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Campagna con lo Stato Pontificio

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2011 09:57
11/09/2011 00:03
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Tribunus Angusticlavius
Pontificatus Marci II (1457-1467)


Nel febbraio del 1457 viene eletto Papa il Cardinale Beato Savelli, con il nome di Marco II: nei 10 e intensi anni del suo pontificato, lo Stato Pontificio cambierà per sempre le sorti dell'Italia.
Marco II è un Papa relativamente giovane ( 42 anni ), è pieno di volontà e vigore, tuttavia fatica nell'inizio del suo pontificato a imporsi autoritariamente nello stato. Gli uomini più potenti di Roma sono al momento i generali Marco Condulmer e Domenico Orsini.
All'inizio del 1457 scoppia la guerra tra Firenze e Ferrara: Leonello d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Leonello_d'Este ), attacca i territori fiorentini vicino Pisa. La Curia Romana decide che Roma debba intervenire immediatamente: Ferrara e Siena potrebbero infatti sconfiggere congiuntamente Firenze, spartirsi infatti il dominio della Toscana e creare un'alleanza anti-papale. Il momento è proprizio anche considerato che il Moderatore di Siena è appena morto e il suo successore non ha un'autorità molto grande. Marco Condulmer, parente di Papa Eugenio IV, viene mandato con un forte contingente nel cuore della Toscana, per attaccare la stessa Siena. Nel frattempo Domenico Orsini Duca di Spoleto raggruppa diverse milizie e si appronta a marciare in direzione di Montalcino, una delle fortezze più potenti in mano a Siena. Lo stesso Papa Marco II decide di partecipare alla guerra e si insedia a Corento, per ricevere rinforzi da Civitavecchia ed Orvieto, con l'obiettivo di marciare sulla senese Grosseto.
L'attacco pontificio punta sulla rapidità e la sorpresa: partire con vantaggio sarà molto utile dato che la guerra probabilmente sarà molto difficile.

In autunno Condulmer giunge sotto le mura di Siena, quasi completamente sguarnita a causa dei grandi sforzi sostenuti nella guerra contro Firenze: al comando della città ci sono solo 500 lancieri della milizia. Condulmer schiera l'esercito papale sotto le mura di Siena in formazione d'assalto la mattina del 14 novembre. Nella fredda aria autunnale le bombarde romane cominciano a tuonare contro le mura meridionali di Siena: i pochi balestrieri senesi tentano un'eroica resistenza sulle mura bersagliando le linee romane, ma i numerosissimi tiratori pontifici rispondono al tiro facendo piovere su di loro una fittissima pioggia di frecce. In breve tempo viene aperta una breccia nelle mura e Condulmer insieme a tutta l'armata carica dentro la città: i fanti toscani si lanciano sugli aggressori con immenso coraggio e riescono ad uccidere un buon numero di nemici, venendo poi+ sopraffatti e massacrati in breve. Condulmer giunge il Piazza del Campo in pochi minuti, perdendo solo 94 uomini. La prestigiosissima Siena è in mano a Roma. La notizia della nuova guerra fa il giro dell'Europa e tutti temono una rottura definitiva degli equilibri interni italiani. I Senesi sono sbigottiti, la guerra contro Firenze non può più continuare: si può solo tentare di contrastare le truppe pontificie, ma la situazione sembra disperata. Marco Condulmer dovrebbe marciare contro Volterra, ma l'inverno è duro in Toscana ed egli non se la sente di marciare immediatamente contro una città nemica in mezzo alle nevi dopo le lunghe marce dal Lazio e l'assedio: passerà l'inverno a Siena riorganizzando l'esercito e dedicandosi anche, stimolato dal freddo, alle pulzelle e al vino, entrambi rinomati a Siena.

Immagini della battaglia di Siena






Nel 1458 Domenico Orsini, dopo essere partito da Viterbo, pone sotto assedio la fortezza di Montalcino: al suo interno vi è il Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci e la sua guarnigione che osservano le truppe romane giungere nei pressi delle mura e prepararsi all'assedio: il sanguigno e coraggioso Moderatore senese ha in mente di aspettare i rinforzi e poi tentare l'assalto alle linee romane. Dopo pochi mesi Condulmer esce da Siena e mette sotto assedio Volterra mentre il Papa Marco II fa lo stesso con Grosseto. Il Pontefice ha assoldato degli archibugieri mercenari con grandi idee di conquista ed è in preda ad un bizzarro fervore: egli vuole condurre campagne vittoriose contro i nemici di Roma cercando di assomigliare negli atti e nei gesti ai grandi condottieri romani dell'antichità. Nella campagna Marco trascura i consiglieri che riferiscono delle notizie dello Stato, e compie in continuazione esercitazioni sotto la neve e la pioggia, aggravando di molto la sua salute. Nel frattempo nello Stato Pontificio si sgominano alcune armate ribelli e dei movimenti eretici, che si fanno forti dell'assenza della temporanea presenza del Papa da Roma.
Nel 1458 a Firenze è istituito il Consiglio dei Cento.

Nel 1459, durante l'assedio di Volterra, Marco Condulmer riceve nella sua tenda la notizia che un'armata di 1800 Senesi comandata dal nobile Colombo di Lugana sta marciando da ovest verso gli schieramenti pontifici. Se Colombo arrivasse con il suo possente esercito ed assaltasse i Romani impegnati nell'assedio è probabile che accadrebbe un disastro: pertanto Condulmer decide di attendere l'arrivo dei rinforzi senesi presso le alture tra Volterra e il villaggio di Montaperti ( non quella famosa vicino a Siena ). I Romani attendono sui colli per 2 settimane, e il 23 maggio, sotto una pioggia scrosciante, le truppe Senesi compaiono nelle vallate presso Volterra. Condulmer fa schierare le truppe lungo le colline: in quella posizione la vittoria sarà più facile da raggiungere. Le truppe di Volterra escono dalla fortezza ed attaccano le linee romane da dietro, riuscendo anche a caricare la formazione pontificia sul fianco sinistro: Condulmer mantiene il sangue freddo e grazie alla cavalleria riesce a mettere il primo contingente senese in fuga. Nel frattempo nella pioggia si nota il grosso delle milizie senesi marciare frontalmente verso lo schieramento romano: Condulmer da ordine di bersagliare i nemici con tutte le armi ed i Senesi si ritrovano ad assaltare sotto il pesante tiro delle balestre e degli archiburgi. Nonostante questo la carica senese è fortissima e le prime linee romane sembrano in un primo momento cedere sotto l'urto toscano. La battaglia infuria con grande violenza mentre frecce e proiettili fischiano sopra gli elmi dei combattenti. La violenza degli scontri è enorme: la cavalleria senese cerca di sfondare la formazione nemica sotto la pioggia di proiettili. Le Guardie Svizzere al servizio di Condulmer riescono a tenere il campo ma subiscono gravissime perdite. Finalmente i Senesi cominciano a cedere e molti di loro scappano lungo le colline. I Romani inseguono le milizie nemiche con la cavalleria, ma nelle boscaglie sottostanti diversi balestrieri a cavallo senesi resistono causano ulteriori perdite. I combattimenti proseguono per tutta la giornata fino a che Colombo di Lugana viene ucciso da un colpo di balestra. Condulmer ottiene la vittoria, perdendo circa un terzo dell'armata ( 600 uomini ), mentre i Senesi perdono oltre 2000 uomini: le truppe romane entrano a Volterra in serata e saccheggiano la fortezza. Dopo pochi giorni le milizie romane raggiuggono anche Saline, e devastano. Gli assedi di Montalcino e Grosseto procedono senza partiolari problemi, se non a causa delle difficili condizioni atmosferiche.

Battaglia di Volterra

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Il 1460 è un anno di svolta nelle vicende di tutta l'Italia. Venezia ha acquisito un enorme potere dal periodo della pace contro Milano, e sta diventando sempre più prospera. Molte fazioni non vedono di buon occhio l'amicizia che lega Venezia e il Papa, e pertanto i maggiori principi italiani ( molti dei quali rimangono ancora in guerra tra loro ), decidono di formare una lega contro la Serenissima, con lo scopo di saccheggiare la città stessa di Venezia e di annientarne l'egemonia commerciale nel Mediterraneo. A questa lega partecipano Aragona, Francia, gli Asburgo, Milano, Genova, Ferrara, i Savoia e persino i più piccoli potentati di Monferrato, Calabria e Croazia. La Grande Lega ( praticamente nel gioco c'è stata una crociata contro Venezia che mi pareva molto poco verosimile e così mi sono inventato questa cosa XD ), comincia a preparare eserciti e flotte per poter arrivare a Venezia e distruggerla. La notizia è allarmante per il Papa: quest'alleanza potrebbe infatti annientare Venezia e spostare le mire degli stati italiani poi contro il vasto Stato Pontificio che sta diventando sempre più ricco e potente. La Curia Romana decide di minacciare di scomunica tutti gli stati partecipanti alla Grande Lega, e di stipulare un'alleanza con Venezia: Ferrara viene scomunicata immediatamente per aver continuato la guerra contro Firenze ed aver messo sotto assedio Pisa, mentre Taranto viene scomunicata nuovamente per aver fornito aiuti alla Lega essendo alleata con gli Spagnoli. Nei mesi successivi armate calabresi e napoletane transitano nei territori pontifici per arrivare a Venezia: Roma non ha armate per bloccare la loro marcia, essendo impegnata nella guerra contro Siena e così deve lasciare libero il passaggio senza rischiare altre guerre. Nel frattempo gli assedi romani in Toscana proseguono estenuanti per assedianti ed assediati. Nello stesso anno cade il Despotato della Morea, ultimo pezzo di terra bizantino in Europa.

Nel 1461 un esercito della Grande Lega guidato da un generale del Monferrato, dopo aver percorso la riva sinistra del Po, giunge a Venezia riuscendo a sbarcare a Murano: qui dopo poco tempo un'armata veneziana, coadiuvata dalla potente flotta, annienta totalmente i soldati piemontesi, dimostrando a tutta l'Europa la forza ed il valore della Serenissima.
A maggio le forze di Domenico Orsini in assedio a Montalcino vengono assalite dalle truppe del comandante senese Lorenzo de Felice insieme a quelle del Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci. I Romani si attestano su un colle anche in quest'altro assedio, ed anche questa volta la battaglia è durissima nonostante la superiorità numerica pontificia. Le truppe senesi sono appena 900, mentre quelle romane 2200, in più i Toscani devono combattere in salita: ma questo non spegne il loro impeto e si lanciano nuovamente contro le forze pontificie. La battaglia infuria violentissima e i Romani vedono parte del loro fianco destro sfondato dalla cavalleria senese: grazie all'appoggio di truppe leggere di schioppettieri Domenico Orsini riesce a dominare il campo e a ricacciare i Senesi verso le porte di Montalcino. Mentre i Romani massacrano le milizie senesi in fuga Paolo Pandolfo Petrucci rimane l'ultimo soldato nemico su vivo sul campo: giunto alle porte di Montalcino viene raggiunto dai cavalieri romani che lo finiscono a colpi di arma da fuoco. Anche Montalcino cade in mano pontificia.
Marco II a Grosseto respinge la sortita disperata dell'esercito senese comandata dal Signore di Grosseto Giacomo V. Marco II si getta egli stesso nella mischia nonostante delle febbri che lo colpiscono da tempo e con l'appoggio degli archibugieri tiene il campo. I Romani vincono la battaglia con poche perdite ( poco più di 200 ), saccheggiano la piccola città. Per l'intera Europa ci si interroga sui comportamenti di quello che invece di un Pontefice appare come uno scapestrato e crudele conquistatore.
Cade l'Impero di Trebisonda, ultimo territorio di cultura bizantina.

Battaglia di Montalcino






Battaglia di Grosseto




Nel gennaio del 1462 si ha notizia che Chambery è stata conquistata ai Savoia dalla Confederazione Elvetica: nel futuro questro potrebbe creare notevoli problemi, i Savoia infatti arginano geograficamente Francia e Svizzeri impedendogli di entrare in Italia, il loro cedimento è un rischio enorme. A marzo Domenico Orsini, dopo aver passato l'inverno a Montalcino, si dirige verso la costa ed affronta l'ultimo esercito senese rimasto in Toscana, presso Bibbona. L'esercito senese e quello romano si incontrano il 30 marzo vicino alla costa: i Senesi sono appena 1300, mentre i Romani 1850. Tra le schiere romane si notano reparti di arcieri inglesi della White Company, mentre i Senesi hanno al loro fianco un nutrito gruppo di cavalieri tedeschi mercenari: da notare anche i reparti di archibugieri schierati da entrambi i lati. Le truppe dell'Orsini sono molto stanche a causa degli anni trascorsi nella guerra in Toscana: le truppe nemiche sono motivate e bene armate. Domenico sceglie di schierarsi frontalmente alle linee senesi faccia a faccia per uno scontro frontale, senza astuzie, vuole un combattimento onorevole. La battaglia inizia con delle schermaglie tra gli archibugieri: le linee di fanteria avanzano sotto il fuoco. I Senesi, giunti a pochi metri dalle linee romane danno l'ordine ai cavalieri tedeschi di sfondare il fianco sinistro della formazione nemica. Le perdite romane sono notevoli e l'Orsini si getta insieme alla cavalleria nella mischia. Le Guardie Svizzere accorrono nella parte più intensa del combattimento mentre gli archibugieri si schierano sul fianco destro bersagliando i tiratori nemici rimasti oltre gli scontri. Per tutta la campagna si combatte aspramente: il sangue bagna la terra, le milizie si massacrano, i tiratori fanno saettare freccie e pallottole ovunque, senza riguardo per gli amici stessi tanto la bolgia è caotica. Domenico Orsini rimane ferito ad un braccio ed è costretto ad abbandonare la mischia. Il comandante senese viene ucciso da alcuni cavalieri mercenari e il morale dei Toscani si abbassa notevolmente. A sera i Romani riescono definitivamente ad uccidere gli ultimi Senesi rimasti sul campo, dopo un aspro giorno di sangue. Più di 900 saranno i morti romani, 1200 quelli senesi. L'armata dell'Orsini è stanchissima, ma alla fine ha posto fine alla guerra contro Siena.

Battaglia presso Bibbona, balestre vs archibugi




Dopo pochi mesi si ha notizia della caduta di Pisa in mano agli Estensi. Tra il 1462 e il 1463 nasce l'Accademia platonica di Firenze. Nel 1462 a Milano si inizia la costruzione del canale La Martesana che collega la città con l'Adda e di conseguenza con l'Adriatico.

Nell'autunno del 1463 luglio il Papa Marco, nonostante le continue febbri che lo tormentano, decide di assaltare la Signoria di Piombino, che ha appoggiato i Senesi nella recente guerra. Il Papa pone sotto assedio Piombino e decide contro il parere degli ufficiali di lanciare subito un assalto contro le mura presidiate dal Signore piombinese Jacopo II: ma la fortezza resiste e le truppe papali decidono di non forzare oltre, esse si ritirano poco più lontano per organizzare un assedio migliore da porre in primavera. Tuttavia nella primavera del 1464 Jacopo II attacca i Romani, dando luogo ad un'aspra battaglia campale. Le truppe piombinesi sono ben addestrate e ben comandate, Jacopo schiera 2200 soldati e Marco1800, la sorte sembra essere avversa ai pontifici. Jacopo II attaccherà il 27 Aprile le truppe del Papa, un giorno di pioggia molto intensa che rende il campo di battaglia un enorme acquitrinio. Jacopo manda un'avanguardia di 500 soldati ad aggirare i papali: i Romani intercettano la piccola armata e la distruggono grazie a un pesante fuoco di archibugi accompagnato da una carica di cavalleria; i morti romani sono circa un centinaio. Jacopo II, fallito il piano dell'aggiramento, decide di attaccare con tutte le forze la linea papale. Marco II fa schierare la cavalleria ai lati a fianco dei tiratori ( che compongono la maggior parte dell'armata ), e si pone dietro ad essi per intervenire in caso di sfondamento. Le condizioni fisiche di Marco sono pessime, ma come al solito, con grande stupore da parte dei soldati, monta a cavallo. I Piombinesi caricano il grosso delle forze romane con la cavalleria: l'urto è notevole e molti tiratori romani muoiono nell'impatto. La situazione è sempre più disperata, ma Marco da ordine di contenere i cavalieri piombinesi con l'esigua ma valente cavalleria e, rendendosi conto che questo non è sufficiente, si lancia egli stesso in combattimento, seguito e protetto dalla sua guardia che lo isola dai colpi nemici, conscia delle sue condizioni. Le ali di cavalleria romana aggirano i fianchi piombinesi, mentre gli archibugieri romani si portano fuori dalla mischia e viene dato loro ordine di colpire ripetutamente con un fuoco di fila le truppe nemiche. Nel giro di una mezz'ora la situazione sul campo è stabile. La mischia è intensissima ma i tiratori papali riescono a colpire precisamente e regolarmente i ranghi nemici: i Piombinesi stanno lentamente perdendo più uomini di quanti riescano a farne perdere al nemico. Jacopo II è nel mezzo della mischia ed abbatte decine di soldati papali ma una pallottola vagante gli trapassa la gamba, nonostante l'armatura: il nobile toscano esce fuori dalla mischia con la sua guardia e rimane solo dietro i ranghi della sua armata per scoprire la ferita e farsi assistere da un dottore. Appena visto ciò Marco da ordine ai suoi ufficiali di spostare il tiro delle balestre sul comandante nemico in bella vista e di farlo raggiungere dalle truppe della condotta. Jacopo II viene bersagliato dalle frecce romane, il suo cavallo viene colpito, lui viene disarcionato e cade nel fango: ferito, si trascina verso i suoi uomini che gli fanno da schermo, ma la cavalleria papale sopraggiunge e fa strage dei cavalieri nemici. Jacopo viene calpestato dai cavalieri della condotta che lo annegano nelle pozze di fango. I Piombinesi, presi dal panico, cominciano a fuggire disordinatamente mentre Marco, come avendo ritrovato le forze che da tempo gli mancano, incita gli archibugieri ed i balestrieri ad aumentare la frequenza del tiro: i soldati piombinesi, appesantiti dalle armature e bloccati dal fango vengono falciati dalle pallottole e masscrati dai cavalieri romani. Alla fine della giornata ritorna finlamente la luce del sole a rischiarare gli acquitrini e Marco comprende di aver ottenuto una delle vittorie più splendide dei suoi tempi: ad eccezione di pochissimi soldati, l'armata piombinese è stata totalmente massacrata, i Romani hanno perso solo 530 soldati. Il 2 maggio Marco marcia su Piombino e la fa mettere a ferro e fuoco: la sua esaltazione è al massimo, e la sua crudeltà si manifesta in quell'episodio in tutti i suoi lati più oscuri. Dopo diversi anni di pontificato, Marco II diventa finalmente un capo autorevole, soprattutto perchè temuto come generale: le rivolte nello Stato Pontificio cessano e i movimenti eretici vengono bloccati con più facilità.

Battaglia di Piombino



A seguito di questa vittoria le truppe di Domenico Orsini vengono inviate all'Isola d'Elba con una flottiglia mercenaria, a settembre esse cingono l'assedio del borgo di Rio nell'Elba, ultima roccaforte piombinese. Le truppe di Domenico Orsini sono più fresche e contano nuove truppe mercenarie, tuttavia le inside non sono finite per quest'armata di veterani: infatti a Campo dell'Elba pare che un'ultima e agguerrita armata piombinese stia preparando per respingere le truppe romane. L'isola è devastata.

Nel 1465 si nota un grave crollo dell'economia a causa delle prolungate campagne in Toscana. Il Papa stringe l'alleanza con Venezia e praticamente tutti i partecipanti alla Grande Lega cercano di far tornare in patria gli eserciti inviati, la Lega si scoglie. Da quel che si sa le truppe ferraresi rimaste in Veneto vengono massacrate e Rovigo viene presa dai Veneziani. Calabresi e Napoletani tornano con le loro armate mestamente in patria, dopo una lunga, estenuante e inutile campagna: ancora una volta i Romani stanno a guardare. Il Papa ha ottenuto una vittoria politica non indifferente, senza entrare in guerra, per ora, con nessuno. Il Doge veneziano è molto riconoscente a Roma. Nel frattempo tutte le nazioni della ex Grande Lega cominciano a fare circolare voci che dipingono Marco II come l'Anticristo in persona, portando a testimonianza i saccheggi e le violenze commesse dai suoi soldati in Toscana e le stranezze relative alla mistreriosa forza che fa passare il Pontefice da una debolezza gravissima a una forza enorme, come più volte dimostrato in campo.
Lo Stato Pontificio, nonostante le grandi spese per la campagna contro Siena e Piombino, si è molto evoluto negli ultimi anni: molte città sono in piena espansione, i commerci fioriscono e le arti anche, soprattutto a Roma e a Bologna: la corrente crisi economica è solo una nuvola su questo bel paesaggio, ma non può essere sottovalutata.

Nel 1466 i Fiorentini assediano Pisa ma vengono respinti dalle armate ferraresi. Marco II e la Curia Romana, dopo molte riflessioni, decidono che Ferrara vada fermata nella sua spinta espansionistica: Roma ha ancora molti soldati di ottima qualità al suo servizio, l'economia va molto male e i territori ferraresi sono molto ricchi. Ferrara è già scomunicata, ed un assalto in grande stile potrebbe risolvere molti dei problemi dello Stato Pontificio, soprattutto quelli economici. Marco II, residente al momento a Civitavecchia, decide di inviare il prode Marco Condulmer con le sue truppe veterane in Romagna, pronto a sferrare un attacco ai domini estensi. Dopo poco lo stesso Marco II si muove per la Romagna passando per Orvieto, dove fa edificare un nuovo oratorio, e rimanendo per l'inverno nell'incantevole Perugia, sempre preso dalle sue esaltazioni bellico-mistiche: nel frattempo in Toscana il Papa da l'assenso per la creazione di un nuovo convento francescano a Montalcino e uno carmelitano a Volterra.
In settembre all'Elba le truppe piombinesi si sono finalmente decise a dare battaglia. Con quest'ultima battaglia Domenico Orsini potrà finalmente essere ricoperto di gloria per aver posto fine alla guerra in Toscana, durata ormai da più 5 anni, anni di privazioni, morte, sofferenze, fame. L'armata piombinese è composta da 1600 uomini, in buona parte cavalieri, tutti i nobili fuggiti dalla penisola a seguito dell'occupazione pontificia. L'esercito dell'Orsini è composto da 2000 uomini, molti dei quali logori e stanchi a causa di una guerra così lunga e dolorosa, che gli ha già causato la perdita di molti amati amici e parenti. Domenico non può permettersi di perdere la battaglia: in caso di sconfitta infatti ci vorrebbero anni prima di poter condurre nuovamente una campagna contro l'Elba. La mattina del 9 settembre 1466, i papali e i piombinesi si incontrano sulle alture vicine a Rio. Dopo che i preti hanno benedetto i soldati in entrambi gli schieramenti la battaglia inizia. Come al solito le truppe romane cominciano col tirare un po' di frecce tra i ranghi nemici, ma la cavalleria li carica immediatamente. La mischia comincia più cruenta del solito, ma dopo l'impeto iniziale i ranghi toscani sembrano già deboli: tuttavia la cavalleria piombinese è molto aggressiva e continua ad attaccare ripetutamente quella romana con una tattica mordi e fuggi. I papali hanno dei fedeli cavalieri veterani con schioppetti reduci della battaglia di Ancona e della corrente guerra, che agiscono in maniera eccellente per contrastare la cavalleria nemica spostandosi con grande agilità: per tutto il campo si sparge l'odore della polvere da sparo che in alcuni punti crea una nebbiolina bianca. Domenico ingaggia dei combattimenti molto duri e rimane più volte ferito. In un momento l'Orsini rischia enormemente la vita perchè, rimasto solo, è inseguito dalla cavalleria leggera toscana: sono gli schioppettieri a trarlo in salvo sparando un piombo che va a colpire la testa dell'ufficiale nemico che lo stava inseguendo. La vittoria romana giunge anche questa volta, ma questa volta per sempre, la guerra è finita! Sul campo tutti i Piombinesi sono morti o dispersi ma oltre 1200 sono i morti papali: molti giovani romani non vedranno mai più la loro casa. L'Elba viene conquistata interamente dall'Orsini che torna finalmente a Volterra tra mille onori per godersi un meritato riposo; qui riceve l'ordine di preparare un esercito tutto nuovo con i fondi messi a disposizione dal Papa. Domenico non è stanco per se, ma solo per i suoi uomini e ubbidisce prontamente all'ordine: l'anno successivo dovrà partire per Pisa con uomini freschi, Roma vuole attaccare Ferrara.

Battaglia di Rio




Nel 1467 le truppe pontificie sono pronte per l'attacco a Ferrara: ben 4 armate dovranno attaccare i domini estensi. Probabilmente i Ferraresi sanno che Roma sta addensando truppe al confine romagnolo, ma molte delle loro armate sono già dispiegate contro Venezia e Firenze. Marco II, guidato da uno dei suoi impeti bellici, decide di partire per primo in Emilia: Marco Condulmer guiderà i suoi veterani verso Ferrara stessa, Domenico Orsini attaccherà Pisa e il Governatore di Forlì Leon Battista Alberti Accorsi coprirà le spalle a Condulmer con un altro contingente. La campagna comincia in tardo autunno, per cercare di cogliere il più possibile i Ferraresi di sorpresa. Il 24 novembre Marco II attacca intrepidamente Modena: la città è quasi completamente sguarnita, solo Borso d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Borso_d'Este ) e pochi fanti: dopo i cannoneggiamenti delle mura le truppe pontificie sciamano dentro la città e massacrano la guarnigione, compreso il povero Borso che viene ucciso da rudi mercenari emiliani assoldati per la via: a quanto pare la condotta bellica romana della guerra non concepisce la misericordia. L'esaltazione di Marco II supera ogni limite, si proclama Imperatore di tutti i regni cristiani, paragona le sue abilità guerresche ad Alessandro e a Cesare e giura di brandire la spada per tutta la vita al fine di riportare con lo spargimento di sangue la pace nella Cristianità; passa intere notti semi-nudo a pregare nelle fredde chiese modenesi; gli stessi ufficiali romani cominciano a preoccuparsi per lo stato mentale del Pontefice. Alla corte di Ferrara si scatena il terrore per l'attacco delle truppe pontificie. Dopo pochi giorni dalla vittoria, nonostante il gelo intenso, Marco II da ordine di marciare contro la fortezza di Reggio in Emilia: questa fortezza si è espansa notevolmente secondo i piani della dinastia estense diventando un baluardo apparentemente imprendibile, al momento è presidiata da Niccolò V d'Este famoso generale ferrarese, abile spadaccino e valente cavaliere. Marco II vuole assaltare la fortezza senza approntare un assedio: i comandanti romani accettano la sfida dubbiosi sull'esito dello scontro ma forti dei buoni vettovagliamenti e delle truppe fresche e preparate. Il 15 dicembre l'esercito pontificio si dispone sotte le mura di Reggio: lo scopo sarà aprire una breccia nelle mura orientali ed entrare nella cittadella più interna per fare strage dei nemici. L'artiglieria romana comincia a colpire le mura ferraresi, ma queste sono così resistenti che le palle di ferro sparate, dopo aver impattato violentemente la pietra, rimbalzano all'indietro: molti proiettili ricadono vicino alle stesse linee pontificie con fragore, nell'agitazione dei soldati. Una palla ritorna indietro centrando in pieno e mandando in mille pezzi 9 artigleri e spaccando una bombarda: alcuni sfrontati nobili romani sui loro cavalli ridacchiano e scommettono su quale punto dello schieramento arriverà la prossima palla! Dopo numerosi rischi viene finalmente in tarda mattinata aperta una breccia nelle mura. Diversi archibugieri e tiratori vengono inviati sotto le mura per coprire con il fuoco l'avanzata della fanteria e della cavalleria romana, la quale si mette ad inseguire alcuni balestrieri e membri della Guardia Estense che all'avanzare del nemico fuggono verso la cittadella più interna. Ci sono alcune lievi perdite. Le truppe pontificie entrano nella prima cinta muraria con grande facilità e si apprestano a trovare un passaggio per salire sulle mura della cittadella più interna. I loro sforzi sono inutili giacchè lo stesso Niccolò V ordina ai suoi soldati di caricare i Romani fuori dalla fortificazione. Lo scontro comincia nelle strade di Reggio con grande violenza: la cavalleria romana, spintasi troppo avanti rispetto al grosso delle truppe, rimane intrappolata dalle truppe ferraresi: all'arrivo della fanteria romana solo pochi cavalieri sono sopravvissuti. Sotto le mura del cancello della fortezza più interna si ingaggia una lotta furibonda nella quale il Papa Marco si getta senza aspettare: con i suoi rabbiosi fendenti riesce ad uccidere molti nemici: tuttavia la sua guardia subisce numerose perdite ed è costretto a ritirarsi temporaneamente dalla mischia: le urla del Papa sono sconnesse, parlano di Dio, di santi, di Imperatori e di sangue, ed i soldati romani non capiscono ormai nemmeno più quale sia la causa di questo comportamento, forse Marco ha perso definitivamente la testa. Il cancello della fortezza interna viene forzato, si spezzano le catene e le fanterie papali riescono ad inflitrarsi nella piazza nemica principale. Niccolò V carica i pontifici e si getta nel folto della mischia: il biondo comandante estense dal fisico prestante e dal grande coraggio combatte come un leone per la sua casata: sotto i suoi colpi cadono molti tra i migliori cavalieri romani; il suo coraggio non serve però a salvare la sua vita, un cavaliere bolognese al soldo del Papa sopraggiunge alle sue spalle e, con un colpo netto e preciso, lo decapita. I Ferraresi, inorriditi, continuano a combattere violentemente fino all'ultimo. Marco II vede la vittoria, credi di essere Alessandro sulle mura di Tiro: è talmente infervorato che carica nella porta della fortezza senza fare caso ai numerosi picchieri romani che la stanno attraversando con le loro armi pericolosamente puntate verso il cielo; giunto all'interno uno spadaccino estense da un forte colpo di spada addosso al cavallo del Papa: la bestia straziata dal dolore si imbizzarrisce, Marco cerca di reggersi ma cade all'indietro e si infilza il torace sopra una picca di uno dei suoi stessi uomini. Il Pontefice comincia ad urlare pietosamente mentre i suoi uomini increduli non sanno cosa fare. Mentre gli ultimi Ferraresi vengono snidati dalla fortezza centrale e uccisi, Marco II è trasporato su suo preciso ordine nella cattedrale di Santa Maria Assunta: sta morendo. Il Papa è pallido, trema, la ferita gli procura un dolore enorme, ma egli cerca con ritrovata umiltà, nel momento estremo di esprimere i suoi ultimi pensieri, vuole i nobili romani attorno a lui: dopo essersi accomiatato da ognuno di loro, pronuncia le sue ultime parole: - Esiste, miei figli, una sola cosa per la quale valga la pena morire: l'amore per Dio e per la patria. Onorate il Signore, servite la vostra madre Chiesa, strappate l'Italia dal dominio dei barbari e degli empi -. I nobili romani vedono spegnersi per sempre riconciliato con Dio e con se stesso il Papa Marco II, Beato Savelli, morto nell'assedio di Reggio il 15 dicembre dell'anno del Signore 1467.

Particolari della battaglia di Reggio






[Modificato da Legio XIII gemina 11/09/2011 00:12]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

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