Ho riavuto la connessione finalmente. Mi spiace per il modo sbrigativo e arruffato con cui ho dovuto chiudere l’ultima volta: m’hanno chiamato a fare una cosa, così ho terminato in tutta fretta, e praticamente da allora non ho più potuto entrare in rete. Sì, ho una formazione diversa… la differenza che indichi tra “casta” e “ceto” è dovuta proprio a questo: ma ciò che obbietto muovendo dalla distinzione che fai tra “casta” e “ceto” è di natura metodologica. Mi spiego.
Una cosa è “conoscere” altra “confidare”: una cosa “studiare” le dottrine sapienziali (attività dell’antropologo delle religioni), altra “credervi” (“attività” del proselito). Una cosa è l’intellezione, l’apprensione logica, altra la “fede”. L’equivoco che ravviso nei presupposti concettuali del brano riassunto che hai proposto consiste nel reputare implicitamente l’attività “scientifica” come un modo particolare, come una delle modalità del pensiero articolato - visto che ne utilizzi un altro... L’attività scientifica (nel significato più largo di questa locuzione, a intendere l’atto di “esaminare”, di “distinguere”, di “spiegare”, ecc.), l’attività scientifica è il “modo” mediante il quale l’uomo “conosce” le cose (oggi intendiamo la parola “scienza” nell’accezione di “tecnica”, mentre qui io la uso come sinonimo di “filosofia”). Quorth, l’uomo conosce ciò che può spiegarsi... sembra una tautologia, ma con tutti i limiti che posso riconoscere in questa mia semplice formulazione (“l’uomo conosce ciò che può spiegarsi”), da questo “modo”, almeno finora... e finché non cadrà una qualche rivelazione mistica sugli uomini (un miracolo, un qualsiasi atto demiurgico, prodigioso, cratofanico, che tolga di mezzo le facoltà raziocinanti), capace di “spiegare”, di dar ragione della vita un po’ meglio di come ha fatto qualsiasi sorta di “credenza” fino ad ora (rimandando a un qualche passato irrecuperabile la sua “potenza”), fino ad allora da questo “modo” - quello scientifico dico, - non usciremo. (Scienza è anche riconoscere i limiti presenti e l’impiego degli strumenti più adeguati per tentare di superarli). Ci sono altri modi per conoscere le cose? altri strumenti che non siano quelli “scientifici”? (quegli strumenti che prevedono una certa relazione tra causa ed effetto, la distinzione tra “particolare” e “generale”, l’induzione e la deduzione, la validazione empirica, il rapporto tra struttura e contenuto, la denotazione e la connotazione, la distinzione tra ciò che è per convenzione e ciò che è per natura, lo sceverare logico, il discernimento razionale, ecc. ecc. ecc. - elencando alla buona…); Quorth, non lo sono certo le “affermazioni”: “la casta è...” “abbiamo bisogno di un capo”, magari risultato di un procedimento “ad induzione semplificata”: ciò che “pare” a me è vero, alla Dragases (vabbè scherzo dai! non t’arrabbiare Draga!? ma non capisco dove sta l'apodissi nel tuo intervento... nell'uomo che ripete necessariamente questa che credi una normazione universale? o nella preminenza filogenetica dell'istinto? ossia... sull'inconfutabilità del fato? o sulla nostra natura animale? un'affermazione del genere, con le sue consecutive implicazioni, meriterebbe giustificazioni migliori per essere esposta... ma lol). Gli strumenti che ci siamo dati, limitati o meno, sono gli strumenti che abbiamo elaborato nel processo di formazione dei nostri saperi; che poi siano disattesi dalle nostre azioni, questo... questo è un altro discorso, e attiene alle forme del "potere".
Quella cosa che ho scritto più sopra (vabbè, di fretta, schematizzando rozzamente e con la sintassi involuta... tentando di riassumere troppo... semmai lo farò meglio appena ho un momento), quello che ho scritto sopra è riconducibile al marxismo nella misura in cui la formulazione e la terminologia marxiste sono entrate a far parte della diagnosi nelle ricerche antropologiche. Si parla spesso di Marx senza conoscerlo (addirittura si crede che il “socialismo reale” sia un risultato delle sue tesi… e altre stupidaggini… ma è un altro discorso lasciamo perdere...). Marx ci mette a disposizione degli strumenti (per provare a riconoscere le contraddizioni nei modi di produzione materiale della nostra esistenza), sta a noi volerli adoperare (o capire). Penso che anche solo leggendo Kant sulla metafisica o Feuerbach sulla critica alla metafisica religiosa o il Durkheim de “Le forme elementari della vita religiosa” - almeno queste cose dico, – poi avresti l’impressione che Evola è un grande sì... ma un grande della suggestione nell’ascesi immanentistico-trascendente... che è già molto no? (scherzo dai). Distinguere tra “narrazione” e filosofia è molto importante credo Quorth... anche se Evola adduce solamente le ragioni antropologico-metafisiche della narrazione religiosa; ma proiettare in epoche lontane le proprie aspirazioni sublimate non è granché appena scoperto il giochetto… se lo si vuole scoprire; Tolkien viene tradotto filosoficamente… mmmh. Attribuire ai riti arcaici significati o una energia che non riconosciamo o che non sentiamo più, è del tutto arbitrario (e leggendo anche i testi dei “razionalisti” più antichi – Erodoto o altri, non si trova segno che riconduca a noi quella qualità... - e il loro razionalismo era ancora suscettibile agli effetti dell’energia numinosa; poi la gran parte dei pensatori greci e latini più grandi era praticamente atea o agnostica come me).
Vabbeh... comunque proverò ad argomentare meglio ciò che avevo cominciato più su... vedremo. Salud
[Modificato da Aurunculeio 28/02/2006 19.07]
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"E allora, una volta stabilito che il nuovo potere non è altro che il nuovo tipo di economia e che bisogna tener presente l'assioma primo e fondamentale dell'economia politica, cioè che chi produce non produce merci, ma produce rapporti sociali, cioè umanità; visto che il modo di produzione è totalmente nuovo, le merci prodotte, quindi, sono totalmente nuove ed è totalmente nuovo il tipo di umanità che viene prodotto." P.P.Pasolini