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Campagna con lo Stato Pontificio

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2011 09:57
06/09/2011 17:00
OFFLINE
Post: 2.086
Registrato il: 12/11/2009
Città: ROMA
Età: 32
Sesso: Maschile
Tribunus Angusticlavius
Machiavello 8.0
AAR Patrimonium Sancti Petri in Machiavello 8.0 Spicciolati d'Italia
Difficoltà di campagna: Media
Difficoltà di battaglia: Molto Alta

La seguente AAR è un omaggio al Forum. Continuerò ad aggiornare la AAR facendo un post per ogni pontificato che si succederà, questo per dire che per alcuni ci potrebbe volere diverso tempo relativamente alle dinamiche di gioco e alle mie possibilità di tempo. Ho cercato di mettere un po' di dettagli storici per dare più colore al racconto della campagna. Sicuramente ci sono diversi errori ed imprecisioni, se ne trovate fatemeli notare per correttezza nei confronti del forum. Per quanto riguarda gli stemmi dei Papi, solo quello di Eugenio IV ( il primo in ordine nella campagna ), è corretto, poichè gli altri Papi del gioco non sono mai esistiti e come loro stemmi ho messo quelli dei pontefici reali succeduti negli anni successivi. Ovviamente anche la vita dei personaggi storici è stravolta avendo io fatto andare le cose in maniera diversa dalla storia, ma questo è il bello della AAR.
Buona lettura!
Vester Legio XIII Gemina




«... . Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella è vota?
Sanz'esso fora la vergogna meno. ...»

versi 76-90 Canto VI del Purgatorio, Divina Commedia, Dante Alighieri


«Ad Italiam Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, tellus nobilibus multum generosior oris, fertilior cuntis, terra formosior omni, cincta mari gemino, famoso splendida monte, armorum legumque eadem veneranda sacrarum Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, cuius ad eximios ars et natura favores incubuere simul mundoque dedere magistram. Ad te nunc cupide post tempora longa revertor incola perpetuus: tu diversiora vite grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto Italiam video frondentis colle Gebenne. Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus spiritus et blandis assurgens motibus aer excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve!»

Traduzione

«O nostra Italia! Salve, terra santissima cara a Dio, salve, terra ai buoni sicura, tremenda ai superbi, terra più nobile di ogni altra e più fertile e più bella, cinta dal duplice mare, famosa per le Alpi gloriose, veneranda per gloria d’armi e di sacre leggi, dimora delle Muse, ricca di tesori e di eroi, che degna d’ogni più alto favore reser concordi l’arte e la natura e fecero maestra del mondo. A te voglioso dopo tanto tempo io ritorno per non lasciarti mai più: tu alla mia vita darai grato riposo e alfine mi concederai nel tuo seno tanta terra quanta ne ricoprano le mie fredde membra. Pieno di gioia io ti contemplo, o Italia, dall’alto del frondoso Monginevro; rimangono alle mie spalle le nubi e un vento soave mi colpisce la fronte, mentre l'aria salendo con moto leggero mi accoglie. Riconosco la mia Patria e gioioso la saluto: salve, mia bella madre, salve o gloria del mondo!».

Ad Italiam (Epyst., III 24), Francesco Petrarca



«.... Non si debba adunque lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia dopo tanto tempo vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne: con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se li serrerebbano? quali populi li negherebbano la obedienza? quale invidia se li opporrebbe? quale Italiano li negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli adunque la illustre Casa Vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e sotto li sua auspizi si verifichi quel detto del Petrarca:

Virtù contro a furore
prenderà l’arme; e fia el combatter corto,
ché l’antico valore
nell’italici cor non è ancor morto. »

dal capitolo XXVI "Exhortatio ad capessandam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam" del De Principatibus, Niccolò di Bernardo dei Machiavelli


Patrimonium Sancti Petri
Anno Domini 1441



Pontificatus Eugenii IV ( 1431-1449 )


Lo Stato Pontificio si trova nel 1441 in un momento difficile della sua storia. Dopo la Cattività Avignonese e lo Scisma d'Occidente, la figura del Papa si trova ad essere fortemente ridimensionata nella sua autorità politca e religiosa. In tutta Europa si sono da tempo diffuse ideologie di protesta che denunciano la corruzione della Chiesa e a gran voce si richiede una riforma morale e strutturale della stessa. Le condanne di Wycliffe e Hus, condannati al rogo a seguito del Concilio di Costanza ( il primo dei quali a 50 anni dalla sua morte ), sono dei precari mezzi per arrestare le critiche nei confronti di tutte le contraddizioni fondanti la Chiesa di Roma ed il suo potere terreno: esse ormai si propagano sempre più velocemente non solo nelle cerchie elitarie degli studiosi ma anche nell'ascendente e dinamico cetto medio europeo, nelle università, intrecciandosi anche con i nascenti sentimenti nazionali che avversano l'ingerenza di un Papa italiano sugli affari politico-religiosi dell'intera Europa. Nel 1440, dopo gli scritti di Niccolò Cusano, il presbitero Lorenzo Valla compone nella capitale pontificia il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione, che pubblicato nel 1517, sarà una delle prove più lampanti utilizzate dai protestanti per dimostrare l'illiceità del potere temporale dei vescovi di Roma. Le isitituzioni ecclesiastiche detengono un immenso potere economico e territoriale in tutti i maggiori reami cristiani ed i sovrani osservano con cupidigia gli enormi profitti derivanti da esse nella speranza di potersene appropriare: ad esempio con la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, la stessa Francia di Carlo VII, pur evitando insieme all'Imperatore Sigismondo di Lussemburgo il verificarsi di un nuovo scisma già poco dopo il Concilio di Costanza, istituisce una sorta di legame più stretto tra la Chiesa francese ed il proprio Re, ridimensionando l'ingerenza della Santa Sede nel reame. Sul piano internazionale anche l'antico dualismo Papa-Imperatore è ormai solo una formalità: nonostante le vicissitudini Papato e Impero si erano sempre legittimati a vicenda nel corso dei secoli mantenendo un rapporto ambiguo ma autorevole e riconosciuto nella cristianità: tuttavia ora l'Imperatore ha perduto gran parte dell'influenza politica originaria sull'Europa e la sua autorità, limitata alla Germania, è in gran parte legittimata solo con il consenso dei Principi elettori. Dopo la Cattività Avignonese il governo di Roma trova difficoltà anche nel dominare i suoi affari interni: mentre Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Genova, Ferrara e gli altri potentati italiani costituscono dei forti poteri internazionali per la maggior parte in netta ascesa economica, culturale, tecnologica, lo Stato Pontificio è povero e decaduto. Roma è poco più che un borgo, le fazioni romane lottano l'una contro l'altra e molti vassalli pontifici sono praticamente indipendenti da Roma. Eugenio IV ( Gabriele Condulmer ), e la Curia Romana comprendono che al fine di riportare il Papato ad ottenere maggiore prestgio nella Cristianità, l'unica via è far si che esso non subisca ingerenze politiche dall'esterno ( soprattutto straniere ), e che diventi una grande istituzione forte ed indipendente, mettendosi al passo degli altri stati italiani. Per riuscire in questa grande impresa saranno necessari anni, soldi, duro lavoro, guerre ed un notevole sforzo interno allo Stato Pontificio, povero di mezzi e di risorse. A Basilea il nuovo concilio ha dato luogo ad un altro piccolo scisma con un nuovo antipapa. L'idea di una riforma morale della Chiesa non viene giudicata totalmente sbagliata a Roma, ma il nepotismo e la simonia sono "mali" troppo diffusi e peraltro fruttuosamente strutturanti la Chiesa da potersene sbarazzare: le macchinazioni politiche e militari appaiono come il mezzo più veloce per avviare una riforma quanto meno poilitca dello Stato Pontificio. Tra i colti ecclesiastici di Roma si avverte inoltre l'esigenza di una rinascita civile e poltica di Roma, la volontà di ricostruire un forte Stato Pontificio indipendente da ogni potere straniero. Eugenio IV, sebbene veneziano, rimane fortemente colpito dalla visione della Città Eterna e si innamora dell'idea di riconsegnare ad essa la forza e l'autorità che l'avevano contraddistinta nel passato, mirando a strapparla al degrado, alla violenza e alla miseria in cui essa versa, essendo stata per troppo tempo privata della Curia e lasciata in mano alle vendicative e violente famiglie nobili romane. Per ora l'immagine di un forte Stato Pontificio è ancora lontana, ma si è ancora in tempo per realizzarla, in particolare sfruttando i vari eventi della politica italiana.

Nell'ottica di una "ricostruzione" dello Stato Pontificio, Eugenio IV e la Curia decidono che il primo passo vada compiuto rafforzando l'autorità del Papato con una mossa ferma e decisa in Italia. Lo Stato Pontificio non è sufficientemente forte per espandersi contro potentati vicini: tuttavia le città di Bologna ed Ancona, strappate al Papa dal Ducato di Milano, rappresentano un ottimo obiettivo. Queste città sono ricche, entrambe in una posizione geografica strategica, relativamente sguarnite: circondate dai territori pontifici, con una manovra militare abile e fulminea potrebbero passare in breve a far parte del Patrimonio di San Pietro. Eugenio IV inoltre garantirebbe con l'annessione di queste città un appoggio alla sua amata Serenissima contro gli odiati Visconti, strappando ad essi due centri di vitale importanza tra cui uno dei più grandi porti dell'Adriatico, senza contare il miglioramento temporaneo dei rapporti con Firenze e di altri stati nemici di Milano. Nel Marzo del 1441 Eugenio IV lancia la scomunica a Milano, i comandi militari pontifici vengono messi in moto e nella primavera del 1441 due eserciti guidati rispettivamente dai generali pontifici Astorre II Manfredi Signore di Imola ( it.wikipedia.org/wiki/Astorre_II_Manfredi ), ed Everso degli Anguillara ( it.wikipedia.org/wiki/Everso_degli_Anguillara ), di circa 2000 uomini ciascuno, ben riforniti, attaccano il primo Bologna e il secondo Ancona ( quest'ultimo con delle truppe inviate da Urbino ). Gli ordini del Papa sono chiari: gli assedi devono durare il meno possibile, onde impedire l'arrivo di rinforzi milanesi che sbaraglierebbero facilmente le inesperte armate pontificie: per questo motivo vengono stanziati dei fondi per l'ingaggio di cannoni mercenari allo scopo di fare breccia tra le mura delle città e di guidare un assalto senza attendere oltre. Il 4 Aprile del 1441 Astorre II Manfredi giunge sotto le mura di Bologna e il 10, dopo aver disposto il campo e le truppe tra il torrente Savena e il lazzaretto sgombrato dai Milanesi, assalta la città: alle prime luci del mattino i Pontifici cominciano a cannoneggiare pesantemente le mura orientali bolognesi poco più a nord di Porta Maggiore; dopo poche ore una parte delle mura è completamente sbrecciata, La Chiesa dei Servi di Maria viene danneggiata dalle artiglierie romane. Astorre II Manfredi da ordine alle truppe di caricare e la cavalleria pontificia si getta nella breccia facendo strage delle esigue ed impreparate milizie milanesi posizionate dietro le mura: in breve tempo irrompe nelle mura anche la fanteria pontificia costituita da montanari dell’Appennino e milizie leggere di municipalità umbre e marchigiane che ingaggiano una dura lotta contro i temuti e rinomati spadaccini bolognesi, giunti nel frattempo in soccorso dei compagni travolti dalla cavalleria nei pressi di Porta Maggiore. Le milizie romane resistono, ingaggiando dei combattimenti durissimi con i Bolognesi i quali si battono come leoni. In breve Astorre si fa strada a colpi di spada tra i Milanesi e giunge con la cavalleria papale in Piazza Maggiore ingaggiando una furiosa lotta contro il comandante milanese Francesco Piccinino ( it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Piccinino ), e la sua scorta di cavalieri. Nella lotta il comandante milanese cade da cavallo sotto la Basilica di San Petronio: ferito a morte, da un'ultima occhiata alla croce in cima alla Basilica e viene finito a colpi di spada da alcuni cavalieri pontifici. Alla fine della giornata le belle strade ed i magnifici portici di Bologna sono disseminati di uomini morti o agonizzanti, mentre le soldataglie pontificie si abbandonano ai saccheggi per le case. La Dotta, la Grassa, la Rossa è tornata a far parte del Patrimonio di San Pietro, le truppe papali si insediano in città permanentemente e Astorre II Manfredi viene in seguito nominato governatore della città nonché Signore della Romagna.
L'assalto di Ancona, nonostante le previsioni favorevoli ai papali, si rivela al contrario di quello di Bologna più difficile del previsto: la battaglia viene combattuta nel 18 Aprile 1441. Everso degli Anguillara ha disposto ordinatamente le truppe papali di fronte alla città con l'idea di far avanzare verso le fortificazioni nemiche simultaneamente cavalleria e fanteria da mischia coperte dai numerosi balestrieri eugubini, diverse unità di pistolettieri e artiglierie: i Milanesi capitanati dal condottiero Bosio Sforza si barricano nella città come possono. L'assalto comincia di mattina con un tempo nuvoloso e ventosa e viene guidato bene da parte dei romani : tuttavia le milizie milanesi resistono le bloccano quelle pontificie sulle fortificazioni, mentre la cavalleria papale, trovata una via aperta, sale disordinatamente in città verso il Colle Guasco senza difficoltà ma separandosi dal grosso dell'armata. Vedendo la fanteria romana in difficoltà, Everso invia balestrieri e schioppettieri vicinissimi alle fortificazioni per colpire più duramente i milanesi, dopodichè si lancia anch'egli in città raggiungendo la cavalleria: le artiglierie continuano a far fischiare proiettili ovunque sulle fortificazioni milanesi, mentre lo scontro si intensifica nella sua violenza. In certi punti i Milanesi sono costretti a combattere i Pontifici dando le spalle ai balestrieri nemici e venendo feriti a decine, senza contare l’artiglieria papale che ogni tanto centra qualche soldato mandandolo in mille pezzi tra il fumo, le urla e i fischi. Bosio Sforza decide di intervenire e scende con la sua cavalleria nei pressi delle fortificazioni, ma i cavalli vengono impressionati dai proiettili dei pistolettieri dei cavalieri pontifici che sparano disordinatamente in ogni direzione spaventati dall’inaspettato arrivo della cavalleria. Bosio si rende solo ora conto che il grosso della cavalleria romana è già entrata in città, e decide di tornare sul colle Guasco: mai scelta fu più sbagliata. Bosio aveva infatti l'opportunità con la cavalleria pesante di travolgere le milizie leggere nemiche, i balestrieri e gli schioppettieri, mentre le artiglierie romane avevano quasi esaurito i colpi, ed invece si ritira. Durante tutta la giornata si combatte per tutta la città e le truppe romane riescono a distruggere quelle milanesi, nonostante le gravi perdite: alla sera la città è presa e tra il fumo ed i lamenti dei feriti Everso degli Anguillara entra nel Duomo di San Ciriaco, seguito dalla sua scorta cavalieri: con le mani insanguinate, la polvere sull'armatura, il fisico provato, il cuore gonfio di orgoglio e di gloria, egli ringrazia Dio per la vittoria e chiede perdono per le azioni di violenza compiute nella giornata. Il Conero è del Papa: Roma è riuscita a strappare a Milano due città di notevole importanza con azioni ben condotte e con il vantaggio della sorpresa: il misero esercito pontificio, concentrato nei giusti punti, ha inferto a Milano un duro colpo. Alla notizia delle due vittorie il popolino romano va in estasi, osanna il Papa e si dedica con spensieratezza a quello che da secoli riesce a fare meglio, cioè festeggiare mangiando e bevendo, ma questa volta con un senso rinato di orgoglio: Piazza Navona e Piazza del Popolo rimangono animate per giorni e giorni ed Eugenio IV esulta per l'insperata e magnifica vittoria. Nel frattempo a Milano costernazione ed incredulità pervadono la cittadinanza: il vecchio Duca Filippo Maria Visconti ( it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Maria_Visconti ), accoglie con sgomento e rabbia la notizia delle perdite del Ducato, il quale già versa in condizioni difficili politicamente ed economicamente e che si trova adesso in un momento molto difficile della sua storia. Per anni Filippo Maria ha dovuto creare equilibri e compromessi, sia in politica interna che esterna: alcuni anni prima egli aveva già ceduto Imola e Forlì all'odiato Eugenio IV e questo ora, con audita sfrontatezza, lo scomunica annettendo i domini ducali nel centro Italia. L'affronto è grande, ma la minaccia di una guerra lo è ancora di più. Il Ducato di Milano è costretto a chiedere perdono al Papa per evitare una nuova guerra: Eugenio IVrevoca la scomunica e si intavolano accordi commerciali tra Roma e Milano. La pace tra Milano e Venezia nello stesso anno porta alla cessione di Peschiera, Legnago e Ravenna a Venezia. Eugenio IV non ha in mente di annichilire Milano: Milano si può tenere a bada ma non annientare, perchè ancora troppo potente: adesso è ora per il Papa di compiere politiche interne efficienti...ma Dio vuole che gli equilibri italiani vengano turbati nuovamente, questa volta ad opera di un popolo straniero, fiero e con grandi mire espansionistiche in Italia e nel Mediterraneo, gli Spagnoli.
Alfonso V Re d'Aragona era già giunto in Italia nel 1435 per conquistare i domini angioini nel regno di Napoli, occupando Capua e mettendo sotto assedio Gaeta. Nella battaglia navale di Ponza Alfonso e suoi fratelli furono catturati dai genovesi al soldo dei Visconti e furono imprigionati. Filippo Maria Visconti decise infine di rilasciare gli illustri prigionieri senza riscatto e anzi accettando il titolo formale di Alfonso di nuovo Re di Napoli, preferendo ritirarsi dalla lega anti-spagnola e contrastando così i Francesi: subito dopo Alfonso tornò in Campania, rioccupò Capua e marciò definitivamente su Gaeta. Il 10 novembre 1441 Alfonso mette sotto assedio Napoli.
Eugenio IV, che ha sempre avversato gli Aragonesi, decide di sfruttare la situazione attuale a suo favore: la Campania è devastata dalla guerra e la situazione sembra buona per una possibile espansione territoriale da parte dello Stato Pontificio. Eugenio invia nel 1442 una missiva per chiedere ad Alfonso la cessione di Gaeta al Patrimonio di San Pietro e questi accetta, in cambio di 60.000 fiorini, molto utili per stipendiare i mercenari e le milizie alle proprie dipendenze. Gaeta è una città importantissima per il dominio del Tirreno, nonchè una minaccia per la stessa Roma se lasciata in mano aragonese. L'insediamento delle truppe pontificie è rapido e senza disordini. Il re di Napoli Renato d'Angiò rimane sorpreso dal gesto del Papa ma è sicuro dell'alleanza con il Papa ed attende aiuti fiducioso. Tuttavia il Sommo Pontefice tergiversa: egli non ha ancora milizie sufficienti per affrontare l'esercito aragonese, o meglio, ne potrebbe avere ma non ha intenzione di immischiarsi nella guerra prima del tempo. Dopo molte insistenze angioine il Papa offre 50.000 fiorini agli Angioini in cambio della cessione dell'antica e importante fortezza di Castel di Sangro. Grazie al contributo papale Renato d'Angiò riesce a reclutare una possente armata e a scacciare nel 1443 le truppe aragonesi impegnate nell’assedio a Napoli, la città è momentaneamente salva. Queste annessioni territoriali da parte del Papa contro pagamento sono mirate a far acquisire gradualmente nuove terre allo Stato Pontificio, indebolendo nella penisola i poteri forti come quello aragonese ed angioino senza l’uso delle armi. Alfonso V non si da per vinto e riorganizza i suoi eserciti a Capua in vista di un nuovo assedio di Napoli.

Tra il 1442 e il 1448, lo Stato Pontificio avvia dei profondi cambiamenti amministrativi ed attua piani di ricostruzione nei suoi territori. Il Papa comincia ad inviare nelle varie città dello Stato suoi fidi collaboratori, tra cardinali e condottieri. Il loro insediamento si propone di mantenere il controllo diretto sui vassalli o di causarne la distruzione in caso di rivolta. In questi anni si devono sedare con la forza molte rivolte contro il potere di Roma. Il pungo di ferro di Eugenio IV non ammette alcun tipo di pietà nei confronti dei ribelli, nemmeno quella cristiana. La repressione continua brutale e viene accompagnata da atti inauditi di violenza da parte dei soldati papali, ai quali viene promessa una grande parte del bottino in caso di vittoria: per risparmiare si utilizzano milizie locali e/o contadini invece che mercenari. In questo periodo numerose città quali Tivoli, Sutri, Anagni, Frascati, Montefiascone, Pesaro, Senigallia, Macerata e San Benedetto ( del Tronto ), vengono messe a ferro e fuoco. I risultati di questa repressione hanno effetti positivi per il potere romano: in soli 6 anni tutti i vassalli dello Stato Pontificio ( tranne l'ostico borgo di Rieti ), sono tornati all'ordine. Le famiglie nobili romane, pur continuando a calcolare nuovi modi “illeciti” che le possano far primeggiare sulle altre, vengono tenute tranquille con elargizioni di terre e possedimenti nei territori appena riportati all’ordine, tuttavia il Papa tiene sempre pronte spie e assassini per intervenire contro i capi più pericolosi. Eugenio IV fa inoltre occupare il possedimento dei Colonna a Palestrina da parte delle truppe del prefetto e cardinale Giovanni Maria Vitelleschi ( it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Maria_Vitelleschi ), e bandisce i Colonna dallo Stato Pontificio, confiscandone numerosi beni: in seguito molti Colonna ottengono perdono dal Papa e vengono riammessi a Roma. Contemporaneamente a tutto ciò si avvia anche il piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono costruite strade di pietra ( sostitue a quelle di fango ), rendendo più facili gli spostamenti degli eserciti e dei mercanti. Le opere richiedono costi e manodopera ingenti ( per fare fronte a queste spese il Papa congeda anche le due piccole flotte del Tirreno e dell’Adriatico ), ma la maggior parte delle strade viene rimessa in sesto e tutta l'economia del centro Italia comincia a giovarne. Sotto il Pontificato di Eugenio IV Roma cresce demograficamente e viene costruita una nuova parte di mura per proteggere i nuovi rioni: lo stesso viene fatto ad Ascoli e a Faenza, che ottengono delle mura di pietra tutte nuove. Oltre a questo viene avviato un piano di rinascita economica fornendo capitale ad alcuni mercanti i quali hanno l'obbligo di riversare allo Stato Pontificio metà dei profitti derivanti dagli investimenti: questi personaggi vengono inviati in tutta Italia e riescono ad ottenere ottimi successi economici soprattutto con il commercio di stoffe pregiate tra Lucca e Firenze, ma anche in Veneto e in Lombardia. Allo stesso tempo Roma stipula trattati commerciali con molti potentati italiani, quali Firenze, Ferrara, i Savoia, il Monferrato, Genova e il Ducato di Calabria. A seguito di ciò, soprattutto in Romagna e nelle Marche si insediano numerose gilde dei mercanti. La religione non ha un ruolo secondario in questo piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono edificate nuove chiese, abbazie ( come quella di Rimini ), vengono istituite nuove sedi di diversi ordini ( soprattutto di Carmelitani ), e nuovi sacerdoti vengono oridinati. In alcune zone del Lazio ( soprattutto intorno a Velletri ), si propagano dei movimenti eretici che vengono stroncati sul nascere dall'Inquisizione. Nel 1443 termina il Concilio di Firenze che sancisce la formale unificazione della Chiesa Romana e quella di Bisanzio, a causa dell'avanzata ottomana che minaccia Costantinopoli. Nel 1445 il Filarete costruisce a Roma la porta centrale della Basilica di San Pietro. Eugenio IV è un uomo colto e raffinato, viaggia più volte a Firenze ed ospita a Roma anche Beato Angelico e il pittore francese Jean Fouquet. Lo Stato Pontificio è ancora povero, ma in pochi anni è stato fatto molto per ridare ordine e gettare le basi per un futuro più prospero, grazie a piani ponderati ed intelligenti.


Eugenio IV nel 1448
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Le Marche

Nel 1448 la guerra tra Angioini ed Aragonesi è ancora nella sua fase più intensa: la Campania è un unico grande campo di battaglia, tra Capua e Napoli si combatte ininterrottamente senza però che una delle due parti riesca a raggiungere la vittoria decisiva. Tuttavia la guerra sta distruggendo l'economia napoletana che non riesce più ad avere un porto libero sul Tirreno, mentre gli Aragonesi possono fare affidamento su nuove truppe e rifornimenti provenienti dalla Sicilia. Eugenio IV e la Curia Romana si consultano: sembra sia arrivato il momento di prendere le armi contro gli Aragonesi. Già dall'anno prima lo Stato Pontificio ha inviato Giovanni Maria Vitelleschi a Gaeta con l'ordine di costituire delle armate in grado di combattere contro gli eserciti aragonesi, marciare su Capua, eliminare l'influenza spagnola in Italia, ottenere nuovi territori campani e ricollegare l'Arcidiocesi di Benevento direttamente ai territori papali. Il Vitelleschi recluta due armate da Gaeta e Pontecorvo: per la maggior parte esse sono costituite da cavalieri gravi locali, cavalieri mercenari napoletani, poche unità di militi appiedati ed un buon gruppo di balestrieri professionisti. Nella primavera del 1448 le due armate pontificie, di circa 2000 uomini ciascuna e ben rifornite di salmerie, guidate rispettivamente da Giovanni Maria Vitelleschi e da Alessandro Massimi ( un giovane e crudele pupillo del Papa, già noto per i massacri di Tivoli e Fara in Sabina ), scendono in Campania. Le due armate seguono per un tratto il percorso della via Appia, dopodichè il Vitelleschi passa a nord di Roccamonfina, verso Capua, mentre il Massimo passa da sud, verso Castel Volturno. Il 20 Aprile il Vitelleschi pone il campo presso Vitulazio, a poche miglia da Capua, sfidando gli Aragonesi e cercando di raccogliere informazioni sulla posizione dell'esercito angioino stanziato a nord di Napoli. Le spie avvistano il 24 Aprile un'armata aragonese provenire da Capua, con l'intento di dare battaglia: il comandante al servizio aragonese Jacopo Caracciolo è stato inviato da Alfonso V d'Aragona per sconfiggere l'armata pontificia del Vitelleschi. L'esercito papale viene immediatamente mobilitato e viene schierato sulle alture a nord di Vitulazio. La giornata è nuvolosa: nel primo pomeriggio si avvistano le truppe aragonesi avanzare verso i colli: l'esercito spagnolo è costituito da poco più di 2000 uomini, prevalentemente da milizie leggere, picchieri del Tercio, qualche unità di cavalleria mercenaria e due bombarde. Le artiglierie aragonesi accompagnano l'avanzata, causando alcuni morti tra i ranghi romani: un noto cavaliere di Pontecorvo viene decapitato da un colpo di bombarda. Mentre la fanteria spagnola avanza il Vitelleschi si lancia insieme alla numerosa cavalleria romana contro il fianco destro aragonese nei pressi di Bellona per annientare la cavalleria nemica: lo scontro è estremamente violento. La fanteria spagnola si dirige verso Bellona per contrastare i cavalieri papali e questa è occasione per i balestrieri pontifici per cominciare a bersagliare i fanti del Tercio sui fianchi. Poco dopo la fanteria mercenaria napoletana al soldo del Vitelleschi si lancia all'assalto della fanteria del Tercio. Anche Jacopo Caracciolo si lancia nel folto della mischia con l'intento di fare breccia tra le truppe romane. Ormai i campi tra Vitulazio e Bellona sono un unico grande campo di battaglia. Le frecce papali continuano a saettare sulla fanteria spagnola e i cavalieri romani riescono, pur con notevoli perdite, ad annientare la cavalleria aragonese. Nella mischia Jacopo Caracciolo viene colpito da un colpo di balestra nel petto e viene condotto fuori dalla mischia dove, disteso dagli armati su una paglia, esala l'ultimo respiro. I soldati aragonesi non hanno più speranza di vincere e, fuggendo per i campi, vengono massacrati dalla cavalleria romana. Solo pochi Aragonesi riescono a guadagnare il Volturno alla fine della giornata. Giovanni Maria Vitelleschi ha nuovamente dimostrato le sue mirabili capacità di condottiero annientando un'armata aragonese. Renato d’Angiò esulta di gioia a Napoli con la suca corte. Alfonso V è a Capua ed apprende la notizia della disfatta e della morte di Caracciolo con preoccupazione. Aflonso ha già molte armate nella penisola, ha difficoltà troppe difficoltà per reclutarne altre in Campania e allo stesso tempo deve tenere a bada gli Angioini ed il Papa: così egli decide di recarsi a Castel Volturno per imbarcarsi per la Sicilia e cercare di organizzare nuovi contingenti con calma sull’isola. Il 29 Aprile la scorta del Re d'Aragona viene sopresa dalle forze di Alessandro Massimo che ha guadato il Volturno il giorno prima: le truppe reali sono prese dal panico e cercano rifugio insieme ad Alfonso verso Mondragone in una rocambolesca corsa attraverso il fiume e per i prati, ma la cavalleria papale più leggera ben presto le raggiunge e Alfonso è costretto ad arrendersi dopo un combattimento disperato dove i cavalieri della sua guardia dimostrano tutto il loro valore. Il Papa ha nelle sue mani il Re d'Aragona! Il re spagnolo viene portato a Gaeta dove giunge l'ordine del Papa Eugenio di rilasciarlo sotto riscatto. Generosamente il Papa impone solo il pagamento di 13000 fiorini e ordina che Alfonso faccia ritorno a Capua ( mentre gli accessi al mare fino a Napoli sono bloccati dalle truppe pontificie e angioine ). Alfonso è profondamente ferito nell'orgoglio e si sente svilito dagli eventi: tornato a Capua, ordina alle truppe di prepararsi ad un assedio lungo ed estenuante, ma la situazione è critica e gli spagnoli lo avvertono.
Il Vitelleschi, dopo aver medicato i feriti della battaglia di Vitulazio ed aver attinto grano, vino e donne dalle campagne napoletane, marcia verso Capua passando il Volturno poco più a nord; decide poi di dare battaglia ad un'armata aragonese che si trova accampata a poche milgia dalle mura della città. La mossa è molto azzardata, ma i pontifici possono agevolmente ritirarsi avendo presidiato il guado sul Volturno. Tra i soldati il morale è alto ma la decisione di Giovanni Maria appare avventata anche ai soldati più coraggiosi. La mattina del 2 maggio 1448 le truppe romane vanno all'assalto del campo aragonese ed ingaggiano un combattimento intenso. Le truppe spagnole subiscono numerose perdite, ma da Capua cominciano a giungere molti soldati in rinforzo, e dopo poche ore dall'inizio dalla battaglia, anche il Re Alfonso arriva sul campo con la sua scorta di cavalieri. Le linee papali sono salde ma perdono uomini di minuto in minuto e, per quanto i balestrieri romani colpiscano molti soldati spagnoli, la battaglia comincia a volgere male per i pontifici. Si pondera l'idea di ritirarsi fino al Volturno ma improvvisamente la cavalleria aragonese si lancia contro la fanteria e i tiratori papali, riuscendo anche a bloccare tutte le vie di fuga nemiche. I balestrieri romani vengono massacrati dai cavalieri spagnoli, rivoli di sangue tracciano il terreno, i soldati papali cercano invano di mettersi in salvo tra gli alberi. Giovanni Maria comprende la gravità della situazione: è colpa sua se così tanti giovani uomini stanno rendendo la loro anima a Dio, solo con il riscatto della sua vità potrà forse ottenere il perdono dall'Onnipotente. Il Vitelleschi abbassa la visiera, da l'ordine ai suoi compagni di caricare nel punto più fitto della mischia, fa suonare i corni e si lancia alla carica con un grido di battaglia contro le linee spagnole. La sera stessa il Re Alfonso d'Aragona ed i suoi uomini ritornano mestamente a Capua con la vittoria, una vittoria molto sudata e ha fatto perdere agli Aragonesi gran parte delle loro truppe. In un campo campano sotto il cielo stellato, rimangono centinaia di corpi esanimi di uomini valorosi, tra i quali quello del cardinale Giovanni Maria, caduto eroicamente dopo aver fatto strage di nemici.
Dopo alcuni mesi di scaramucce nel napoletano Alessandro Massimi pone sotto assedio Capua, che si appresta a resistere per lunghissimo tempo, avendo fatto incetta di beni e mandrie in tutte le campagne dominate dagli spagnoli, causando la morte per stenti di molti contadini. La costa tirrenica è presidiata da avamposti papali e francesi e Alfonso V si rende contro di trovarsi in una trappola che potrebbe risultargli fatale. Nel 1449 viene ucciso in campo presso Benevento dalle truppe dell'arcivescovo pontificio Abbate de Papa il crudele comandante Ferdinando Trastamara Cossines, acerrimo nemico degli Angioini, chiamato come molti membri della sua spietata famiglia il "sin caridad", un altro duro colpo per gli Spagnoli. L'assedio di Capua continua e in questo periodo gli Angioini cercano di ristabilire la loro economia, essendo il pericolo aragonese meno opprimente. Intorno a Capua le campagne sono un immenso cimitero desolato a causa della guerra.


Assedio di Capua da parte di Alessandro Massimi


Scaramuccia contro truppe filo-aragonesi in Campania

Nel 1449 avvengono dei disordini a Bologna organizzati a quanto pare da un losco figuro di origini veneziane che riesce a fuggire dalla città prima che le milizie di Astorre II Manfredi riescano ad acciuffarlo. L’evento potrebbe presagire cambiamenti di politica da parte di Ferrara e Venezia, ma si riesce a sapere poco del perché di questo gesto. Venezia sta crescendo molto rapidamente in potenza, prosperità e capacità militare, presto ci si aspetta che scoppi una nuova guerra condotta dalla Serenissima verso uno dei suoi vicini, forse contro gli Asburgo.

Il 10 dicembre 1449, all'età di 66 anni, muore a Roma Eugenio IV a causa dell’aggravamento di una malattia alle vie respiratorie. Si attende con ansia il prossimo conclave: Gabriele Condulmer ha saputo mantenere saldamente l’ordine e le redini dello Stato Pontificio, donando a questo nuovo vigore e vittorie politico-militari, il prossimo successore potrebbe non essere all’altezza di tale compito. In mancanza di un potere forte l’anarchia e la decadenza potrebbero nuovamente tornare a ripristinarsi sull'ordine e sulla crescita nei territori papali.
[Modificato da Legio XIII gemina 06/09/2011 21:15]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

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