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Ver Sacrum

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2024 23:14
22/08/2013 23:04
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Tribunus Angusticlavius
Primavera dei Popoli Italici
Sarebbe interessante raccogliere più informazioni possibili, e aprire un dibattito riguardo a questa pratica antichissima, tipicamente italica, in uso presso i popoli umbro-sabellici e latini.
La "primavera sacra" in genere era un antico rito indo-europeo conseguente all'abitudine a spostarsi da parte di popoli nomadi preistorici. Ormai stanziali, ogni volta che un gruppo di persone voleva nuove terre si dava luogo a una cerimonia ben augurale.
In seguito a guerre, carestie o nascite troppo numerose, attraverso la consacrazione al dio italico della guerra (in primis l'osco Mamerte, o anche l'umbro Mars) di esseri viventi (animali, vegetali) nati nella primavera ventura o in un determinato anno successivo, e nel caso di esseri umani, questi in età virile avrebbero dovuto abbandonare la terra d'origine ed instaurare una nuova comunità seguendo il cammino di un animale totemico (più tardi, probabilmente, sostituto da un vessillo raffigurante l'animale); non prima che venissero ricoperti con un velo, la cui presenza li indicava appunto come consacrati al dio e resi simili ai morti (che avevano il viso velato perché si impedisse loro di tornare indietro). Secondo Dumézil, il "Ver sacrum" protraeva, quando ormai un popolo era divenuto stanziale, l'occupazione progressiva di nuove terre. Come narrato nella mitologia, sospinti da Giano-Ambigato, i guerrieri emigravano senza mai tornare, ossia gradualmente spostandosi verso nuovi territori.

Il "Ver sacrum" diede infatti luogo ad una serie di migrazioni di Italici, che a partire dalla "stazione originaria" degli Umbri, si espansero lungo gli Appennini fino in Calabria, per poi arrivare perfino in Sicilia (i Mamertini; ma nel loro caso si tratta di un'idealizzazione).
Dagli Umbri si staccarono i futuri Sabini, e da essi, seguendo un toro, i futuri Sanniti; mentre i Piceni lasciarono la Sabinia guidati da un picchio, e arrivarono nelle Marche..e così via
Anche i Romani (appartenenti in massima parte ad un'ecumene, la latina, distinta dalla sabella), si affidarono al "Ver sacrum" sotto l'influsso delle tradizioni guerriere degli altri Italici; nel 217 a.c., in seguito al disastro militare sul lago Trasimeno, fu fatto voto a Giove al fine di immolare (secondo un metodo rituale alquanto edulcorato, viste le nuove esigenze legate all'epoca storica) solamente gli animali, che solo in parte furono realmente sacrificati.
Il rito di origine sabella, fondamentale "specchio" della religiosità italica, era ancora in voga nel I secolo a.c., quando vi fecero ricorso gli insorti italici durante la Guerra Sociale.

Possono enumerarsi i temi fondamentali della leggenda legata al "Ver Sacrum":

- la migrazione di giovani armati,
- la diffusione dei gruppi etnici tra loro affini,
- l'espiazione e la purificazione che caratterizzano il voto,
- il consacrare solo esseri animati, dando luogo a spargimento di sangue in caso di non umani (esilio per gli uomini),
- l'animale-guida, che può fungere da eponimo di un nuovo gruppo.

* www.treccani.it/enciclopedia/primavera-sacra_(Enciclopedia-It...

* it.wikipedia.org/wiki/Primavera_sacra

* www.rlversacrum.org/PrimaveraSacra/tabid/484/Default.aspx

* www.sanniti.info/smpop.html

* Cos'era il Ver Sacrum ? (evropantiqva - You Tube)

youtu.be/cmFNlA1zMR4?si=owBfDfIaV-l7E1dL

[Modificato da Iulianus Apostata 17/01/2024 23:14]
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IULIANUS IL VOLSCO

Ecco il mio breve libro, un mio impegno per un approfondimento della storia locale nell'antichità del mio territorio: origini del nome, storia e topografia dell'antica Antium.

Marco Riggi, "Antium: memorie storiche nel territorio di Anzio e Nettuno", Youcanprint, 2019.

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«..il moderno Anzio. Comune di 3500 abitanti, è di recente costituzione (1858), essendo stato sempre un appodiato di Nettuno (Comune di 5500 ab.), il vero centro abitato erede e continuatore degli antichi Anziati. Scorrendo pertanto le memorie antiche di questo popolo, noi non possiamo separare, specialmente nell'età antica, Anzio da Nettuno, perché ogni anticaglia trovata ad Anzio o a Nettuno spetta ad uno stesso centro. Epigrafi anziati trovansi a Nettuno come in Anzio. […] Del resto è certo che la evoluzione del centro abitato [di Nettuno] nel medio evo, fu esclusivamente agricola. Difatti la terza notizia, che ce n'è pervenuta, è quella importantissima dell'essere stata in Anzio [l’antica Antium] fondata una "domusculta", ossia villaggio sparso nel vasto sub antico territorio. Ciò avvenne sotto il papa Zaccaria (a. 741-752) come ne fa fede il citato Liber Pontificalis (ivi, pag. 435). Contemporaneo fu l'abbandono del porto neroniano e lo spostamento od accantonamento degli Anziati a Nettuno. Quindi cessa il nome di Anzio e succede il nome dell'altro, che va divenendo soggetto alle vicende politiche della difesa del mare.»

(Giuseppe Tomassetti, "La Campagna romana antica, medioevale e moderna", vol. II, 1910, pp. 366 e 381-382).

«Che ti importa il mio nome? Grida al vento: 'Fante d'Italia!', e dormirò contento!»

-SOLDATO IGNOTO-

«Le genti che portavano il nome di Umbri sono infatti quelle che diedero vita alla civiltà più antica dell’Italia, come ricorda Plinio, il grande scienziato e storico romano, del quale tutti ricordano la frase "Umbrorum gens antiquissima Italiae". Una civiltà che dal 13° secolo avanti Cristo in poi si estese dalla pianura padana al Tevere, dal mare Tirreno all‘Adriatico, come ricordano gli storici greci, e poi (con l‘apporto safino) pian piano fino all’Italia Meridionale; una civiltà alla quale spetta di diritto il nome di “italica”, come la chiamiamo noi moderni, anche se gli storici greci e romani parlano inizialmente di “Umbri” per la metà settentrionale del territorio, e di “Ausoni” per la metà meridionale. Sul fondamento dei dati linguistici, infatti, possiamo affermare che l’Italia fu una realtà culturalmente unitaria ben prima che Roma realizzasse l’unità politica...»

-Prefazione del dottor Augusto Lancillotti al saggio "La lingua degli Umbri", di Francesco Pinna JAMA EDIZIONI-

«furono i riti italici ad entrare in Grecia, e non viceversa».

-Platone, "libro delle leggi"-

«Cavalcava la tigre di se stesso.E cosa fu la sua vita se non una disperata fedeltà ai propri sogni? La grandezza di Annibale è quì racchiusa,nella sublimazione della vittoria come fine a se stessa,come strumento di passione.Egli non aveva nessuna certezza di piegare il nemico fino in fondo,di vincere la guerra.Forse non l'ebbe mai.Ma la battaglia era il suo palpito d'uomo,e di quel fremito soltanto visse.»

Gianni Granzotto, "Annibale"

«..Tristezza e follia sono compagne.Lo spettacolo era desolante e amaro.Non restò più nulla di ciò che Annibale a Cartagine aveva visto e vissuto.Non restò più nulla di Cartagine.E tutto quello che fin quì abbiamo narrato è costruzione della memoria,ciò che è stato tramandato a noi dei fatti,dei detti,dei luoghi:le regioni dei ricordi,disperse e abbandonate nel grande cerchio del tempo,il solo che eternamente esiste.»

Gianni Granzotto,"Annibale"

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