Nell'inverno del 172 a.C., in Macedonia viene combattuta un'aspra battaglia tra i Romani ed i Daci. Le truppe di Marco il Pio vengono distrutte quasi completamente dall'armata nemica, composta da cavalieri delle steppe, schermagliatori d'elite e guerrieri con falce: i legionari combattono al meglio, ma la furia barbarica riesce a rompere i loro ranghi e a disperderli, mentre i cavalieri roxolani tengono occupata la cavalleria del tribuno. Solo l'arrivo di rinforzi da Pella riesce a far volgere la sorte dalla parte romana e a far disperdere l'esercito nemico. Marco il Pio riesce comunque ad uccidere alcuni tra i migliori comandanti nemici. Nello scontro muoiono 2.040 alleati romani e 2.175 Daci.
Nello stesso inverno in Illiria Spurio il Pio fa arretrare un'altra orda dacica che minacciava Segestica con la sua legione. I Daci e altre popolazioni stanno cominciando a premere sempre più consistentemente ed in più punti. Nello stesso inverno in Italia Roma arruola e fa partire un'armata di arcieri celtici per disperdere le armate di briganti che infestano la penisola. In Emilia ed in Etruria vengono uccisi circa 2.200 briganti, con 540 perdite da parte romana.
A fine inverno, sul Tagus, in Spagna, Gneo Muzio Scevola e la sua legione assistono ad un disperato quanto eroico assalto cartaginese alle loro linee. Il primo giorno di battaglia giunge una grande armata punica composta da Arevaci, Lusitani e Libici, i quali vengono massacrati a causa della mancanza di coesione e alla fatica: alla fine della giornata sono 2.111 i morti cartaginesi e 386 quelli romani. Il secondo giorno un esercito più preparato lancia un altro assalto. La fanteria cartaginese, passato il fiume di corsa, si lancia verso la formazione romana su per la collina dove quella è disposta, venendo fortemente ridotta da una pioggia di pila scagliata dai principi/astati. In testa alle linee puniche vi è il battaglione sacro, che viene annientato prima che possa raggiungere il nemico, deviando tuttavia dai compagni un gran numero di proiettili romani. L'esercito cartaginese combatte con grande eroismo contro il nemico in pendenza, sotto il tiro dell'artiglieria e delle frecce, cedendo solo quando è accerchiato e decimato. L'esito dello scontro è di 1.801 morti cartaginesi e 224 romani. Le vittorie romane sono fondamentali: le ultime resistenze puniche stanno cedendo, con la cattura della città di Ullaca Cartagine verrà definitivamente sconfitta.
Nello stesso inverno Marco Gabinio arresta l'ennesima armata germanica, causando la morte di 1.760 nemici e perdendo 51 uomini.
Nella primavera del 171 a.C. avviene un'eruzione del Vesuvius, la quale, fortunatamente, non causa morti.
Con la buona stagione, Gneo Muzio Scevola marcia fino ad Ullaca ( oggi nei pressi di Solosancho?, Spagna ), nei territori un tempo occupati dai Vettoni (
it.wikipedia.org/wiki/Vettoni ), e la pone sotto assedio. Dagli spalti delle mura gli ultimi cartaginesi ( o meglio, mercenari celtiberi ), rimasti insieme al loro re Maarbale Olispo, osservano i Romani preparare l'assalto per la città. Il numero di soldati ed i mezzi disposti da Gneo Muzio Scevola sono nettamente superiori a quelli cartaginesi, il destino del popolo punico è segnato. Alcune armate puniche sono ancora presenti nel sud della penisola iberica ed in Africa, ma, persi ormai i contatti con il comando, bloccate dai Romani, non possono fare più nulla per evitare la presa dell'ultima roccaforte in loro possesso. Dopo alcune settimane di assedio la legione romana sfonda con l'artiglieria le mura nemiche ed irrompe in città. La resistenza dei lancieri arevaci è durissima, essi sanno che sotto Roma per il loro popolo vi sarà la schiavitù, e preferiscono morire da veri guerrieri piuttosto che vivere da schiavi. Durante lo scontro le balliste romane tirano proiettili incendiari nell'insediamento causando incendi tra le abitazioni. La scorta di Gneo Muzio Scevola, gli equiti alleati ed i mercenari lusitani si scontrano nel fumo e nella mischia contro la guardia di Maarbale. Mentre i cavalieri lottano accanitamente, tutto intorno la città brucia e numerosi cavalieri punici vengono centrati in pieno da proiettili incendiari. La fanteria romana, uccisi a fatica tutti gli Arevaci, si lancia in aiuto del suo generale, riuscendo ad uccidere il re cartaginese, che, cadendo da cavallo nella polvere, viene calpestato da decine di cavalli e centinaia di soldati che si dirigono verso il cuore della città. Maarbale è stato l'ultimo re cartaginese. Il combattimeno prosegue molto violentemente contro altri mercenari che attuano una disperata resistenza, ma che vengono in breve interamente sterminati anche grazie al tiro degli arcieri corso-sardi al servizio di Roma. La battaglia viene vinta dai Romani, l'ultima città cartaginese cade, muoiono 6.441 civili nel saccheggio.
La terza guerra punica è finita dopo 13 anni di dure battaglie, la fiera Cartagine è stata sconfitta, Roma ha trionfato eliminando il suo più grande avversario, diventando la più grande potenza del Mediterraneo. Grandi sono stati i sacrifici, ma ora Roma può godersi i frutti della vittoria. Le maggiori città della Res Publica sono in festa. A Roma avviene il trionfo: nei carri che sfilano per l'Urbe vi sono i tesori delle genti conquistate, le insegne dei nemici, le loro armature, centinaia di nobili cartaginesi e le loro famiglie in catene, numerose tavole con disegni di paesaggi ed animali mai visti; sfilano un'infinità di picche con le teste di nemici uccisi ( nell'antica Roma durante il trionfo avveniva questa macabra sfilata, credo che le teste fossero "fresche" e che venissero bruciate il giorno successivo per preservare l'igiene pubblica ); i legionari, orgogliosi e felici nelle loro armature linde, entrano in città dalla porta trionfale purificati simbolicamente dagli orrori commessi durante la guerra, osservati con interesse dalle belle fanciulle del popolo vestite a festa per l'occasione, ed il trionfatore, protagonista assoluto ( ci sono numerosi generali che hanno partecipato alla campagna, mettiamo che questo sia Gneo Muzio Scevola, il quale ha ottenuto l'ultima vittoria ed ha ucciso più di 5.000 nemici, condizione necessaria per un trionfo romano ), passando in mezzo alla folla esultante sul suo carro d'oro, d'avorio e gemme scintillanti, con il volto dipinto di rosso come quello della statua di Giove, viene ammonito dallo schiavo preposto con il celebre « Memento mori, memento te hominem esse! Respice post te, hominem te esse memento! », con la corona d'alloro dei vincitori rettagli sopra il capo. La popolazione dell'Urbe è in festa per giorni tra feste e banchetti, convinta del fatto che potrà vivere adesso molti anni di pace. In Senato tutti sanno in realtà che ciò non è così. Il resto dell'esercito cartaginese è ancora attivo insieme ad alcuni dei suoi migliori generali, le campagne di tutta la Res Publica si sono impoverite, le ricchezze dei popoli conquistati sono bastate appena per risanare le finanze, i Germani e i Daci premono ai confini settentrionali, gli Attalidi preparano una nuova lunga guerra nell'Egeo, inoltre è presente l'incubo peggiore, potrebbe infatti presto scoppiare una guerra civile: diversi sono i generali a capo di legioni molto potenti e clientele molto vaste a loro fedeli, già alcuni di loro si sono ribellati a Roma in Spagna: bisogna agire tempestivamente per frenare queste iniziative.
Il Senato di Roma progetta il risanamento economico della Res Publica, sperando che le sue azioni possano portare al risollevamento della situazione economica e cercando di utilizzare i maggiori poteri militari per difendere Roma anzichè causare contrasti al suo interno. Per ridurre le spese il Senato blocca il reclutamento di truppe in Italia, praticamente ininterrotto dal tempo della seconda guerra punica. A seguito di ciò molto denaro viene speso per costruire nuove miniere, in particolare nel Peloponneso e nell'Epiro, così centinaia di schiavi vengono messi all'opera. In Italia vengono alzate fortemente le tasse, soprattutto a Roma. Il rilancio economico avviene anche migliorando la rete viaria tra l'Italia centrale e la Gallia Transalpina.
In campo militare le legioni stanziate in Spagna vengono inviate contro le città di ribelli romani, in primis Numanzia, ricca città fortificata. Nei pressi della città un'armata romana di alleati italici, mercenari ispanici e celtici viene sconfitta da un'armata romana ribelle: 922 sono i morti della Repubblica, e 1.210 quelli dei ribelli.
Nell'estate del 171 a.C. Pollenzia, in mano al generale romano ribelle Lucio Cassio Pulcro, viene posta sotto assedio da una legione romana partita dal porto di Nuova Cartagine: l'esercito della Repubblica viene attaccato da quello di Lucio Cassio Pulcro ma quest'ultimo viene sconfitto, 2.005 sono i morti ribelli, 573 quelli repubblicani, mentre 7.359 i civili uccisi nel saccheggio di tutte le isole Baleari, le quali tornano in mano a Roma.
Continua la caccia ai briganti: nel Piceno ne vengono uccisi 342, in Gallia 692, le perdite romane sono solo 28. I commerci terrestri in queste zone vengono sensibilmente migliorati.
A fine estate avviene a oriente un attacco inaspettato: un nutrito esercito greco-trace proveniente dalla Mesia orientale, pone sotto assedio Filippopoli ( oggi Plovdiv, Bulgaria
it.wikipedia.org/wiki/Plovdiv ).
Nell'autunno del 171 a.C. una legione reduce dal fronte cartaginese pone sotto assedio Numanzia, in mano ai ribelli romani. Negli stessi giorni un'armata di briganti presso Canne (
it.wikipedia.org/wiki/Canne ), viene attaccata dagli arcieri celtici al soldo di Roma ma resiste causando ben 1.143 morti ai Romani perdendone 665, sconfiggendo anche i rinforzi provenienti da Canne: le ricche campagne dell'Apulia continuano ad essere devastate. In Gallia un'altra battaglia contro i briganti ha invece esito positivo, 594 briganti morti e 30 Romani ( Celti ), uccisi.
E' in inverno che Roma ottiene la grande vittoria contro i Greci a Filippopoli. La legione di Spurio il Pio, giunta a marce forzate in Tracia, scende in campo e causa 2.944 morti al nemico mettendolo in fuga: le perdite romane sono 532. Filippopoli è libera, poco hanno potuto i feroci Bastarni e Traci muniti di romfaie (
it.wikipedia.org/wiki/Romfaia ), contro la falange macedone degli alleati romani combinata con il tiro costante dei frombolieri greci.
Un'altra "vittoria", se così si può chiamare, viene ottenuta a Rodi: qui l'armata di Pergamo assalta le mura ingaggiando un furioso combattimento all'interno della città. L'insediamento è teatro di un grande massacro, muoiono 1.998 soldati degli Attalidi e 1.684 di Roma: quello che caratterizza la battaglia è il grande corpo a corpo nella piazza principale. La qualità dei soldati inviati da Pergamo è molto alta, ma gli opliti greci al servizio di Roma sono numerosi e coesi, inoltre i frombolieri dei difensori martellano insistentemente i soldati degli Attalidi alle spalle, fracassando corazze, teste, braccia e gambe. La forza di Pergamo si fa sentire, grande è la valenza dei suoi soldati. Alla fine della battaglia la piazza principale della città è ricoperta da uno stuolo di soldati uccisi. Gneo Claudio Sabino è vivo, insieme a pochi dei suoi uomini, si fa quel che si può per i feriti, la popolazione aiuta come può, si temono epidemie. Prima che l'esercito romano si possa riorgainzzare, un'altra armata di Pergamo sbarca a Rodi ponendola nuovamente sotto assedio: è molto improbabile che Rodi possa essere ancora difesa, visto l'esigua armata rimasta a sua difesa. Gneo Claudio Sabino prepara i suoi uomini al meglio, ma da anche ordine di distruggere tutti gli edifici più importanti della città affinché non cadano in mano avversaria.
Nella primavera del 170 a.C. i Romani vengono sconfitti nuovamente in Apulia dai briganti, i quali perdono 260 uomini, mentre i Romani 418. In Gallia continua ininterrotto il massacro di ribelli: 667 muoiono, solo 155 arcieri celtici al servizio di Roma.
Mentre a Roma la plebe è soddisfatta della sconfitta cartaginese, in Mauritania Tingitana, ai confini della Res Publica, i legionari combattono ancora nella polvere contro i resti delle armate puniche. In particolare in estate una legione affronta un'armata cartaginese di oltre 4.500 uomini, situata tra i monti costieri della regione ed il Mediterraneo. La battaglia si preannuncia difficilissima: il terreno è accidentato, il caldo africano è insopportabile, il nemico è forte sulle sue posizioni ed è ancora ben equipaggiato e rifocillato ( visti i saccheggi compiuti da esso in zona ). Lo scontro, estremamente sanguinoso, si risolve in una mischia i cui equilibri sono molto fragili e durante il quale le sorti sembrano arridere prima all'uno poi all'altro schieramento diverse volte. Nonostante le gravi perdite ( 1.349 ), la legione romana vince: d'altra parte i morti sono moltissimi, ben 4.384, e l'armata nemica è così annientata. Alla fine della battaglia i legionari, stremati dalla fatica delle armi, osservano le colline teatro dello scontro disseminate di morti. L'ultimo esercito cartaginese sul suolo africano è stato sterminato. La legione marcia a oriente verso Cartagine, passando per la Numidia e l'Africa affamate, sottraendo cibo per necessità a chi già è al limite delle possibilità per procurarselo: i rifornimenti dalla Campania infatti scarseggiano da guerra inoltrata.
Sempre in estate, Marco Gabinio massacra sul Reno altri 1.885 Germani, di 40 uomini sono le perdite romane. Il fronte germanico tiene, le città della Gallia Belgica possono crescere momentaneamente senza particolari problemi.
Verso la fine dell'estate un esercito romano di alleati gallici partito da Gergovia espugna Emporiae, città ribelle in mano all'ex questore Numerio Terenzio Varrone. L'esercito repubblicano, tra le cui fila vi sono numerosi tiratori, riesce a massacrare la resistenza nemica ( 457 soldati ), senza perdere nessun uomo. Numerio Terenzio Varrone viene ritrovato tra i cadaveri, trafitto da numerose frecce, questo è il prezzo che si deve pagare per opporsi a Roma. Emporiae, teatro di un grave saccheggio all'inizio della guerra punica, viene nuovamente sterminata per il tradimento della sua popolazione, muoiono 4.207 civili. In autunno, nonostante le condizioni di mare avverso, la flotta romana distrugge quella dei pirati nella parte meridionale del Sinus Kantabrorun ( il Mare Cantabrico, oggi Golfo di Biscaglia/Guascogna ): i commerci marittimi tra l'Aquitania e la Cantabria vengono ripristinati.
In inverno Spurio il Pio continua a tenere testa a orde di Daci che penetrano ormai entro i confini sempre più numerose. Negli scontri, nei quali Roma ottiene sempre la vittoria grazie alle buone capacità dei suoi generali, muoiono 3.459 Daci e 911 Romani. Il Senato prende la decisione di spostare tutte le armate stanziate in Spagna verso la Macedonia e progetta un piano per l'invasione della Mesia e lo sterminio delle tribù nemiche ivi stanziate. In Italia sono già approdate dalla Spagna alcune legioni, una è già a Brundisium.
Nella primavera del 169 a.C. Spurio il Pio riceve l'ordine di addentrarsi in Paionia, tra le tribù ostili degli Scordisci e i Serdi, popolazioni fiere e selvagge. Anche Marco il Pio con la sua legione si addentra nella regione, e dopo alcuni giorni di marcia viene colto in un'imboscata. Gli agili ed agguerriti schermagliatori nemici spuntano da tutta la foresta, lanciando alte grida e scagliando numerosi giavellotti. La legione romana reagisce disponendosi subito in formazione difensiva salvaguardando i vettovagliamenti come insegnato durante gli addestramenti, mentre i fieri Daci compiono rapidi attacchi a distanza ravvicinata causando molte vittime nei ranghi nemici. Marco il Pio parte con i suoi cavalieri all'inseguimento dei tiratori nemici, facendone strage: nella mischia tuttavia, un cavaliere nemico, lanciato con il suo cavallo al galoppo, pianta una lancia nel torace del generale romano, il quale morirà tra le braccia dei suoi più fedeli commilitoni dopo ore di agonia. Le ultime parole di Marco il Pio, grande generale di Roma, sono raccomandazioni ai suoi amici più stretti per la moglie Papiria ed i suoi tre figli: la sua morte, da vero romano, porterà onore alla sua memoria ed aumenterà il prestigio della sua famiglia. La legione riesce a respingere dopo giorni di scontri sempre più radi la fanteria nemica, la quale si disperde negli ombrosi boschi lasciando dietro di se 1.856 morti: 590 sono invece le perdite romane. Morto Marco il Pio, il comando viene preso dal giovane ufficiale di estrazione equestre Decimo Planco, il quale fra proseguire la legione in territorio nemico come ordinato dal Senato.
L'invasione dei territori dei Daci da parte di Roma prosegue anche più a nord: Manio Giunio Pera ed i suoi soldati ( in prevalenza mercenari illirici e dalmati ), partono da Carnuntum ed espugnano Aquincum ( nell'attuale periferia di Budapest
it.wikipedia.org/wiki/Aquincum ), dopo una dura battaglia campale dove muoiono 913 Romani e 1.331 Daci. Aquincum viene raggiunta e messa a ferro e fuoco, 15.464 Daci vengono massacrati. In Macedonia altre tribù daciche vengono respinte con la forza.
I briganti continuano ad essere massacrati in tutta la Res Publica: in Apulia si riesce ad avere ragione dell'armata che resisteva nella regione da anni, mentre in Mauritania si sterminano altre due bande, per un totale di 1.623 briganti uccisi.
Nel sud della penisola iberica resiste l'ultimo esercito cartaginese ( due armate ), composto da 6.349 soldati, alcuni tra i migliori veterani di Cartagine, in prevalenza libici, una forza poderosa di veterani ottimamente equipaggaiti. Dalla fine delle guerra l'esercito è rimasto sempre nelle campagne, e sembra non aver intenzione di muovere contro i maggiori centri, ma rappresenta pur sempre una minaccia. Il Senato decide di sacrificare una delle legioni più "pericolose" di veterani viene inviatndola contro l'esercito punico. La legione romana combatte al meglio eliminando dopo ore di combattimento il primo nucleo dell'armata avversaria, ma viene raggiunta in breve dai rinforzi nemici, circondata e massacrata, pur resistendo fino all'ultimo. Nello scontro muoiono 2.858 Cartaginesi e 1.439 Romani. Nonostante la distruzione della legione romana, il risultato è complessivamente positivo, considerato il numero di nemici uccisi, ma l'esercito avversario è ancora troppo forte, forse anche per la famosa legione di veterani di Macedonia, Grecia, Gallia e Spagna, che si trova sul posto e che sarebbe intervenuta in battaglia qualora all'esercito nemico fossero state inflitte perdite maggiori. Se questa legione dovesse essere annientata, Roma non disporrebbe della sua armata più forte e più fedele al Senato: è meglio che essa rientri in Italia. Si decide che l'esercito cartaginese non verrà distrutto fino a quando non sarà stato costituito un esercito di soli frombolieri delle Baleari, che logorerà i Punici con una tattica di schermaglia continua fino alla loro definitiva sconfitta. Si seguirà l'esempio del defunto Quinto Fabio Massimo durante la seconda guerra punica.
Nel frattempo materializza una nuova minaccia per la Res Publica, un ricco equestre romano si ribella nel Norico e costituisce un'armata molto forte di legionari e mercenari celto-germanici dirigendosi verso le Gallie con l'intenzione di sollevarne le popolazioni.
[Modificato da Legio XIII gemina 25/03/2012 22:36]
« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »
Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I
« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »
Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784
« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »
Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172
« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »
Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti
« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »
Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale