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Campagna con lo Stato Pontificio

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2011 09:57
13/09/2011 19:25
OFFLINE
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Registrato il: 12/11/2009
Città: ROMA
Età: 32
Sesso: Maschile
Tribunus Angusticlavius
Pontificatus Lamberti I (1467-1473)


La vittoria di Reggio è stata grande, ma la perdita di Marco II è stata un trauma morale notevole per le truppe pontificie. Marco Condulmer, Domenico Orsini e tutti i soldati impegnati nella nuova campagna contro Ferrara sono addolorati e preoccupati, Roma ha bisogno in questo momento importante di un Papa fermo e capace, un vuoto di potere così grande è rischioso. Mentre la salma del Papa ucciso viene trasportata attraverso gli Appennini per essere sepolta con tutti gli onori a Roma, il generale Condulmer giunge sotto le mura di Ferrara e la pone sotto assedio, seguito a poche miglia di distanza dalle truppe di Leon Battista Alberti Accorsi; Domenico Orsini giunge a Pisa e la pone sotto assedio, con grande preoccupazione dei Ferraresi che non si attendevano un'intromissione del Papa anche sul fronte Toscano. Le milizie fiorentine agevolano il passaggio delle truppe romane, felici di avere finalmente degli amici al loro fianco a contrastare le mire degli Este.
A Roma viene eletto Papa dal conclave il Cardinale Francesco Farnese, con il nome di Lamberto I. Francesco ha 59 anni, è un uomo di sincera fede, comprende l'importanza del suo ruolo e cerca immediatamente di mantenere la coesione interna dello Stato: non si sposta da Roma, dove lavora alacremente in campo amministrativo, ed invia in tutto lo Stato Pontificio una fitta rete di agenti, inquisitori e sicari al fine di imporre la sua autorità ed evitare ribellioni. Tutte le fazioni scomunicate vengono riconciliate ( tranne Ferrara ). Lamberto I allontana inoltre da Roma Pietro Malatesta il quale, rimasto durante tutta l'assenza di Marco II a governare l'Urbe, è diventato corrotto e vizioso: il miglioramento visibile dell'allontanamento del Malatesta da Roma è l'aumento dela capacità produttiva della capitale da 10.000 a 16.000 fiorini per anno.
Lamberto I comprende inoltre che le vicende politiche italiane, così tormentate negli ultimi anni, possono trovare uno sfogo militare al di fuori della penisola e nella Pasqua del 1468 indice una crociata contro gli Ottomani per il recupero della ricca città di Ragusa: questa sarà un'ottima occasione per i principi cristiani di dimostrare nuova fedeltà al Papa dopo la follia della Grande Lega ed allontanerà numerosi eserciti dall'Italia. Austriaci, Bosniaci, Croati, Genovesi e Napoletani preparano subito delle possenti armate per conquistare Ragusa ai Turchi.

Nello stesso tempo, mentre Ferrara e Pisa sono sotto assedio, il condottiero romano Leon Battista Alberti Accorsi Signore di Forlì decide di marciare verso la cittadina di Mirandola per strapparla agli Estensi. L'Accorsi durante la marcia incontra un'armata ferrarese che viene massacrata a copli di frecce dai numerosissimi tiratori papali veterani: questa aveva cercato di tendere ai Romani un'imboscata. Dopo pochi giorni l'armata romana giunge a Mirandola e, dopo un violento cannoneggiamento di bombarde, la espugna perdendo solo 80 uomini e uccidendo il valentissimo cavaliere Ercole D'Este, Capitaneus delle truppe estensi e ufficialmente per i Ferraresi ancora Signore di Reggio in Emilia. L'Accorsi si insedia nella città e saccheggia le campagne per rifornire le sue truppe. Praticamente i territori degli Estensi nella Padana sono ridotti alla sola, temutissima e resistentissima cittadella di Ferrara che tuttavia Condulmer ha intenzione di prendere per fame. Gli Estensi sembrano non avere più speranze di resistere all'invasione pontificia, così cercano di arrecare ogni tipo di danno alle finanze del Papa: sapendo che il Papa non possiede flotte nell'Adriatico, i maggiori porti marchigiani vengono posti sotto blocco navale da parte delle flotte ferraresi.
Presso Pisa un'armata ferrarese decide di attaccare le truppe dell'Orsini impegnate nell'assedio, ma questa viene sbaragliata e la guarnigione di Pisa, vedendo la disfatta dei suoi soccorritori, si arrende definitivamente: il suo comandante Guidantonio d'Udine si da alla macchia. Pisa viene saccheggiata dalle truppe romane. La conquista di Pisa viene festeggiata a Roma e Domenico Orsini ottiene una fama notevolissima in tutta Italia per le sue imprese: come premio gli viene data in sposa la bella principessa romana Benvenuta Altieri, da poco tornata da una missione diplomatica in Trentino per far stabilire allo Stato Pontificio dei nuovi accordi con gli Asburgo. Nel frattempo Lucca è assediata dai Fiorentini.

Il 1469 si apre con la grande battaglia di Lucca, dove le truppe di Leonello D'Este riescono a sconfiggere quelle dei Medici sotto le mura della città, perdendo tuttavia moltissimi uomini. Domenico Orsini non si fa sfuggire questa splendida occasione e parte subito da Pisa con i suoi uomini per combattere l'armata di Leonello che non è ancora rientrata in città essendo in cerca di altre armate medicee nelle campagne circostanti. Leonello viene raggiunto in primavera dall'Orsini: la battaglia, nelle campagne a est di Lucca, vede l'armata papale lanciarsi con vigore contro gli schieramenti estensi, logorati dalla lunga guerra. Nonostante la grande resistenza estense, le truppe romane sfondano le linee nemiche in ogni punto e massacrano gli estensi in fuga. Leonello D'Este, vedendo la battaglia perduta, si lancia nelle retrovie romane lasciate indietro dal grosso delle forze dell'Orsini, ed uccide di persona decine e decine di tiratori. Mentre Domenico Orsini torna indietro con la cavalleria di Butteri maremmani per prestare aiuto alle retrovie, Leonello viene bersagliato da un nugolo di frecce che lo massacra. Sgominate le ultime truppe ferraresi in Toscana, Domenico Orsini entra a Lucca e mette anche questa città a ferro e fuoco.

Battaglia vicino Lucca contro Leonello D'Este



Nello stesso anno il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia porta all'unione dei regni d'Aragona e di Castiglia.

Con la conquista dei territori estensi, lo Stato Pontificio diventa ormai una nazione potente e temuta in tutta l'Europa: i mercanti romani hanno nelle loro mani i commerci di tutto il centro Italia ed avanzano sui mercati settentrionali, l'Inquisizione e i sicari papali sono in ogni angolo dello Stato Pontificio garantiscono il controllo da parte di Roma di tutti i feudatari. Le città dello Stato Pontificio sono tutte il grande crescita, ovunque si costruiscono mercati, porti, flotte mercantili: le città toscane, ultimamente conquistate, rilanciano i commerci marittimi nel Tirreno e sono sedi di numerose banche. Roma è diventato un centro culturale di enorme importanza ed ospita artisti e letterati di ogni tipo: la popolazione è aumentata a dismisura negli ultimi 30 anni, da 28.000 a 64.000, grazie alle politiche di popolamento e la costruzione di nuovi quartieri, nonchè ai grandi piani di rilancio della coltivazione delle terre in tutto il Lazio e l'Umbria, dalle quali si riversa nella capitale un enorme quantità di prodotti ortofrutticoli. L'Umanesimo vince sull'oscurantismo religioso e gli stessi Papi negli anni sono diventati dei grandi cultori delle lettere classiche, della pittura e della scultura, l'Urbe è tornata a fiorire. In Italia lo Stato Pontificio comincia a fare paura a tutti, essendo praticamente il più grande stato solido e forte tra tutti i piccoli potentati in continua lotta: in Europa si teme che l'Italia possa essere conquistata nelle decadi future dal gigante romano in continua espansione, che si mostra sempre più aggressivo nella poltica internazionale. La Spagna e la Francia non vogliono che l'Italia venga ricondotta sotto un unico potere, soprattutto se italiano. Lamberto I e la Curia Romana sono consci della potenza dello Stato Pontificio: un solo problema continua a piagarlo, le spese e la crisi economica. A quanto pare le utlime conquiste non sono bastate a rimpinguare propriamente le casse pontificie, e i poteri romani cominciano così a spostare il loro sguardo su Firenze. Firenze, retta ancora da Piero de' Medici ( it.wikipedia.org/wiki/Piero_il_Gottoso ), ha subito nella guerra contro Siena e Ferrara un gravissimo blocco alla sua espansione. Prima della guerra Firenze era una città floridissima, adesso la sua è economia in crisi, i suoi traffici commerciali sono bloccati, molte delle sue banche fallite, i suoi territori sono devastati, la leva in massa di milizie ha levato molti uomini alle attività produttive, il costo delle armate è altissimo: solo ora, con l'intervento di Roma nelle vicende della guerra, i Medici hanno preso una boccata d'aria, e possono cominciare a pensare ad un futuro migliore. Tuttavia per il Papa la Signoria Florentina è ora solo un territorio frammentato e circondato dai domini romani, che hanno esteso l'egemonia del Papa su quasi tutta la Toscana. Firenze è in crisi, sarebbe facile approfittare della situazione. Lamberto I, dopo essersi consultato a lungo con la Curia, decide che Firenze debba essere annessa allo Stato Pontificio: la mossa è rischiosissima, soprattutto considerato che i commerci dei Medici sono vitali per le attività economiche in Francia, contando anche i vari prestiti fiorentini al re francese. La Francia potrebbe anche decidere di dichiarare guerra allo Stato Pontificio a seguito di una simile campagna.

Nel 1470 il Papa scomunica Taranto in un momento critico per il Principato meridionale, infatti i Calabresi hanno infatti appena conquistato l'importante fortezza di Matera e si apprestano a marciare verso le città pugliesi: gli Spagnoli non possono aiutare gli alleati pugliesi giacchè in Sardegna il Vicereame dell'isola è proprio ora in grave pericolo a causa della guerra cominciata da Leonardo Alagon ( it.wikipedia.org/wiki/Leonardo_Alagon ).
In aprile Lamberto I da l'ordine a Domenico Orsini di abbandonare Lucca e i suoi trastulli con la bella e giovane moglie per marciare su Livorno, dichiarando così guerra ai Medici: Domenico è rattristato ma è fedelissimo e ubbidisce subito agli ordini. Con delle milizie lucchesi e rinforzi provenienti da Volterra, egli marcia sulla sguarnita Livorno. La città viene cinta d'assedio il 1 maggio e viene pesantemente cannoneggiata dagli 8 pezzi d'artiglieria dell'Orsini. Aperte numerose brecce nelle mura, Domenico da ordine di marciare due giorni dopo dentro la bella città di mare e di espugnarla. All'interno di Livorno il comandante Giovanni de' Medici Capitaneus di Firenze e Signore d'Arezzo viene ucciso insieme all'esigua guarnigione. Gli Springald papali di Volterra occupano ogni angolo della città in breve tempo e Domenico Orsini si insedia, mentre le soldataglie pontificie si abbandonano al saccheggio su ordine del loro comandante. Domenico Orsini è ormai esperto di saccheggi, l'ordine del Papa è infatti quello di procurare a Roma il maggior numero di denari possibile per il mantenimento dei suoi domini. Dopo pochi giorni dalla presa di Livorno Domenico riceve l'ordine di tornare a nord e di porre sotto assedio la temuta fortezza di Massa, forte baluardo fiorentino. Domenico prepara numerose vettovaglie, assolda diversi mercenari ( tra cui alcuni suoi vecchi amici comandanti della White Company ), e si dirige verso Massa, ponendola sotto assedio in un torrido Luglio. Lo scopo sarà prendere la fortezza per fame, infatti i soldati fiorentini all'interno sono moto agguerriti, in caso di sconfitta in un assalto l'intera Toscana potrebbe essere presa dai Fiorentini.

Mura di Livorno sfondate dai Pontifici



Il 12 luglio avviene la presa di Calcide, città greca sull'isola Eubea, da parte dei Turchi ai danni di Venezia.
In autunno Leon Battista Alberti Accorsi con i suoi soldati compie una manovra azzardata: attraversa la Padana, scende dall'Appennino verso Firenze e la pone sotto assedio. All'interno della città vi è il comandante Giampaolo d'Angiò, Gran Consigliere fiorentino e Signore di Livorno, con diverse centinaia di miliziani, in particolare i temuti e rinomati Sergenti dell'Otto: tutta la città trema. Non solo nessuno si aspettava la guerra da parte del Papa, che fino ad ora sembrava aver voluto aiutare i Medici, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un esercito papale avrebbe potuto mettere la stessa Firenze sotto assedio. I Fiorentini apprestano subito le difese e si preparano a resistere all'assedio. Il 15 ottobre l'Accorsi da ordine ai suoi soldati di prepararsi all'assalto di Firenze. Le bombarde ed i mortai sono disposti, le milizie mercenarie e i tiratori sono in linea, la cavalleria anche. Alle prime luci dell'alba, sotto un cielo grigio, le artiglierie romane cominciano a tuonare contro le mura fiorentine nei pressi di Porta San Gallo, causando gravi danni alle fortificazioni. Aperte delle brecce, il feroce Accorsi da ordine alle artiglierie di usare proiettili incendiari e cominciare a bersagliare le zone circostanti alla porta per creare scompiglio ed incendi all'interno della città. Giampaolo d'Angiò, sotto il fuoco papale, da ordine alle milizie di disporsi presso le brecce e di prepararsi a sostenere l'assalto romano, che appare imminente. L'Accorsi infatti da ordine alla sua cavalleria di caricare all'interno di Firenze con tutte le sue truppe: agli archibugieri viene dato l'ordine di disporsi vicino alle mura per coprire con il loro fuoco l'assalto. Con un grido di battaglia i cavalieri romani mettono la lancia in resta e, sotto un cielo solcato da proiettili incendiari che si vanno a impattare contro le fortificazioni nemiche, si lanciano alla carica verso Firenze. I soldati dell'Angiò tirano colpi di balestra dalle mura ma perdono diversi uomini a causa dei colpi degli archibugieri toscani al soldo papale. La cavalleria romana si lancia nella breccia e comincia a combattere selvaggiamente contro i miliziani fiorentini. La lotta è tremenda, i cavalieri romani sciamano in città da tutte le parti mentre i prodi lancieri fiorentini fanno di tutto per uccidere i cavalli e disarcionare i cavalieri nemici. Tutto attorno nella città esplodono colpi di bombarda che lanciano alte nel cielo ampie fiammate e terribili fragori. Nelle urla centinaia di uomini vengono uccisi a colpi di lancia e di spada, mentre i tiratori di entrambi le parti cercano di bersagliarsi nella mischia alzando nuvole di fumo e facendo saettare nugoli di frecce. Il sangue viene sparso nelle strade, nei vicoli, nei giardini e nelle piazze della stupenda ed inimitabile città toscana, mentre il fuoco divora diversi edfici. I Sergenti dell'Otto combattono eroicamente resistendo a diverse cariche romane. Nella mischia l'Accorsi avvista l'Angiò, e da ordine alle sue guardie a cavallo di ucciderlo. L'Angiò viene raggiunto nella mischia, e dopo aver abbattuto numerosi cavalieri romani, viene ucciso e travolto dalle truppe papali in avanzata. I combattimenti si spingono fino alla piazza del Duomo ( con la splendida Santa Maria del Fiore cosacrata fra l'altro 34 anni prima da Papa Eugenio IV ): qui gli ultimi fiorentini fanno corpo uccidendo molti soldati papali, ma alla fine vengono sopraffatti ed uccisi. Accorsi non crede a quello che vede, Firenze è caduta in mano romana: più di 1000 soldati papali sono morti. Subito i soldati romani innalzano i vessilli pontifici sulle torri e sui palazzi e saccheggiano Firenze con grande ferocia. Roma otterrà dal sacco di Firenze 19.000 fiorini. La notizia allarmante della caduta di Firenze si diffonde in tutti i reami cristiani: ormai il Papa ha ottenuto un potere enorme, se una delle più grandi, ricche e floride città d'Italia è caduta nelle sue mani, nessuno stato da solo italiano sembra più in grado di fermarlo da solo. La Chiesa di Roma è cambiata molto dal Concilio di Costanza, ha riguadagnato la forza e la dignità che la storia le aveva strappato. I Medici vedono crollare per sempre l'unità del loro governo.

Il cannoneggiamento di Firenze presso Porta San Gallo



I Sergenti dell'Otto contro la cavalleria romana nell'assalto di Firenze


Dopo pochi mesi Federico III da Montefeltro Signore di Gubbio parte per ordine di Papa Lamberto I dalla sua bella residenza eugubina per mettere sotto assedio la fortezza fiorentina di Arezzo, ultima roccaforte libera dei Medici. L'armata pontificia di 1.500 uomini giunge ad Arezzo in autunno e comincia a costruire il necessario per l'assedio intorno alla citta: essa è composta prevalentemente da tiratori, ballistari, archibugieri, arcieri e un ribault mercenario, non c'è alcuna unità di fanteria, nè di cavalleria fatta eccezione della guardia di Federico III.
Nel frattempo in Toscana le milizie papali conquistano gli sguarniti borghi di Empoli, Castelfiorentino e Poggibonsi, abbandonati dalle milizie fiorentine in ritirata.

Nel 1471 Milanesi e Calabresi partecipano alla crociata contro Ragusa. In febbraio l'armata crociata bosniaca viene annichilita dai Turchi vicino alla stessa Ragusa, le perdite per la Bosnia sono impressionanti, si parla di oltre 2000 morti sul campo. A marzo viene massacrato dalle milizie di Astorre Manfredi il nobile romano Guido Borghese che, preso il comando di poche centinaia di contadini e ribellatosi al Papa, aveva cominciato a devastare le campagne romagnole. Un eretico viene condotto al rogo dall'Inquisizione a Pisa. Lamberto I fa pratica di governo.
Mentre l'assedio di Massa continua come prestabilito, quello di Arezzo viene bruscamente interrotto. Da un luogo non bene identificato dell'Appennino, il Signore di Firenze Piero de' Medici, alla testa di 1000 uomini ben armati e disciplinati, attacca le truppe di Federico III di Montefeltro. La battaglia ha luogo in un incantevole paesaggio vicino ad Arezzo, su dei colli boscosi e freschi. Piero de' Medici è un grandissimo comandante, può schierare molta fanteria pesante di espertissimi cavalieri aretini ed un nutrito gruppo di balestrieri pisani, desiderosi di sfogare sugli odiati papali l'odio derivante dalla caduta della loro bella città. Federico III schiera il suo esercito di tiratori su un'unica linea, sperando di contrastare l'avanzata fiorentina come più volte fatto dalle armate romane in passato: tra i suoi ranghi vi sono anche ballistari eugubini, rinomati e affidabili, reduci dell'assedio di Ancona. La battaglia ha inizio in tarda mattinata, sotto un bel sole caldo. Le truppe di Piero si lanciano subito all'assalto di quelle romane, sotto un'intensissima pioggia di frecce e piombo. Molti prodi cavalieri aretini cadono esanimi nell'erba. Nonostante le perdite i Fiorentini raggiungono presto i ranghi romani e cominciano a mietere vittime tra le schiere nemiche: ai possenti cavalieri aretini, con le loro spade, basta assestare un buon colpo per tagliare a metà un soldato papale e si fanno in questo modo strada tra i ranghi nemici. Piero stesso e la sua cavalleria si gettano con impeto nella battaglia. Federico, vedendo la situazione volgere a suo sfavore, si getta anch'egli nella mischia. I colli sui quali si svolge la battaglia sono teatro di uno spargimento di sangue impressionante: i papali fanno piovere colpi da tutte le parti, mentre i fanti fiorentini combattono contro di loro e la cavalleria di Federico. Mentre si trova nella mischia, Federico viene passato da parte a parte dalla spada di un cavaliere fiorentino ed il cadavere rimane in sella al cavallo che si allontana spaventato nei boschi vicini. Le truppe fiorentine gridano rincuorate e l'armata pontificia appare ormai perduta. I ballistari pisani appoggiano alacremente la fanteria mentre i tiratori papali arretrano sulle colline continuando a scaricare colpi di moschetto e frecce sugli avversari: i combattimenti e le imboscate continuano durante tutta la giornata, fino a che i papali fuggono definitivamente dal campo. La sconfitta romana è pesantissima: oltre 1200 morti rimangono sul campo, contro solo 500 fiorentini, Piero guarda il campo di battaglia stanco ma soddisfatto. Molti dei soldati papali riusciti a sopravvivere al massacro riparano a Città di Castello. Piero de' Medici e le sue truppe gioiscono della splendida vittoria e rientrano ad Arezzo accolti da una folla festosa: gli odiati Romani sono stati ricacciati! Forse i Medici riusciranno a recuperare Firenze! Per tutta la Toscana si sparge la voce della vittoria fiorentina, guadagnata grazie al valore e alla forza delle milizie medicee. Nella stessa Firenze Accorsi da ordini alle forze di guardia di tenersi pronte ad eventuali rivolte cittadine.

La battaglia di Arezzo



La morte di Federico III da Montefeltro



Lamberto I viene raggiunto dalla notizia della sconfitta e rimane molto amareggiato: Piero è ora una spina nel fianco dei domini papali. Alcune milizie fiorentine si spostano pericolosamente fino nei pressi di Perugia, facendo tremare la città.
Dopo pochi mesi Svizzeri e Spagnoli decidono di partecipare anche loro alla crociata contro Ragusa. Nel frattempo la Confederazione Svizzere e Venezia si dichiarano guerra.
A dicembre, la cittadella di Ferrara si arrende alle truppe romane: Condulmer massacra senza problemi gli ultimi e irriducibili nobili ferraresi che preferiscono la morte al dominio pontificio che si sono lanciati in un ultimo vigoroso e coraggioso assalto contro le truppe pontificie. Il resto della nobiltà estense invece fugge verso nord, abbandonando per sempre la propria patria. Marco Condulmer entra a Ferrara in una grigia mattina autunnale, guardato da un popolo che lo odia ma che non può fare altro che accettare il suoi dominio: il grande condottiero veneziano viene elogiato da Lamberto I e gli viene dato ordine di tornare a Roma. La guerra con la temibile Ferrara è finita, e il risultato è stato eccellente. Il Papa Lamberto decide di perdonare la famiglia degli Este in esilio e di ricomunicarla con la Chiesa.

La carica dei coraggiosi cavalieri ferraresi sotto le mura della loro città



Nel 1472 Lamberto da ordine al generale Guido Farnese di cingere nuovamente sotto assedio Arezzo, dopo la disastrosa sconfitta romana. Anche le sue truppe sono composte da tiratori come quelle massacrate l'anno prima da Piero de' Medici ma proprio per questo da Firenze vengono fatte arrivare delle truppe di cavalleria a supporto. In una gola dell'Appennino toscano tuttavia, i cavalieri romani cadono in un'imboscata tesagli da Piero de'Medici. I Romani perdono molti cavalieri, ma finalmente riescono a mettere Piero in fuga: questi riuscirà a rientrare a Bibbiena al sicuro. La cavalleria pontificia prosegue malconcia per la strada prevista e giunge sotto le mura di Arezzo congiungendosi con l'armata del Farnese poche settimane dopo. Pochi mesi più tardi, in giugno, gli Aretini e alcuni rinforzi inviati da Piero de' Medici cercano di obbligare i Romani a togliere l'assedio: tuttavia le linee papali, grazie alla cavalleria e schierati su un declivio, fanno ben presto strage delle nobili milizie fiorentine. I nobili aretini combattono coraggiosamente ma sopraffatti dal tiro degli archibugi e dalle cariche guidate da Guido Farnese sono costretti a fuggire. Dopo pochi giorni Arezzo si arrenderà e sulle sue torri sventolerà il vessillo pontificio. La delusione per tutta la Toscana dilaga nei cuori di coloro che speravano un ritorno dei Medici. 1600 sono i soldati toscani morti ad Arezzo, e solo 184 le perdite papali.

Seconda battaglia di Arezzo



Il colpo più grande e definitivo alle truppe fiorentine viene dato a Massa: qui Domenico Orsini ( con 1900 soldati ), impegnato nell'assedio viene raggiunto da oltre 2100 soldati capitanati dal generale fiorentino Neri Capponi ed il nobile Gambacorti. All'ultimo momento l'esperto Orsini fa salire le sue truppe nei pressi di Arni sulle Alpi Apuane: qui l'esercito pontificio viene assalito su tutti i lati dalle truppe fiorentine ma riesce, grazie alla posizione difensiva, agli sforzi dei picchieri e al costante tiro di frecce e piombi a ricacciare le milizie fiorentine giù per le valli inseguendole e massacrandole con la cavalleria. Neri Capponi muore in combattimento, mentre Gambacorti riescea fuggire. Alcuni Fiorentini implorano pietà e Orsini decide di lasciarli liberi. La disfatta fiorentina è totale: i toscani lasciano sul campo 1800 morti, contro solo 542 pontifici. Questo è il prezzo di chi vuole attaccare un esercito ben attestato su un monte. Le truppe dell'Orsini corrono rapacemente verso la fortezza di Massa e la espugnano con i soliti modi brutali.

Battaglia di Arni sulle Apuane, fuga dei Fiorentini



La sconfitta militare viene seguita da una sconfitta simbolica: Condulmer, di sua spontanea iniziativa e a marce forzate, si dirige con le sue soldataglie private fino a Bibbiena, cingendola sotto assedio. Piero de' Medici al suo interno non vede arrivare alcun tipo di rinforzo e si rassegna: Condulmer fa preparare alcuni cannoni a organo mercenari collezionati durante le sue campagne e sfonda le fortificazioni di Bibbiena. Il generale veneziano, essendo un valoroso e odiando i combattimenti sleali, decide di avanzare dentro la città seguito solo dai suoi cavalieri della guardia, senza il grosso dell'esercito: egli vuole che le sue guardie si affrontino con quelle del Medici, 51 uomini contro 56. Gli uomini d'arme di Condulmer si introducono a Bibbiena e subito ingaggiano un tremendo combattimento con le truppe di Piero. I duelli sono mirabili, essendo entrambi i comandanti e cavalieri molto ben addestrati e risoluti: tuttavia i cavalieri di Condulmer sono molto più brutali ed avvezzi ai combattimenti rispetto a quelli di Piero. Piero de' Medici combatte abilmente, dimostrando tutto il coraggio e l'abilità di un fiorentino: cadrà da prode nella mischia insieme a tutti i suoi compagni. Bibbiena viene occupata dalla piccola forza pontificia. Condulmer massacrerà poche settimane più tardi 600 soldati fiorentini che erano riuscite a sopravvivere nelle campagne fiorentine e a masscrarli.

Schieramento delle artiglierie pontificie a Bibbiena

Uccisione di Piero de' Medici

Gli ultimi sostenitori dei Medici si sentono perduti, l'intero dominio di Firenze è in mano al Papa, Piero è stato ucciso, tutti gli altri eserciti sono stati sbaragliati e non c'è più sperazna di vincere la guerra. L'ultimo capitolo delle guerre in Toscana si conclude tragicamente a ottobre presso Sarzana. Qui il Gambacorti ha riordinato il suo contingente di superstiti della battaglia di Massa, questo è l'ultimo esercito fedele ai Medici. L'esercito lealista è composto da 1500 soldati male armati, affamati e stanchi: Domenico Orsini attacca lo schieramento nemico nei pressi di Sarzana il 2 ottobre. L'artiglieria pontificia apre il fuoco mentre i Fiorentini mandano avanti la cavalleria. I tiratori romani vengono presto raggiunti dai nemici e subiscono gravissime perdite, molti di loro fuggono. Il Gambacorti si dirige dentro la mischia facendo strage dei Romani, ma il resto del suo esercito viene pesantemente bersagliato e accerchiato: la cavalleria romana chiude a tenaglia lo schieramento toscano causando la rotta di tutti i suoi reparti. Gambacorti riesce a fuggire fuori dallo schieramento ma viene raggiunto e ucciso. I soldati pontifici massacrano senza pietà tutti i soldati nemici in fuga. Alla fine della giornata la guerra è vinta. Dopo molti anni, lo Stato Pontificio ha raggiunto nuovamente la pace! Roma esulta e in tutto lo Stato Pontificio si celebra la vittoria. Papa Lamberto celebra numerose messe per tutti i prodi caduti nel corso delle campagne militari. L'Orsini e il Condulmer vengono a buon titolo celebrati come i migliori comandanti che l'Italia abbia mai visto da lungo tempo: il loro genio ha permesso allo Stato Pontificio di riacquistare forza e potere. Le grandi vittorie militari di Roma sono state ottenute grazie a metodi innovativi, dinamici, facendo uso delle armi da fuoco, ancora poco utilizzate nel resto d'Italia e facendo affidamento più sui tiratori delle milizie cittadini che sui costosi nobili. La Penisola Italica è quasi per metà in mano al Papa, e le potenze straniere temono Roma enormemente.

Battaglia di Sarzana



Nel 1473 cambia l'asse delle alleanze nel centro e sud dell'Italia. Lamberto I e la Curia Pontificia constantano che la Spagna ha allentato di molto la morsa sull'Italia. Mentre il Viceregno di Sardegna è sconvolto dalla guerra che coinvolge il territorio dell'ex Giudicato di Arborea, in Calabria le truppe spagnole non riescono a ottenere vittorie sostanziali ed il Duca di Calabria si spinge sempre di più verso Taranto. Gli Angioini stanno nuovamente prosperando dopo la crisi di metà secolo e Napoli è una delle città più ricche e potenti d'Italia. I Francesi potrebbero cercare di inserirsi più prepotentemente nelle vicende della penisola finchè gli Spagnoli avranno problemi, senza contare l'inimicizia nei confronti dello Stato Pontificio a seguito dell'annessione romana di Firenze. Il Papa decide quindi di cessare le ostilità nei confronti di Taranto e di stringere una solida alleanza con il Principato. I Pugliesi sono molto contenti di aver trovato un alleato così forte, dopo anni di contrasto con la Chiesa. A seguito di questa alleanza anche i Tarantini partecipano finalmente alla crociata a Ragusa, la quale tuttavia procede a rilento ed è segnata dalle sconfitte dei vari principi cristiani.
Nel caldo luglio romano Lamberto I si ammala: le sue condizioni si aggravano sempre di più e il 29 luglio muore, all'età di 66 anni. Con lui lo Stato Pontificio è stato ben governato e salvaguardato da movimenti ostili interni. I maggiori principi romani rendono omaggio alla memoria del Papa e si interrogano sulle possibilità che si apriranno con il nuovo conclave.

Possedimenti pontifici alla morte di Papa Lamberto I
[Modificato da Legio XIII gemina 13/09/2011 19:27]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

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