano i pascoli che li ristorano, i soldati trovano cibi che li
    sfamano, poi il confortante mite clima e il riposo diventa dolcissimo.
    Annibale ha vinto; ma quante perdite, e quali sacrifici è costata
    quest'impresa!
    È partito dalla Valle del Rodano con cinquantamila fanti e novemila cavalieri
    ed ora il suo esercito è ridotto a ventimila pedoni, a seimila cavalli e a
    sette elefanti. Le Alpi hanno inghiottito 30.000 uomini in quindici giorni,
    nove impiegati nella salita, sei nella discesa!
    Un'impresa memorabile che un altro audace ripeterà 2018 anni dopo: Napoleone!

    Siamo nell'ottobre del 218 a.C., cinque mesi da quando Annibale, con un
    esercito imponente, è partito da Cartagena.
    II suo esercito non è più possente come quello della primavera, ma il
    Cartaginese spera di trovare alleati in Italia. Intanto la prima parte del suo
    grandioso sogno è realtà, ANNIBALE calpesta finalmente dopo tante fatiche il
    suolo della penisola, sottomessa alla potentissima Roma, all'odiata rivale
    della sua sfortunata patria.

    di elefanti alla fine ne sopravvissero 7 e questi morirono appena entrati nella pianura italica di stenti.

    mi sno in parte aiutato con un testo. per rendere bene la situazione.

    adesso rispond alle atre domande. Gli elefanti usati contro i macedoni nelle guerre macedoniche erano elefanti cartaginesi presi dai romani e utilizzati. i cartaginesi addestravano anche elefanti indiani. quelli di annibale erano africani e senza torretta. sono piu difficili da ammaestrare ma con gli elefanti veniva reclutato anche il loro guidatore africano ed esso non era abbigliato come i soldati ma era a petto nudo, di carnagione nera e con una specie di turbante in testa e in caso di climi freddi, si copriva con una semplicissima tunica

    [Modificato da davide.cool 20/03/2006 17.54]

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    Centurio
    00 01/04/2006 13:08
    Giusto due parole...


    [SM=x506642]
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    M.M.2006
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    00 01/04/2006 15:33
    Si, come al solito, non si può certo dire che comunque non sia esauriente nelle risposte. [SM=g27960]
    Bella rega' e sempre forza Roma.
    Romano d.o.c. de Roma, daa Roma, nato a Roma, che vive a Roma, lavora a Roma e s'a spassa a Roma.
    Vincitore nonchè diplomatico in Forum TW I con i Julii (fatevi avanti vi distruggerò).
    Vincitore anche nella seconda edizione con i Bizantini, se avesse votato una persona sola.
    Vincitore nella seconda edizione del miglior elimina fazioni con 5 punti.

    Sentiremo tutti la vostra mancanza.