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Nella Roma antica non bastava vincere una battaglia, e neanche una guerra, per salire sul carro del vincitore. I generali romani di ritorno da una campagna vittoriosa, in età repubblicana, dovevano dimostrare di aver ampliato o consolidato i confini dello stato; aver ucciso almeno cinquemila nemici; non aver riportato sconfitte; aver subito perdite limitate; essere riusciti a riportare l'esercito a casa. Solo in questo caso il Senato avrebbe concesso loro gli onori del Trionfo. Il Triumphus romano, solenne corteo in cui il vincitore appariva nelle vesti di Giove ed esibiva i segni materiali della sua vittoria - gli ori e gli argenti razziati al nemico, i prigionieri in catene, le tabulae pictae che illustravano le terre conquistate, gli animali mai visti a Roma e le rappresentanze delle etnie conquistate - era, infatti, l'onore più alto che un mortale potesse ricevere: il Trionfatore era circondato da un'aura di invincibilità divina con conseguente crescita esponenziale del suo potere politico. Nel giorno del Trionfo, il condottiero sfilava per le vie dell'Urbe, lungo un percorso rimasto per secoli più o meno sempre lo stesso e che si snodava dal Campo Marzio fino al tempio più importante di Roma, quello dedicato a Giove Capitolino. Sul suo carro da parata, d'oro, avorio e gemme, altissimo, simile ad una torre, il Trionfatore era l'immagine vivente di Giove: il capo era circondato d'alloro, il volto dipinto di rosso, come la statua del dio, le vesti di porpora indossate, avevano ricami in oro con le palme della vittoria. Dietro ogni Trionfatore, sul carro, un servo gli reggeva sul capo una corona d'oro e aveva il dovere di sussurrargli, di tanto in tanto, "Hominem te esse memento". Ovvero "Ricordati di essere un uomo", affinché non si credesse pari agli dei per il fatto di essere addobbato come loro. E dietro ancora, in fila, l'intero esercito vittorioso a lanciargli battute salaci per fargli tenere i piedi per terra. La presenza dell'esercito in città era un ulteriore elemento eccezionale di questa cerimonia straordinaria: solo per il Trionfo si derogava alla legge romana che vietava l'ingresso in città alle autorità militari e imponeva alle truppe di attestarsi fuori del recinto sacro dell'Urbe. Giunto al tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, il vincitore deponeva vesti preziose e corona e tornava ad una vita più o meno normale. Al Triumphus romano, celebrato per le vittorie - ma anche ai cortei svolti per i funerali di un personaggio importante e alle processioni circensi che aprivano i giochi al Circo Massimo - è dedicata l'esposizione in corso al Colosseo che allinea oltre cento opere tra sculture, dipinti murali, rilievi, bronzi, monete. Le testimonianze che ci mostrano le fasi più antiche del rito trionfale si trovano già nelle terrecotte architettoniche di VI secolo - l'epoca degli ultimi re di Roma - continuando nelle urne etrusche di età ellenistica. All'altro estremo dell'evo antico, la storia del trionfo si chiude con Costantino. Entrato in città nel 312 dopo aver annientato Massenzio a Ponte Milvio, il primo imperatore cristiano, naturalmente, non poteva salire sul Campidoglio a ringraziare una divinità pagana, e si fermö al Foro Romano. Dopo di lui gli imperatori celebrarono l'adventus, rituale simile al triumphus ma depurato dalle tracce di paganesimo. Tra i documenti più suggestivi esposti nella rassegna romana vi sono il sarcofago di età ellenistica, con scena di corteo con le immagini del trionfo di Dioniso sugli Indiani, proveniente dal museo di Francoforte sul Meno; il rilievo marmoreo da Palestrina con il trionfo postumo di Traiano sui Parti; la lussuosa coppa d'argento di Boscoreale, concessa dal Louvre, che in dimensioni ridotte, ma con impareggiabile finezza illustra il trionfo dell'imperatore Tiberio; il Barbaro inginocchiato, prestato dal British Museum, parte di un gruppo scultoreo che celebrava probabilmente il trionfo di Marc'Aurelio. La celebrazione dei Trionfi romani continua fuori dall'Anfiteatro Flavio, dove gli archi trionfali di sempre raccontano in maniera semplice e immediata le interminabili sfilate che li attraversarono: proprio accanto al Colosseo, l'arco di Costantino, il più grande arco trionfale conosciuto; poco più in là a rendere più maestoso il Foro, quello di Settimio Severo con le sue vittorie asiatiche; e quello di Tito, con l'imperatore che ascende al cielo su un'aquila e, all'interno, i soldati romani che esibiscono in processione la menorah d'oro appena razziata al tempio di Gerusalemme.