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Campagna con lo Stato Pontificio

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2011 09:57
06/09/2011 17:00
OFFLINE
Post: 2.086
Registrato il: 12/11/2009
Città: ROMA
Età: 32
Sesso: Maschile
Tribunus Angusticlavius
Machiavello 8.0
AAR Patrimonium Sancti Petri in Machiavello 8.0 Spicciolati d'Italia
Difficoltà di campagna: Media
Difficoltà di battaglia: Molto Alta

La seguente AAR è un omaggio al Forum. Continuerò ad aggiornare la AAR facendo un post per ogni pontificato che si succederà, questo per dire che per alcuni ci potrebbe volere diverso tempo relativamente alle dinamiche di gioco e alle mie possibilità di tempo. Ho cercato di mettere un po' di dettagli storici per dare più colore al racconto della campagna. Sicuramente ci sono diversi errori ed imprecisioni, se ne trovate fatemeli notare per correttezza nei confronti del forum. Per quanto riguarda gli stemmi dei Papi, solo quello di Eugenio IV ( il primo in ordine nella campagna ), è corretto, poichè gli altri Papi del gioco non sono mai esistiti e come loro stemmi ho messo quelli dei pontefici reali succeduti negli anni successivi. Ovviamente anche la vita dei personaggi storici è stravolta avendo io fatto andare le cose in maniera diversa dalla storia, ma questo è il bello della AAR.
Buona lettura!
Vester Legio XIII Gemina




«... . Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella è vota?
Sanz'esso fora la vergogna meno. ...»

versi 76-90 Canto VI del Purgatorio, Divina Commedia, Dante Alighieri


«Ad Italiam Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, tellus nobilibus multum generosior oris, fertilior cuntis, terra formosior omni, cincta mari gemino, famoso splendida monte, armorum legumque eadem veneranda sacrarum Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, cuius ad eximios ars et natura favores incubuere simul mundoque dedere magistram. Ad te nunc cupide post tempora longa revertor incola perpetuus: tu diversiora vite grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto Italiam video frondentis colle Gebenne. Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus spiritus et blandis assurgens motibus aer excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve!»

Traduzione

«O nostra Italia! Salve, terra santissima cara a Dio, salve, terra ai buoni sicura, tremenda ai superbi, terra più nobile di ogni altra e più fertile e più bella, cinta dal duplice mare, famosa per le Alpi gloriose, veneranda per gloria d’armi e di sacre leggi, dimora delle Muse, ricca di tesori e di eroi, che degna d’ogni più alto favore reser concordi l’arte e la natura e fecero maestra del mondo. A te voglioso dopo tanto tempo io ritorno per non lasciarti mai più: tu alla mia vita darai grato riposo e alfine mi concederai nel tuo seno tanta terra quanta ne ricoprano le mie fredde membra. Pieno di gioia io ti contemplo, o Italia, dall’alto del frondoso Monginevro; rimangono alle mie spalle le nubi e un vento soave mi colpisce la fronte, mentre l'aria salendo con moto leggero mi accoglie. Riconosco la mia Patria e gioioso la saluto: salve, mia bella madre, salve o gloria del mondo!».

Ad Italiam (Epyst., III 24), Francesco Petrarca



«.... Non si debba adunque lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia dopo tanto tempo vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne: con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se li serrerebbano? quali populi li negherebbano la obedienza? quale invidia se li opporrebbe? quale Italiano li negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli adunque la illustre Casa Vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e sotto li sua auspizi si verifichi quel detto del Petrarca:

Virtù contro a furore
prenderà l’arme; e fia el combatter corto,
ché l’antico valore
nell’italici cor non è ancor morto. »

dal capitolo XXVI "Exhortatio ad capessandam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam" del De Principatibus, Niccolò di Bernardo dei Machiavelli


Patrimonium Sancti Petri
Anno Domini 1441



Pontificatus Eugenii IV ( 1431-1449 )


Lo Stato Pontificio si trova nel 1441 in un momento difficile della sua storia. Dopo la Cattività Avignonese e lo Scisma d'Occidente, la figura del Papa si trova ad essere fortemente ridimensionata nella sua autorità politca e religiosa. In tutta Europa si sono da tempo diffuse ideologie di protesta che denunciano la corruzione della Chiesa e a gran voce si richiede una riforma morale e strutturale della stessa. Le condanne di Wycliffe e Hus, condannati al rogo a seguito del Concilio di Costanza ( il primo dei quali a 50 anni dalla sua morte ), sono dei precari mezzi per arrestare le critiche nei confronti di tutte le contraddizioni fondanti la Chiesa di Roma ed il suo potere terreno: esse ormai si propagano sempre più velocemente non solo nelle cerchie elitarie degli studiosi ma anche nell'ascendente e dinamico cetto medio europeo, nelle università, intrecciandosi anche con i nascenti sentimenti nazionali che avversano l'ingerenza di un Papa italiano sugli affari politico-religiosi dell'intera Europa. Nel 1440, dopo gli scritti di Niccolò Cusano, il presbitero Lorenzo Valla compone nella capitale pontificia il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione, che pubblicato nel 1517, sarà una delle prove più lampanti utilizzate dai protestanti per dimostrare l'illiceità del potere temporale dei vescovi di Roma. Le isitituzioni ecclesiastiche detengono un immenso potere economico e territoriale in tutti i maggiori reami cristiani ed i sovrani osservano con cupidigia gli enormi profitti derivanti da esse nella speranza di potersene appropriare: ad esempio con la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, la stessa Francia di Carlo VII, pur evitando insieme all'Imperatore Sigismondo di Lussemburgo il verificarsi di un nuovo scisma già poco dopo il Concilio di Costanza, istituisce una sorta di legame più stretto tra la Chiesa francese ed il proprio Re, ridimensionando l'ingerenza della Santa Sede nel reame. Sul piano internazionale anche l'antico dualismo Papa-Imperatore è ormai solo una formalità: nonostante le vicissitudini Papato e Impero si erano sempre legittimati a vicenda nel corso dei secoli mantenendo un rapporto ambiguo ma autorevole e riconosciuto nella cristianità: tuttavia ora l'Imperatore ha perduto gran parte dell'influenza politica originaria sull'Europa e la sua autorità, limitata alla Germania, è in gran parte legittimata solo con il consenso dei Principi elettori. Dopo la Cattività Avignonese il governo di Roma trova difficoltà anche nel dominare i suoi affari interni: mentre Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Genova, Ferrara e gli altri potentati italiani costituscono dei forti poteri internazionali per la maggior parte in netta ascesa economica, culturale, tecnologica, lo Stato Pontificio è povero e decaduto. Roma è poco più che un borgo, le fazioni romane lottano l'una contro l'altra e molti vassalli pontifici sono praticamente indipendenti da Roma. Eugenio IV ( Gabriele Condulmer ), e la Curia Romana comprendono che al fine di riportare il Papato ad ottenere maggiore prestgio nella Cristianità, l'unica via è far si che esso non subisca ingerenze politiche dall'esterno ( soprattutto straniere ), e che diventi una grande istituzione forte ed indipendente, mettendosi al passo degli altri stati italiani. Per riuscire in questa grande impresa saranno necessari anni, soldi, duro lavoro, guerre ed un notevole sforzo interno allo Stato Pontificio, povero di mezzi e di risorse. A Basilea il nuovo concilio ha dato luogo ad un altro piccolo scisma con un nuovo antipapa. L'idea di una riforma morale della Chiesa non viene giudicata totalmente sbagliata a Roma, ma il nepotismo e la simonia sono "mali" troppo diffusi e peraltro fruttuosamente strutturanti la Chiesa da potersene sbarazzare: le macchinazioni politiche e militari appaiono come il mezzo più veloce per avviare una riforma quanto meno poilitca dello Stato Pontificio. Tra i colti ecclesiastici di Roma si avverte inoltre l'esigenza di una rinascita civile e poltica di Roma, la volontà di ricostruire un forte Stato Pontificio indipendente da ogni potere straniero. Eugenio IV, sebbene veneziano, rimane fortemente colpito dalla visione della Città Eterna e si innamora dell'idea di riconsegnare ad essa la forza e l'autorità che l'avevano contraddistinta nel passato, mirando a strapparla al degrado, alla violenza e alla miseria in cui essa versa, essendo stata per troppo tempo privata della Curia e lasciata in mano alle vendicative e violente famiglie nobili romane. Per ora l'immagine di un forte Stato Pontificio è ancora lontana, ma si è ancora in tempo per realizzarla, in particolare sfruttando i vari eventi della politica italiana.

Nell'ottica di una "ricostruzione" dello Stato Pontificio, Eugenio IV e la Curia decidono che il primo passo vada compiuto rafforzando l'autorità del Papato con una mossa ferma e decisa in Italia. Lo Stato Pontificio non è sufficientemente forte per espandersi contro potentati vicini: tuttavia le città di Bologna ed Ancona, strappate al Papa dal Ducato di Milano, rappresentano un ottimo obiettivo. Queste città sono ricche, entrambe in una posizione geografica strategica, relativamente sguarnite: circondate dai territori pontifici, con una manovra militare abile e fulminea potrebbero passare in breve a far parte del Patrimonio di San Pietro. Eugenio IV inoltre garantirebbe con l'annessione di queste città un appoggio alla sua amata Serenissima contro gli odiati Visconti, strappando ad essi due centri di vitale importanza tra cui uno dei più grandi porti dell'Adriatico, senza contare il miglioramento temporaneo dei rapporti con Firenze e di altri stati nemici di Milano. Nel Marzo del 1441 Eugenio IV lancia la scomunica a Milano, i comandi militari pontifici vengono messi in moto e nella primavera del 1441 due eserciti guidati rispettivamente dai generali pontifici Astorre II Manfredi Signore di Imola ( it.wikipedia.org/wiki/Astorre_II_Manfredi ), ed Everso degli Anguillara ( it.wikipedia.org/wiki/Everso_degli_Anguillara ), di circa 2000 uomini ciascuno, ben riforniti, attaccano il primo Bologna e il secondo Ancona ( quest'ultimo con delle truppe inviate da Urbino ). Gli ordini del Papa sono chiari: gli assedi devono durare il meno possibile, onde impedire l'arrivo di rinforzi milanesi che sbaraglierebbero facilmente le inesperte armate pontificie: per questo motivo vengono stanziati dei fondi per l'ingaggio di cannoni mercenari allo scopo di fare breccia tra le mura delle città e di guidare un assalto senza attendere oltre. Il 4 Aprile del 1441 Astorre II Manfredi giunge sotto le mura di Bologna e il 10, dopo aver disposto il campo e le truppe tra il torrente Savena e il lazzaretto sgombrato dai Milanesi, assalta la città: alle prime luci del mattino i Pontifici cominciano a cannoneggiare pesantemente le mura orientali bolognesi poco più a nord di Porta Maggiore; dopo poche ore una parte delle mura è completamente sbrecciata, La Chiesa dei Servi di Maria viene danneggiata dalle artiglierie romane. Astorre II Manfredi da ordine alle truppe di caricare e la cavalleria pontificia si getta nella breccia facendo strage delle esigue ed impreparate milizie milanesi posizionate dietro le mura: in breve tempo irrompe nelle mura anche la fanteria pontificia costituita da montanari dell’Appennino e milizie leggere di municipalità umbre e marchigiane che ingaggiano una dura lotta contro i temuti e rinomati spadaccini bolognesi, giunti nel frattempo in soccorso dei compagni travolti dalla cavalleria nei pressi di Porta Maggiore. Le milizie romane resistono, ingaggiando dei combattimenti durissimi con i Bolognesi i quali si battono come leoni. In breve Astorre si fa strada a colpi di spada tra i Milanesi e giunge con la cavalleria papale in Piazza Maggiore ingaggiando una furiosa lotta contro il comandante milanese Francesco Piccinino ( it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Piccinino ), e la sua scorta di cavalieri. Nella lotta il comandante milanese cade da cavallo sotto la Basilica di San Petronio: ferito a morte, da un'ultima occhiata alla croce in cima alla Basilica e viene finito a colpi di spada da alcuni cavalieri pontifici. Alla fine della giornata le belle strade ed i magnifici portici di Bologna sono disseminati di uomini morti o agonizzanti, mentre le soldataglie pontificie si abbandonano ai saccheggi per le case. La Dotta, la Grassa, la Rossa è tornata a far parte del Patrimonio di San Pietro, le truppe papali si insediano in città permanentemente e Astorre II Manfredi viene in seguito nominato governatore della città nonché Signore della Romagna.
L'assalto di Ancona, nonostante le previsioni favorevoli ai papali, si rivela al contrario di quello di Bologna più difficile del previsto: la battaglia viene combattuta nel 18 Aprile 1441. Everso degli Anguillara ha disposto ordinatamente le truppe papali di fronte alla città con l'idea di far avanzare verso le fortificazioni nemiche simultaneamente cavalleria e fanteria da mischia coperte dai numerosi balestrieri eugubini, diverse unità di pistolettieri e artiglierie: i Milanesi capitanati dal condottiero Bosio Sforza si barricano nella città come possono. L'assalto comincia di mattina con un tempo nuvoloso e ventosa e viene guidato bene da parte dei romani : tuttavia le milizie milanesi resistono le bloccano quelle pontificie sulle fortificazioni, mentre la cavalleria papale, trovata una via aperta, sale disordinatamente in città verso il Colle Guasco senza difficoltà ma separandosi dal grosso dell'armata. Vedendo la fanteria romana in difficoltà, Everso invia balestrieri e schioppettieri vicinissimi alle fortificazioni per colpire più duramente i milanesi, dopodichè si lancia anch'egli in città raggiungendo la cavalleria: le artiglierie continuano a far fischiare proiettili ovunque sulle fortificazioni milanesi, mentre lo scontro si intensifica nella sua violenza. In certi punti i Milanesi sono costretti a combattere i Pontifici dando le spalle ai balestrieri nemici e venendo feriti a decine, senza contare l’artiglieria papale che ogni tanto centra qualche soldato mandandolo in mille pezzi tra il fumo, le urla e i fischi. Bosio Sforza decide di intervenire e scende con la sua cavalleria nei pressi delle fortificazioni, ma i cavalli vengono impressionati dai proiettili dei pistolettieri dei cavalieri pontifici che sparano disordinatamente in ogni direzione spaventati dall’inaspettato arrivo della cavalleria. Bosio si rende solo ora conto che il grosso della cavalleria romana è già entrata in città, e decide di tornare sul colle Guasco: mai scelta fu più sbagliata. Bosio aveva infatti l'opportunità con la cavalleria pesante di travolgere le milizie leggere nemiche, i balestrieri e gli schioppettieri, mentre le artiglierie romane avevano quasi esaurito i colpi, ed invece si ritira. Durante tutta la giornata si combatte per tutta la città e le truppe romane riescono a distruggere quelle milanesi, nonostante le gravi perdite: alla sera la città è presa e tra il fumo ed i lamenti dei feriti Everso degli Anguillara entra nel Duomo di San Ciriaco, seguito dalla sua scorta cavalieri: con le mani insanguinate, la polvere sull'armatura, il fisico provato, il cuore gonfio di orgoglio e di gloria, egli ringrazia Dio per la vittoria e chiede perdono per le azioni di violenza compiute nella giornata. Il Conero è del Papa: Roma è riuscita a strappare a Milano due città di notevole importanza con azioni ben condotte e con il vantaggio della sorpresa: il misero esercito pontificio, concentrato nei giusti punti, ha inferto a Milano un duro colpo. Alla notizia delle due vittorie il popolino romano va in estasi, osanna il Papa e si dedica con spensieratezza a quello che da secoli riesce a fare meglio, cioè festeggiare mangiando e bevendo, ma questa volta con un senso rinato di orgoglio: Piazza Navona e Piazza del Popolo rimangono animate per giorni e giorni ed Eugenio IV esulta per l'insperata e magnifica vittoria. Nel frattempo a Milano costernazione ed incredulità pervadono la cittadinanza: il vecchio Duca Filippo Maria Visconti ( it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Maria_Visconti ), accoglie con sgomento e rabbia la notizia delle perdite del Ducato, il quale già versa in condizioni difficili politicamente ed economicamente e che si trova adesso in un momento molto difficile della sua storia. Per anni Filippo Maria ha dovuto creare equilibri e compromessi, sia in politica interna che esterna: alcuni anni prima egli aveva già ceduto Imola e Forlì all'odiato Eugenio IV e questo ora, con audita sfrontatezza, lo scomunica annettendo i domini ducali nel centro Italia. L'affronto è grande, ma la minaccia di una guerra lo è ancora di più. Il Ducato di Milano è costretto a chiedere perdono al Papa per evitare una nuova guerra: Eugenio IVrevoca la scomunica e si intavolano accordi commerciali tra Roma e Milano. La pace tra Milano e Venezia nello stesso anno porta alla cessione di Peschiera, Legnago e Ravenna a Venezia. Eugenio IV non ha in mente di annichilire Milano: Milano si può tenere a bada ma non annientare, perchè ancora troppo potente: adesso è ora per il Papa di compiere politiche interne efficienti...ma Dio vuole che gli equilibri italiani vengano turbati nuovamente, questa volta ad opera di un popolo straniero, fiero e con grandi mire espansionistiche in Italia e nel Mediterraneo, gli Spagnoli.
Alfonso V Re d'Aragona era già giunto in Italia nel 1435 per conquistare i domini angioini nel regno di Napoli, occupando Capua e mettendo sotto assedio Gaeta. Nella battaglia navale di Ponza Alfonso e suoi fratelli furono catturati dai genovesi al soldo dei Visconti e furono imprigionati. Filippo Maria Visconti decise infine di rilasciare gli illustri prigionieri senza riscatto e anzi accettando il titolo formale di Alfonso di nuovo Re di Napoli, preferendo ritirarsi dalla lega anti-spagnola e contrastando così i Francesi: subito dopo Alfonso tornò in Campania, rioccupò Capua e marciò definitivamente su Gaeta. Il 10 novembre 1441 Alfonso mette sotto assedio Napoli.
Eugenio IV, che ha sempre avversato gli Aragonesi, decide di sfruttare la situazione attuale a suo favore: la Campania è devastata dalla guerra e la situazione sembra buona per una possibile espansione territoriale da parte dello Stato Pontificio. Eugenio invia nel 1442 una missiva per chiedere ad Alfonso la cessione di Gaeta al Patrimonio di San Pietro e questi accetta, in cambio di 60.000 fiorini, molto utili per stipendiare i mercenari e le milizie alle proprie dipendenze. Gaeta è una città importantissima per il dominio del Tirreno, nonchè una minaccia per la stessa Roma se lasciata in mano aragonese. L'insediamento delle truppe pontificie è rapido e senza disordini. Il re di Napoli Renato d'Angiò rimane sorpreso dal gesto del Papa ma è sicuro dell'alleanza con il Papa ed attende aiuti fiducioso. Tuttavia il Sommo Pontefice tergiversa: egli non ha ancora milizie sufficienti per affrontare l'esercito aragonese, o meglio, ne potrebbe avere ma non ha intenzione di immischiarsi nella guerra prima del tempo. Dopo molte insistenze angioine il Papa offre 50.000 fiorini agli Angioini in cambio della cessione dell'antica e importante fortezza di Castel di Sangro. Grazie al contributo papale Renato d'Angiò riesce a reclutare una possente armata e a scacciare nel 1443 le truppe aragonesi impegnate nell’assedio a Napoli, la città è momentaneamente salva. Queste annessioni territoriali da parte del Papa contro pagamento sono mirate a far acquisire gradualmente nuove terre allo Stato Pontificio, indebolendo nella penisola i poteri forti come quello aragonese ed angioino senza l’uso delle armi. Alfonso V non si da per vinto e riorganizza i suoi eserciti a Capua in vista di un nuovo assedio di Napoli.

Tra il 1442 e il 1448, lo Stato Pontificio avvia dei profondi cambiamenti amministrativi ed attua piani di ricostruzione nei suoi territori. Il Papa comincia ad inviare nelle varie città dello Stato suoi fidi collaboratori, tra cardinali e condottieri. Il loro insediamento si propone di mantenere il controllo diretto sui vassalli o di causarne la distruzione in caso di rivolta. In questi anni si devono sedare con la forza molte rivolte contro il potere di Roma. Il pungo di ferro di Eugenio IV non ammette alcun tipo di pietà nei confronti dei ribelli, nemmeno quella cristiana. La repressione continua brutale e viene accompagnata da atti inauditi di violenza da parte dei soldati papali, ai quali viene promessa una grande parte del bottino in caso di vittoria: per risparmiare si utilizzano milizie locali e/o contadini invece che mercenari. In questo periodo numerose città quali Tivoli, Sutri, Anagni, Frascati, Montefiascone, Pesaro, Senigallia, Macerata e San Benedetto ( del Tronto ), vengono messe a ferro e fuoco. I risultati di questa repressione hanno effetti positivi per il potere romano: in soli 6 anni tutti i vassalli dello Stato Pontificio ( tranne l'ostico borgo di Rieti ), sono tornati all'ordine. Le famiglie nobili romane, pur continuando a calcolare nuovi modi “illeciti” che le possano far primeggiare sulle altre, vengono tenute tranquille con elargizioni di terre e possedimenti nei territori appena riportati all’ordine, tuttavia il Papa tiene sempre pronte spie e assassini per intervenire contro i capi più pericolosi. Eugenio IV fa inoltre occupare il possedimento dei Colonna a Palestrina da parte delle truppe del prefetto e cardinale Giovanni Maria Vitelleschi ( it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Maria_Vitelleschi ), e bandisce i Colonna dallo Stato Pontificio, confiscandone numerosi beni: in seguito molti Colonna ottengono perdono dal Papa e vengono riammessi a Roma. Contemporaneamente a tutto ciò si avvia anche il piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono costruite strade di pietra ( sostitue a quelle di fango ), rendendo più facili gli spostamenti degli eserciti e dei mercanti. Le opere richiedono costi e manodopera ingenti ( per fare fronte a queste spese il Papa congeda anche le due piccole flotte del Tirreno e dell’Adriatico ), ma la maggior parte delle strade viene rimessa in sesto e tutta l'economia del centro Italia comincia a giovarne. Sotto il Pontificato di Eugenio IV Roma cresce demograficamente e viene costruita una nuova parte di mura per proteggere i nuovi rioni: lo stesso viene fatto ad Ascoli e a Faenza, che ottengono delle mura di pietra tutte nuove. Oltre a questo viene avviato un piano di rinascita economica fornendo capitale ad alcuni mercanti i quali hanno l'obbligo di riversare allo Stato Pontificio metà dei profitti derivanti dagli investimenti: questi personaggi vengono inviati in tutta Italia e riescono ad ottenere ottimi successi economici soprattutto con il commercio di stoffe pregiate tra Lucca e Firenze, ma anche in Veneto e in Lombardia. Allo stesso tempo Roma stipula trattati commerciali con molti potentati italiani, quali Firenze, Ferrara, i Savoia, il Monferrato, Genova e il Ducato di Calabria. A seguito di ciò, soprattutto in Romagna e nelle Marche si insediano numerose gilde dei mercanti. La religione non ha un ruolo secondario in questo piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono edificate nuove chiese, abbazie ( come quella di Rimini ), vengono istituite nuove sedi di diversi ordini ( soprattutto di Carmelitani ), e nuovi sacerdoti vengono oridinati. In alcune zone del Lazio ( soprattutto intorno a Velletri ), si propagano dei movimenti eretici che vengono stroncati sul nascere dall'Inquisizione. Nel 1443 termina il Concilio di Firenze che sancisce la formale unificazione della Chiesa Romana e quella di Bisanzio, a causa dell'avanzata ottomana che minaccia Costantinopoli. Nel 1445 il Filarete costruisce a Roma la porta centrale della Basilica di San Pietro. Eugenio IV è un uomo colto e raffinato, viaggia più volte a Firenze ed ospita a Roma anche Beato Angelico e il pittore francese Jean Fouquet. Lo Stato Pontificio è ancora povero, ma in pochi anni è stato fatto molto per ridare ordine e gettare le basi per un futuro più prospero, grazie a piani ponderati ed intelligenti.


Eugenio IV nel 1448
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Le Marche

Nel 1448 la guerra tra Angioini ed Aragonesi è ancora nella sua fase più intensa: la Campania è un unico grande campo di battaglia, tra Capua e Napoli si combatte ininterrottamente senza però che una delle due parti riesca a raggiungere la vittoria decisiva. Tuttavia la guerra sta distruggendo l'economia napoletana che non riesce più ad avere un porto libero sul Tirreno, mentre gli Aragonesi possono fare affidamento su nuove truppe e rifornimenti provenienti dalla Sicilia. Eugenio IV e la Curia Romana si consultano: sembra sia arrivato il momento di prendere le armi contro gli Aragonesi. Già dall'anno prima lo Stato Pontificio ha inviato Giovanni Maria Vitelleschi a Gaeta con l'ordine di costituire delle armate in grado di combattere contro gli eserciti aragonesi, marciare su Capua, eliminare l'influenza spagnola in Italia, ottenere nuovi territori campani e ricollegare l'Arcidiocesi di Benevento direttamente ai territori papali. Il Vitelleschi recluta due armate da Gaeta e Pontecorvo: per la maggior parte esse sono costituite da cavalieri gravi locali, cavalieri mercenari napoletani, poche unità di militi appiedati ed un buon gruppo di balestrieri professionisti. Nella primavera del 1448 le due armate pontificie, di circa 2000 uomini ciascuna e ben rifornite di salmerie, guidate rispettivamente da Giovanni Maria Vitelleschi e da Alessandro Massimi ( un giovane e crudele pupillo del Papa, già noto per i massacri di Tivoli e Fara in Sabina ), scendono in Campania. Le due armate seguono per un tratto il percorso della via Appia, dopodichè il Vitelleschi passa a nord di Roccamonfina, verso Capua, mentre il Massimo passa da sud, verso Castel Volturno. Il 20 Aprile il Vitelleschi pone il campo presso Vitulazio, a poche miglia da Capua, sfidando gli Aragonesi e cercando di raccogliere informazioni sulla posizione dell'esercito angioino stanziato a nord di Napoli. Le spie avvistano il 24 Aprile un'armata aragonese provenire da Capua, con l'intento di dare battaglia: il comandante al servizio aragonese Jacopo Caracciolo è stato inviato da Alfonso V d'Aragona per sconfiggere l'armata pontificia del Vitelleschi. L'esercito papale viene immediatamente mobilitato e viene schierato sulle alture a nord di Vitulazio. La giornata è nuvolosa: nel primo pomeriggio si avvistano le truppe aragonesi avanzare verso i colli: l'esercito spagnolo è costituito da poco più di 2000 uomini, prevalentemente da milizie leggere, picchieri del Tercio, qualche unità di cavalleria mercenaria e due bombarde. Le artiglierie aragonesi accompagnano l'avanzata, causando alcuni morti tra i ranghi romani: un noto cavaliere di Pontecorvo viene decapitato da un colpo di bombarda. Mentre la fanteria spagnola avanza il Vitelleschi si lancia insieme alla numerosa cavalleria romana contro il fianco destro aragonese nei pressi di Bellona per annientare la cavalleria nemica: lo scontro è estremamente violento. La fanteria spagnola si dirige verso Bellona per contrastare i cavalieri papali e questa è occasione per i balestrieri pontifici per cominciare a bersagliare i fanti del Tercio sui fianchi. Poco dopo la fanteria mercenaria napoletana al soldo del Vitelleschi si lancia all'assalto della fanteria del Tercio. Anche Jacopo Caracciolo si lancia nel folto della mischia con l'intento di fare breccia tra le truppe romane. Ormai i campi tra Vitulazio e Bellona sono un unico grande campo di battaglia. Le frecce papali continuano a saettare sulla fanteria spagnola e i cavalieri romani riescono, pur con notevoli perdite, ad annientare la cavalleria aragonese. Nella mischia Jacopo Caracciolo viene colpito da un colpo di balestra nel petto e viene condotto fuori dalla mischia dove, disteso dagli armati su una paglia, esala l'ultimo respiro. I soldati aragonesi non hanno più speranza di vincere e, fuggendo per i campi, vengono massacrati dalla cavalleria romana. Solo pochi Aragonesi riescono a guadagnare il Volturno alla fine della giornata. Giovanni Maria Vitelleschi ha nuovamente dimostrato le sue mirabili capacità di condottiero annientando un'armata aragonese. Renato d’Angiò esulta di gioia a Napoli con la suca corte. Alfonso V è a Capua ed apprende la notizia della disfatta e della morte di Caracciolo con preoccupazione. Aflonso ha già molte armate nella penisola, ha difficoltà troppe difficoltà per reclutarne altre in Campania e allo stesso tempo deve tenere a bada gli Angioini ed il Papa: così egli decide di recarsi a Castel Volturno per imbarcarsi per la Sicilia e cercare di organizzare nuovi contingenti con calma sull’isola. Il 29 Aprile la scorta del Re d'Aragona viene sopresa dalle forze di Alessandro Massimo che ha guadato il Volturno il giorno prima: le truppe reali sono prese dal panico e cercano rifugio insieme ad Alfonso verso Mondragone in una rocambolesca corsa attraverso il fiume e per i prati, ma la cavalleria papale più leggera ben presto le raggiunge e Alfonso è costretto ad arrendersi dopo un combattimento disperato dove i cavalieri della sua guardia dimostrano tutto il loro valore. Il Papa ha nelle sue mani il Re d'Aragona! Il re spagnolo viene portato a Gaeta dove giunge l'ordine del Papa Eugenio di rilasciarlo sotto riscatto. Generosamente il Papa impone solo il pagamento di 13000 fiorini e ordina che Alfonso faccia ritorno a Capua ( mentre gli accessi al mare fino a Napoli sono bloccati dalle truppe pontificie e angioine ). Alfonso è profondamente ferito nell'orgoglio e si sente svilito dagli eventi: tornato a Capua, ordina alle truppe di prepararsi ad un assedio lungo ed estenuante, ma la situazione è critica e gli spagnoli lo avvertono.
Il Vitelleschi, dopo aver medicato i feriti della battaglia di Vitulazio ed aver attinto grano, vino e donne dalle campagne napoletane, marcia verso Capua passando il Volturno poco più a nord; decide poi di dare battaglia ad un'armata aragonese che si trova accampata a poche milgia dalle mura della città. La mossa è molto azzardata, ma i pontifici possono agevolmente ritirarsi avendo presidiato il guado sul Volturno. Tra i soldati il morale è alto ma la decisione di Giovanni Maria appare avventata anche ai soldati più coraggiosi. La mattina del 2 maggio 1448 le truppe romane vanno all'assalto del campo aragonese ed ingaggiano un combattimento intenso. Le truppe spagnole subiscono numerose perdite, ma da Capua cominciano a giungere molti soldati in rinforzo, e dopo poche ore dall'inizio dalla battaglia, anche il Re Alfonso arriva sul campo con la sua scorta di cavalieri. Le linee papali sono salde ma perdono uomini di minuto in minuto e, per quanto i balestrieri romani colpiscano molti soldati spagnoli, la battaglia comincia a volgere male per i pontifici. Si pondera l'idea di ritirarsi fino al Volturno ma improvvisamente la cavalleria aragonese si lancia contro la fanteria e i tiratori papali, riuscendo anche a bloccare tutte le vie di fuga nemiche. I balestrieri romani vengono massacrati dai cavalieri spagnoli, rivoli di sangue tracciano il terreno, i soldati papali cercano invano di mettersi in salvo tra gli alberi. Giovanni Maria comprende la gravità della situazione: è colpa sua se così tanti giovani uomini stanno rendendo la loro anima a Dio, solo con il riscatto della sua vità potrà forse ottenere il perdono dall'Onnipotente. Il Vitelleschi abbassa la visiera, da l'ordine ai suoi compagni di caricare nel punto più fitto della mischia, fa suonare i corni e si lancia alla carica con un grido di battaglia contro le linee spagnole. La sera stessa il Re Alfonso d'Aragona ed i suoi uomini ritornano mestamente a Capua con la vittoria, una vittoria molto sudata e ha fatto perdere agli Aragonesi gran parte delle loro truppe. In un campo campano sotto il cielo stellato, rimangono centinaia di corpi esanimi di uomini valorosi, tra i quali quello del cardinale Giovanni Maria, caduto eroicamente dopo aver fatto strage di nemici.
Dopo alcuni mesi di scaramucce nel napoletano Alessandro Massimi pone sotto assedio Capua, che si appresta a resistere per lunghissimo tempo, avendo fatto incetta di beni e mandrie in tutte le campagne dominate dagli spagnoli, causando la morte per stenti di molti contadini. La costa tirrenica è presidiata da avamposti papali e francesi e Alfonso V si rende contro di trovarsi in una trappola che potrebbe risultargli fatale. Nel 1449 viene ucciso in campo presso Benevento dalle truppe dell'arcivescovo pontificio Abbate de Papa il crudele comandante Ferdinando Trastamara Cossines, acerrimo nemico degli Angioini, chiamato come molti membri della sua spietata famiglia il "sin caridad", un altro duro colpo per gli Spagnoli. L'assedio di Capua continua e in questo periodo gli Angioini cercano di ristabilire la loro economia, essendo il pericolo aragonese meno opprimente. Intorno a Capua le campagne sono un immenso cimitero desolato a causa della guerra.


Assedio di Capua da parte di Alessandro Massimi


Scaramuccia contro truppe filo-aragonesi in Campania

Nel 1449 avvengono dei disordini a Bologna organizzati a quanto pare da un losco figuro di origini veneziane che riesce a fuggire dalla città prima che le milizie di Astorre II Manfredi riescano ad acciuffarlo. L’evento potrebbe presagire cambiamenti di politica da parte di Ferrara e Venezia, ma si riesce a sapere poco del perché di questo gesto. Venezia sta crescendo molto rapidamente in potenza, prosperità e capacità militare, presto ci si aspetta che scoppi una nuova guerra condotta dalla Serenissima verso uno dei suoi vicini, forse contro gli Asburgo.

Il 10 dicembre 1449, all'età di 66 anni, muore a Roma Eugenio IV a causa dell’aggravamento di una malattia alle vie respiratorie. Si attende con ansia il prossimo conclave: Gabriele Condulmer ha saputo mantenere saldamente l’ordine e le redini dello Stato Pontificio, donando a questo nuovo vigore e vittorie politico-militari, il prossimo successore potrebbe non essere all’altezza di tale compito. In mancanza di un potere forte l’anarchia e la decadenza potrebbero nuovamente tornare a ripristinarsi sull'ordine e sulla crescita nei territori papali.
[Modificato da Legio XIII gemina 06/09/2011 21:15]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

08/09/2011 21:07
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Pontificatus Adriani VII (1449-1456)


Appena sepolto Eugenio IV, il conclave elegge in pochissimi giorni come nuovo Papa il cardinale Benedetto Orsini, con il nome di Adriano VII. Benedetto ha 59 anni, è un uomo di fede, saldo nelle sue convinzioni e tuttavia poco avvezzo alle vicende politiche: la Curia romana ha deciso che fosse proprio lui a salire al Soglio Pontificio perchè amico del defunto Eugenio e perchè considerato facilmente "direzionabile" dalle fazioni romane egemoni ( lui stesso del resto è un Orsini ). L'autorità del nuovo Papa è molto debole, ma i nobili romani provvedono subito a consigliare il Pontefice in maniera oculata nelle scelte di governo e a mostrargli i metodi utilizzati dal suo predecessore per sbarazzarsi di eventuali oppositori: in poco tempo il mite e pacifico Benedetto comincerà ad imporre un ferreo controllo sui propri territori, tanto da prendere il soprannome di "lo spietato".

Il1450 vede nuovle minacciose addensarsi sul panorama italiano. Mentre Alessandro Massimi continua l'assedio di Capua tenendo in trappola Alfonso V d'Aragona insieme al nobile Renat Jourquera e le loro truppe, Roma decide che la politica da tenere nei confronti degli Angioini si deve ridimensionare: in seguito alla non lontana sconfitta degli Aragonesi in Campania, Roma non vuole cedere i nuovi territori conquistati ai Francesi. Certo è una politica disdicevole, ma la posta in palio è troppo alta per comportarsi diversamente: dopo secoli dominazione gli Angiò sono diventati un potere debole e un'occasione migliore per frammentare il Regno di Napoli ed ottenerne una parte potrebbe non capitare mai più. Nel febbraio del 1450 Adriano VII fa tornare in seno alla Chiesa in Principe di Taranto, revocandogli la scomunica ricevuta a seguito dei continui assalti ai feudi angioini negli anni precedenti. Renato d'Angiò rimane molto indispettito dall'evento intuendo e temendo le intenzioni del Papa nei suoi confronti, ma può fare poco contro Roma: nel frattempo, sempre a corto di soldi, egli stesso è costretto a cedere al Papa la città di Teramo in cambio di 50.000 fiorini. Adriano VII invia il Marchese di Ascoli Guidantonio da Montefeltro ( it.wikipedia.org/wiki/Guidantonio_da_Montefeltro ), a pacificare i nuovi territori appena annessi, il quale deve combattere contro alcuni vassalli ribelli e costruire nuove torri di guardia in prossimità del confine angioino con i territori di Pescara, in caso che eventi imprevisti possano dar luogo ad una crisi contro Napoli: Teramo è stata annessa dal Papa proprio nell'ottica di diventare un territorio cuscinetto in caso di guerra, lasciando libere e prospere le Marche, teatro in questi anni di una rinascita economica. In primavera si ha notizia dell'avanzata ottomana in Bosnia, il pericolo turco si avvicina sempre di più all'Italia e a Roma si pensa di stipulare alleanze con i popoli balcanici in funzione anti-turca.

In estate la guerra tra Firenze e Siena continua con degli sviluppi preoccupanti: infatti i Senesi riescono ad espugnare la roccaforte fiorentina di Voltterra, fortezza chiave per il dominio della Toscana. Firenze viene successivamente sconfitta in campo aperto presso Chianni dalle armate senesi ed il comandante fiorentino Neri Capponi ( www.treccani.it/enciclopedia/neri-di-gino-capponi/ ), e costretto a ritirarsi verso la costa, lontano da rifornimenti di truppe e di mezzi. Firenze, che ha il grosso delle sue truppe impegnato nell'assedio della città di Massa dei potenti Malaspina, si trova con numerosi eserciti senesi a pochi passi dall'Arno. Gli equilibri toscani sono molto importanti per Roma: la supremazia di un'unica signoria su tutta la Toscana potrebbe essere una grave minaccia politica e militare per Roma. Per ora si può fare poco, ma la Curia decide che nel caso che la città di Firenze venga minacciata, si dovranno mandare delle truppe ad invadere i territori senesi. Tra gli altri eventi italiani i messaggeri pontifici riportano che Venezia ha ceduto la città di Bergamo al Marchesato di Mantova in cambio di molti favori, essendo la Serenissima in difficoltà a tenere quel territorio ed essendo al momento più occupata delle questioni adriatiche che di quelle lombarde. In autunno Astorre II Manfredi, Governatore della Romagna, comincia a costruire una nuova cattedrale nel centro di Bologna.
Tra gli eventi europei c'è la battaglia di Formigny, in Normandia, dove le truppe del Re di Francia e i Bretoni conducono una brillante vittoria contro gli Inglesi. La battaglia causerà la fine dei domini inglesi in Normandia cosa che avverrà in agosto con la resa di Cherbourg. Nel frattempo nella stessa Inghilterra di Enrico VI, il Kent è in rivolta sotto la guida dell' irlandese John Cade. A Magonza la Bibbia di Gutenberg "Bibbia a quarantadue linee" è il primo libro stampato in Europa con l'aiuto dei caratteri mobili.

Il 1451 comincia con l'arrivo a Roma di una notizia allarmante dall'Oriente: l'Impero Ottomano ha indetto una jihad contro Roma. Tutti i potentati islamici del Mediterraneo potrebbero partecipare ad un grande sbarco nel Lazio e conquistare la capitale della Cristianità. A Roma si diffionde un senso di angoscia e di preoccupazione. La Repubblica di Ragusa è stata già attaccata dai Turchi. Adriano VII non ha esperienza di cose militari, tuttavia ordina di rafforzarre la guarnigione romana in modo tale da poter resistere ad un futuro assedio. Dopo aver terminato le opere avviate dal suo predecessore Eugenio, il Papa fa interrompere tutte le costruzioni edilizie in città e ordina al Prefetto dell'Urbe Pietro Malatesta di cominciare i lavori di potenziamento delle mura dell'Urbe. Pietro, lungo tutto il perimetro delle mura romane, fa rinforzare i bastioni, ricostruire le parti più deboli delle fortificazioni e insieme a molti ingegneri partecipa ai lavori per installare sulle torri delle baliste giganti in grado di bersagliare degli eventuali assedianti. Il popolino assiste agli imponenti lavori e ritrova un po' di senso di sicurezza dopo l'allarmante notizia. Oltre a ciò il Papa istituisce un reparto di Guardie Svizzere ( www.sopi.it/Roma/curiositaromane/guardiasvizzera.htm ), e recluta numerose milizie: quello che un tempo era un mite uomo di Chiesa esce inoltre da Roma con parte delle sue milizie per il gusto di "provarle" e si reca di persona a massacrare un gruppo di briganti a est dell'Urbe. Nello scontro il Papa stesso carica contro la fanteria nemica che, aggredita da una parte dalla cavalleria papale e dall'altra dalle Guardie Svizzere, viene massacrata brutalmente: i pochi superstiti vengono catturati e squartati vivi a Roma in presenza del popolo. Molti cardinali a Roma sono comunque scettici sulla possibilità di uno sbarco a Roma da parte di truppe islamiche: i Turchi sono ancora molto impegnati nei Balcani e la situazione in Nord Africa è molto critica per i poteri interni per far si che qualche principe musulmano possa partire alla volta dell'Italia.
A giugno Siena viene scomunicata per aver infranto l'ordine da parte del Papa di cessare le ositilità con Firenze. Un diplomatico aragonese viene assassinato da un sicario romano a Chiusi. Vicino a Faenza l'Inquisizione colpisce mandando al rogo un eretico che aveva cominciato a predicare nella zona: diverse altre inchieste e processi vengono tenute per snidare i seguaci dell'eresia. Subito dal Lazio vengono inviati altri inquisitori. Ferrara, dopo aver notevolmente potenziato le sue armate, invia un esercito attraverso gli Appennini, attacca Lucca e la espugna con successo. A Roma ci si rende conto che Ferrara potrebbe presto diventare una grande potenza del Nord al pari di Milano, e si decide a rinforzare il contingente papale al confine con i territori degli Estensi.
Ad agosto avviene un brusco spostamento dell'asse delle alleanze: gli Angioini firmano una pace con gli Aragonesi e decidono di allearsi con Ferrara. Tutto questo appare agli occhi di Adriano VII come una mossa a tenaglia che potrebbe mettere in grave pericolo la Chiesa, e decide di scomunicare Renato di Angiò, con il pretesto ufficiale di aver firmato la pace con l'Aragona, nemica della Chiesa di Roma. Il Regno di Napoli è diventato un nuovo potenziale nemico.
A Conscio ( vicino a Treviso ), a Settembre, una povera donna guardiana di maiali sostiene di aver avuto una visione della Madonna, La quale secondo lei l'ha curata e le ha fatto dono di uno spirito profetico: la donna ora sostiene che tra 2 anni Costantinopoli cadrà sotto i Turchi.
Il 25 novembre del 1451, la guarnigione spagnola di Capua è allo stremo: le risorse cittadine non bastano più per continuare l'assedio. Dopo la pace con gli Spagnoli, gli Angiò hanno lasciato libere le coste napoletane e dalla Sicilia è già giunto in Campania un contingente spagnolo per sconfiggere congiuntamente con Alfonso l'armata papale di Alessandro Massimi: tuttavia in città non se ne hanno notizie né si sa bene dove sia, e la situazione è ormai troppo disperata per attendere oltre. Le ultime risorse di Capua sono finite e nel giro di pochi giorni le stesse truppe del Re Alfonso moriranno di fame. Nella città potrebbe scoppiare un'epidemia da un momento a l'altro e nel volgo, che si nutre già da tempo di insetti e di topi, si comincia già a guardare ai propri simili come prossima fonte di nutrimento. Alfonso si decide: l'atto è eroico e non smentirà di certo l'eroismo del reame aragonese. La mattina del 26 novembre, in un'alba brumosa e cupa, le porte occidentali di Capua si aprono e l'esercito aragonese, dopo aver vuotato le ultime botti di vino e aver mangiato gli ultimi tozzi di pane presenti in città, si schiera prontamente di fronte alle mura. Alessandro Massimi ha già predisposto le proprie truppe in ordine di battaglia su diverse linee, fanteria, tiratori e cavalleria. Siamo alla resa dei conti. Gli Spagnoli perderanno la battaglia e lo sanno, ma è proprio con questo pensiero che sono ancora più determinati a combattere fino all'ultimo: nei loro occhi si può leggere la rassegnazione e il dolore, ma anche l'immancabile senso dell'orgoglio iberico. Dopo che i religiosi capuani sono passati tra le linee per benedire per l'ultima volta i soldati, Alfosno V da l'ordine di avanzare contro le linee pontificie: Renat Jourquera, famoso e coraggioso nobile spagnolo, carica per primo la fanteria romana con i suoi soldati causando numerose vittime, finendo infilzato da più lancieri che lo tirano giù da cavallo completando disumanamente l'"opera" di massacrarlo. I Grifuni napoletani cercano di causare vittime con le loro balestre nell'esercito nemico, ma un Ribault mercenario assoldato dai Romani posto strategicamente sopra una collina dominante il campo di battaglia comincia a vomitargli addosso proiettili in continuazione, massacrandone molti e facendoli fuggire. L'esiguo contingente di fanteria spagnolo viene in breve decimato dai colpi di balestra papali e Alessandro Massimi da l'ordine alla cavalleria di caricare il Re di Aragona. Alfonso osserva con i suoi penetranti occhi bruni i soldati romani che marciano verso di lui, e gli si lancia incontro nell'ultima e gloriosa carica della sua vita, spinto alle spalle dal grido si battaglia dei suoi uomini. Nel fitto della mischia, il Re d'Aragona viene trafitto a turno da diversi uomini d'arme romani che non osservano pietà verso un così illustre nemico. Alfonso, già grondante sangue da numerose ferite, viene colpito brutalmente da un colpo di spada alla testa e cade da cavallo tra le grida di gioia dei cavalieri romani esultanti. In breve tempo la cavalleria papale travolge le ultime linee spagnole ed entra in città abbandonandosi ad un disumano saccheggio dove muoiono oltre 7.000 civili. Sul campo rimangono 324 papali e 437 aragonesi. Il corpo di Alfonso V verrà riconsegnato dai Romani ad un'armata spagnola pochi giorni più tardi, e dopo alcuni mesi sepolto nella Cattedrale di Barcellona. L'affronto all'intera Spagna da parte del Papa è enorme, tuttavia Roma ha ottenuto una grande vittoria per se ma anche per l'Italia: infatti l'Aragona è scacciata definitivamente dalla Campania e gli avamposti calabresi rimangono l'unica presenza spagnola sulla penisola.

Alfonso V d'Aragona che esce da Capua, l'esercito pontificio e la morte di Alfonso.








Nel 1452 Alessandro Massimi, che dopo la morte di Eugenio IV ha trovato solo avversione da parte del nuovo pontefice e la Curia, trama una congiura: egli ha infatti in mente di ribellarsi a Roma e di marciare nel Lazio con la sua possente armata di Capua. La Curia pontificia, avendo ricevuto le confessioni di alcuni delatori avversi a Massimi, decidono di fargli tendere un tranello da parte di alcuni nobili corrotti vicini a lui e al comando del suo esercito. Massimi poco dopo aver preso Capua decide di marciare contro l'esercito aragonese sbarcato in Campania in difesa di Capua il quale ormai si sta ritirando, al comando del Principe d'Aragona Don Indico. Massimi riesce a obbligare gli Spagnoli a combattere in una piana poco a ovest di Castel Volturno. I nobili corrotti dal Papa hanno intenzione di far caricare il Massimi contro le linee nemiche e di lasciarlo solo all'improvviso condannandolo a morte praticamente certa circondato dagli Aragonesi, ma la provvidenza li anticipa imprevedibilmente: Massimi va all'attacco dell'armata spagnola e durante la carica un picchiere nemico riesce a infilzare il suo cavallo scaraventando il nobile romano a diversi metri di distanza: gli Spagnoli accorrono e lo massacrano a colpi di spada, mentre l'esercito papale si ritira a Capua sopreso della morte del comandante e degli ordini improvvisi di ritirata da parte dei nobili al comando. Gli Spagnoli comprendono cosa è successo e considerano la morte di Massimi come un riscatto parziale per la vita del lorodefunto re: Don Indico rientrerà a Messina pochi giorni dopo.
Il 9 marzo 1452 Adriano VII incorona imperaore a Roma Federico III d'Asburgo: questa sarà l'ultima volta che un Papa incoronerà l'Imperatore.

Nel 1453 le torri con le baliste a Roma vengono completate: non c'è ancora alcuna notizia che un'armata musulmana sia partita per Roma da qualche porto del Mediterraneo, ed è altamente probabile che questo non accadrà mai. Tuttavia i nuovi armamenti saranno un valido baluardo contro chiunque vorra un giorno prendere l'Urbe. Pietro Malatesta avvia dopo pochi mesi un nuovo piano di potenziamento delle difese dell'Urbe che prevede l'utilizzo di cannoni sulle torri romane. Nel resto dei territori pontifici viene dato inizio a dei piani di ampliamento di alcune città con la costruzione di nuove cinte murarie: Gaeta, Velletri, Pontecorvo e Civitavecchia ottengono delle nuove mura. Nel frattempo si incentivano le coltivazioni e si continuano a costruire nuove strade in tutto lo Stato Pontificio.
Nello stesso anno Costantinopoli cade in mano ai Turchi: nella Cristianità grande è il timore al pensiero delle conseguenze che potrà portare questo evento epocale. Francia e Inghilterra pongono fine alla guerra che dal secolo precedente hanno combattuto: la Francia ha vinto. Venezia dichiara guerra alla Croazia, mentre gli Angioini si alleano con il Ducato di Calabria e il Principato di Taranto con l'Aragona. Calabresi e Tarantini si massacreranno quindi sorretti rispettivamente dalla Francia e dalla Spagna.

Nel 1454 delle truppe mercenarie reduci della battaglia di Vitulazio conquistano Rieti e la consegnano al Papa in cambio di terre e privilegi: questa città era l'ultima roccaforte ribelle rimasta nello Stato Pontificio.
( la Pace di Lodi in questa AAR non avviene XD ).




Nel 1455 due eserciti della Confederazione Elvetica scendono fino a Losanna ( attualmente in mano ai Savoia la fa ), e ne causa la ribellione dai suoi padroni . Gli Svizzeri potrebbero mettere a serio rischio gli equilibri del Nord Italia. In Inghilterra scoppia la Guerra delle Due Rose. Gli Aragonesi dichiarano guerra al Duca di Calabria, stringendo il Ducato in una morsa insieme ai Tarantini: questo potrebbe significare un ritorno prepotente della presenza spagnola in Italia da sud. Gli Asburgo firmano una pace con la Croazia. Firenze riesce a conquistare Massa, dopo anni di durissima guerra. Un emissario pontificio, Falcone Di Fabro, assiste all'assedio di Matera da parte delle truppe calabresi a danno di quelle tarantine: i Calabresi perderanno. Adriano VII decide di scomunicare nuovamente il Principato di Taranto a causa della nuova alleanza firmata con la Spagna: nel frattempo egli stesso giunge nei pressi di Velletri per reprimere una rivolta di contadini. Il Papa riesce a massacrare i rivoltosi.

La battaglia nei pressi di Velletri




Nel 1456 gli Ottomani revocano ufficialmente la jihad indetta 5 anni prima, Roma trae un sospiro di sollievo: tuttavia la minaccia turca nei Balcani e nel Mediterraneo si fa sempre più concreta per tutto il mondo cristiano. Nello stesso anno scoppiano dei focolai di eresia presso Perugia e Teramo: si fa di tutto per estirparla, ma sembra molto radicata. L'eretico di Perugia viene inseguito ma riesce a far perdere le sue tracce: a Teramo invece l'eresia si diffonde e l'uccisione per mano di un sicario dell'eretico "padre", sembra il mezzo più plateale e rapido per porre fine l'eresia congiuntamente con l'inflessibile lavoro della Santa Inquisizione. Il 4 Agosto muore Guidantonio da Montefeltro, proprio a Teramo, e si temono rivolte per la mancanza di un capo e in presenza dell'eresia dilagante. Il 16 ottobre muore invece a Roma Adriano VII, all'età di 66 anni. Durante il suo pontificato lo Stato Pontificio ha continuato ad evolversi, anche meglio del previsto: sono stati battuti gli Aragonesi, si sono spente le rivolte, si è costruito molto e si nota un generale aumento del benessere relativo soprattutto alla rinascita delle attività commerciali nelle Marche; nelle città-fortezza si sono installate molte gilde di spadai, i mercanti pontifici sono alcuni tra i più ricchi nel Nord Italia. Lo Stato Pontificio rimane comunque relativamente poco potente, soprattutto considerando il "blocco" costituito da molte fazioni che lo circondano. Il prossimo Papa dovrà riuscire a compiere una nuova mossa espansionistica in Italia e a dare lustro a Roma ridonando ad essa la fama di conquistatrice.

L'Italia alla morte di Adriano VII



[Modificato da Legio XIII gemina 08/09/2011 22:36]


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Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


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Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

09/09/2011 16:13
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Tribunus Angusticlavius
Pontificatus Alberti I (1456-1457 )


Il nuovo conclave in maniera sbrigativa elegge come nuovo Papa l'ascetico cardinale settantenne Amedeo del Monferrato, il cui pontificato dura pochissimi mesi, dall'ottobre 1456 al gennaio del 1457. Dopo la morte di Adriano VII molte famiglie romane ambiscono a far raggiungere a qualcuno dei loro parenti cardinali in titolo di Pontefice e i cardinali vogliono prendersi del tempo per riuscire a trovare un adeguato successore: la salute del Papa appena eletto è precaria e tutti sono sicuri che non passerà l'inveno, e pertanto nel frattempo si riuscirà a trovare un accordo che accontenti tutte le parti. Il vecchio Alberto ha vissuto tutta la sua vita segnato dal fervore religioso, ha avuto a suo dire molte visioni ed ha spesso trascurato ogni forma di piacere per il suo corpo, accumulando negli anni a causa di trascuratezze e disagi numerose malattie: si spegnerà il 29 gennaio nel Palazzo Vaticano nell'indifferenza generale da parte dei cardinali, i quali nel frattempo sono riusciti a trovare un accordo per il successore.
In questi pochi mesi di pontificato Taranto, Napoli e Siena ritornano in seno alla Chiesa. Nel 1456 si ha il passaggio nei cieli di un globo di fuoco ( la Cometa di Halley ), in tutta la Cristianità si celebrano riti propriziatori con la speranza che l'evento astronomico possa essere il segnale divino dell'inizio di un nuovo periodo di prosperità, anche se nello stesso tempo la Campania viene sconvolta da un terremoto di violentissima intensità. A 7 anni dalla sua morte, Giovanna d'Arco viene assolta dall'accusa di eresia.


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10/09/2011 20:10
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Centurio
gran bell'AAR Legio.
----------------

"Did you know... there are three kinds of aces? Those who seek strength, those who live for pride, and those who can read the tide of battle. Those were the three. And him, he was a true ace."
"It was a cold and a snowy day..."

11/09/2011 00:03
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Re:
SnappoloViBritannia, 10/09/2011 20.10:

gran bell'AAR Legio.



Grazie Snappolo, sono contento! [SM=g8320]

Adesso arriva un altro capitolo maxi
[Modificato da Legio XIII gemina 11/09/2011 00:07]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

11/09/2011 00:03
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Tribunus Angusticlavius
Pontificatus Marci II (1457-1467)


Nel febbraio del 1457 viene eletto Papa il Cardinale Beato Savelli, con il nome di Marco II: nei 10 e intensi anni del suo pontificato, lo Stato Pontificio cambierà per sempre le sorti dell'Italia.
Marco II è un Papa relativamente giovane ( 42 anni ), è pieno di volontà e vigore, tuttavia fatica nell'inizio del suo pontificato a imporsi autoritariamente nello stato. Gli uomini più potenti di Roma sono al momento i generali Marco Condulmer e Domenico Orsini.
All'inizio del 1457 scoppia la guerra tra Firenze e Ferrara: Leonello d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Leonello_d'Este ), attacca i territori fiorentini vicino Pisa. La Curia Romana decide che Roma debba intervenire immediatamente: Ferrara e Siena potrebbero infatti sconfiggere congiuntamente Firenze, spartirsi infatti il dominio della Toscana e creare un'alleanza anti-papale. Il momento è proprizio anche considerato che il Moderatore di Siena è appena morto e il suo successore non ha un'autorità molto grande. Marco Condulmer, parente di Papa Eugenio IV, viene mandato con un forte contingente nel cuore della Toscana, per attaccare la stessa Siena. Nel frattempo Domenico Orsini Duca di Spoleto raggruppa diverse milizie e si appronta a marciare in direzione di Montalcino, una delle fortezze più potenti in mano a Siena. Lo stesso Papa Marco II decide di partecipare alla guerra e si insedia a Corento, per ricevere rinforzi da Civitavecchia ed Orvieto, con l'obiettivo di marciare sulla senese Grosseto.
L'attacco pontificio punta sulla rapidità e la sorpresa: partire con vantaggio sarà molto utile dato che la guerra probabilmente sarà molto difficile.

In autunno Condulmer giunge sotto le mura di Siena, quasi completamente sguarnita a causa dei grandi sforzi sostenuti nella guerra contro Firenze: al comando della città ci sono solo 500 lancieri della milizia. Condulmer schiera l'esercito papale sotto le mura di Siena in formazione d'assalto la mattina del 14 novembre. Nella fredda aria autunnale le bombarde romane cominciano a tuonare contro le mura meridionali di Siena: i pochi balestrieri senesi tentano un'eroica resistenza sulle mura bersagliando le linee romane, ma i numerosissimi tiratori pontifici rispondono al tiro facendo piovere su di loro una fittissima pioggia di frecce. In breve tempo viene aperta una breccia nelle mura e Condulmer insieme a tutta l'armata carica dentro la città: i fanti toscani si lanciano sugli aggressori con immenso coraggio e riescono ad uccidere un buon numero di nemici, venendo poi+ sopraffatti e massacrati in breve. Condulmer giunge il Piazza del Campo in pochi minuti, perdendo solo 94 uomini. La prestigiosissima Siena è in mano a Roma. La notizia della nuova guerra fa il giro dell'Europa e tutti temono una rottura definitiva degli equilibri interni italiani. I Senesi sono sbigottiti, la guerra contro Firenze non può più continuare: si può solo tentare di contrastare le truppe pontificie, ma la situazione sembra disperata. Marco Condulmer dovrebbe marciare contro Volterra, ma l'inverno è duro in Toscana ed egli non se la sente di marciare immediatamente contro una città nemica in mezzo alle nevi dopo le lunghe marce dal Lazio e l'assedio: passerà l'inverno a Siena riorganizzando l'esercito e dedicandosi anche, stimolato dal freddo, alle pulzelle e al vino, entrambi rinomati a Siena.

Immagini della battaglia di Siena






Nel 1458 Domenico Orsini, dopo essere partito da Viterbo, pone sotto assedio la fortezza di Montalcino: al suo interno vi è il Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci e la sua guarnigione che osservano le truppe romane giungere nei pressi delle mura e prepararsi all'assedio: il sanguigno e coraggioso Moderatore senese ha in mente di aspettare i rinforzi e poi tentare l'assalto alle linee romane. Dopo pochi mesi Condulmer esce da Siena e mette sotto assedio Volterra mentre il Papa Marco II fa lo stesso con Grosseto. Il Pontefice ha assoldato degli archibugieri mercenari con grandi idee di conquista ed è in preda ad un bizzarro fervore: egli vuole condurre campagne vittoriose contro i nemici di Roma cercando di assomigliare negli atti e nei gesti ai grandi condottieri romani dell'antichità. Nella campagna Marco trascura i consiglieri che riferiscono delle notizie dello Stato, e compie in continuazione esercitazioni sotto la neve e la pioggia, aggravando di molto la sua salute. Nel frattempo nello Stato Pontificio si sgominano alcune armate ribelli e dei movimenti eretici, che si fanno forti dell'assenza della temporanea presenza del Papa da Roma.
Nel 1458 a Firenze è istituito il Consiglio dei Cento.

Nel 1459, durante l'assedio di Volterra, Marco Condulmer riceve nella sua tenda la notizia che un'armata di 1800 Senesi comandata dal nobile Colombo di Lugana sta marciando da ovest verso gli schieramenti pontifici. Se Colombo arrivasse con il suo possente esercito ed assaltasse i Romani impegnati nell'assedio è probabile che accadrebbe un disastro: pertanto Condulmer decide di attendere l'arrivo dei rinforzi senesi presso le alture tra Volterra e il villaggio di Montaperti ( non quella famosa vicino a Siena ). I Romani attendono sui colli per 2 settimane, e il 23 maggio, sotto una pioggia scrosciante, le truppe Senesi compaiono nelle vallate presso Volterra. Condulmer fa schierare le truppe lungo le colline: in quella posizione la vittoria sarà più facile da raggiungere. Le truppe di Volterra escono dalla fortezza ed attaccano le linee romane da dietro, riuscendo anche a caricare la formazione pontificia sul fianco sinistro: Condulmer mantiene il sangue freddo e grazie alla cavalleria riesce a mettere il primo contingente senese in fuga. Nel frattempo nella pioggia si nota il grosso delle milizie senesi marciare frontalmente verso lo schieramento romano: Condulmer da ordine di bersagliare i nemici con tutte le armi ed i Senesi si ritrovano ad assaltare sotto il pesante tiro delle balestre e degli archiburgi. Nonostante questo la carica senese è fortissima e le prime linee romane sembrano in un primo momento cedere sotto l'urto toscano. La battaglia infuria con grande violenza mentre frecce e proiettili fischiano sopra gli elmi dei combattenti. La violenza degli scontri è enorme: la cavalleria senese cerca di sfondare la formazione nemica sotto la pioggia di proiettili. Le Guardie Svizzere al servizio di Condulmer riescono a tenere il campo ma subiscono gravissime perdite. Finalmente i Senesi cominciano a cedere e molti di loro scappano lungo le colline. I Romani inseguono le milizie nemiche con la cavalleria, ma nelle boscaglie sottostanti diversi balestrieri a cavallo senesi resistono causano ulteriori perdite. I combattimenti proseguono per tutta la giornata fino a che Colombo di Lugana viene ucciso da un colpo di balestra. Condulmer ottiene la vittoria, perdendo circa un terzo dell'armata ( 600 uomini ), mentre i Senesi perdono oltre 2000 uomini: le truppe romane entrano a Volterra in serata e saccheggiano la fortezza. Dopo pochi giorni le milizie romane raggiuggono anche Saline, e devastano. Gli assedi di Montalcino e Grosseto procedono senza partiolari problemi, se non a causa delle difficili condizioni atmosferiche.

Battaglia di Volterra

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Il 1460 è un anno di svolta nelle vicende di tutta l'Italia. Venezia ha acquisito un enorme potere dal periodo della pace contro Milano, e sta diventando sempre più prospera. Molte fazioni non vedono di buon occhio l'amicizia che lega Venezia e il Papa, e pertanto i maggiori principi italiani ( molti dei quali rimangono ancora in guerra tra loro ), decidono di formare una lega contro la Serenissima, con lo scopo di saccheggiare la città stessa di Venezia e di annientarne l'egemonia commerciale nel Mediterraneo. A questa lega partecipano Aragona, Francia, gli Asburgo, Milano, Genova, Ferrara, i Savoia e persino i più piccoli potentati di Monferrato, Calabria e Croazia. La Grande Lega ( praticamente nel gioco c'è stata una crociata contro Venezia che mi pareva molto poco verosimile e così mi sono inventato questa cosa XD ), comincia a preparare eserciti e flotte per poter arrivare a Venezia e distruggerla. La notizia è allarmante per il Papa: quest'alleanza potrebbe infatti annientare Venezia e spostare le mire degli stati italiani poi contro il vasto Stato Pontificio che sta diventando sempre più ricco e potente. La Curia Romana decide di minacciare di scomunica tutti gli stati partecipanti alla Grande Lega, e di stipulare un'alleanza con Venezia: Ferrara viene scomunicata immediatamente per aver continuato la guerra contro Firenze ed aver messo sotto assedio Pisa, mentre Taranto viene scomunicata nuovamente per aver fornito aiuti alla Lega essendo alleata con gli Spagnoli. Nei mesi successivi armate calabresi e napoletane transitano nei territori pontifici per arrivare a Venezia: Roma non ha armate per bloccare la loro marcia, essendo impegnata nella guerra contro Siena e così deve lasciare libero il passaggio senza rischiare altre guerre. Nel frattempo gli assedi romani in Toscana proseguono estenuanti per assedianti ed assediati. Nello stesso anno cade il Despotato della Morea, ultimo pezzo di terra bizantino in Europa.

Nel 1461 un esercito della Grande Lega guidato da un generale del Monferrato, dopo aver percorso la riva sinistra del Po, giunge a Venezia riuscendo a sbarcare a Murano: qui dopo poco tempo un'armata veneziana, coadiuvata dalla potente flotta, annienta totalmente i soldati piemontesi, dimostrando a tutta l'Europa la forza ed il valore della Serenissima.
A maggio le forze di Domenico Orsini in assedio a Montalcino vengono assalite dalle truppe del comandante senese Lorenzo de Felice insieme a quelle del Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci. I Romani si attestano su un colle anche in quest'altro assedio, ed anche questa volta la battaglia è durissima nonostante la superiorità numerica pontificia. Le truppe senesi sono appena 900, mentre quelle romane 2200, in più i Toscani devono combattere in salita: ma questo non spegne il loro impeto e si lanciano nuovamente contro le forze pontificie. La battaglia infuria violentissima e i Romani vedono parte del loro fianco destro sfondato dalla cavalleria senese: grazie all'appoggio di truppe leggere di schioppettieri Domenico Orsini riesce a dominare il campo e a ricacciare i Senesi verso le porte di Montalcino. Mentre i Romani massacrano le milizie senesi in fuga Paolo Pandolfo Petrucci rimane l'ultimo soldato nemico su vivo sul campo: giunto alle porte di Montalcino viene raggiunto dai cavalieri romani che lo finiscono a colpi di arma da fuoco. Anche Montalcino cade in mano pontificia.
Marco II a Grosseto respinge la sortita disperata dell'esercito senese comandata dal Signore di Grosseto Giacomo V. Marco II si getta egli stesso nella mischia nonostante delle febbri che lo colpiscono da tempo e con l'appoggio degli archibugieri tiene il campo. I Romani vincono la battaglia con poche perdite ( poco più di 200 ), saccheggiano la piccola città. Per l'intera Europa ci si interroga sui comportamenti di quello che invece di un Pontefice appare come uno scapestrato e crudele conquistatore.
Cade l'Impero di Trebisonda, ultimo territorio di cultura bizantina.

Battaglia di Montalcino






Battaglia di Grosseto




Nel gennaio del 1462 si ha notizia che Chambery è stata conquistata ai Savoia dalla Confederazione Elvetica: nel futuro questro potrebbe creare notevoli problemi, i Savoia infatti arginano geograficamente Francia e Svizzeri impedendogli di entrare in Italia, il loro cedimento è un rischio enorme. A marzo Domenico Orsini, dopo aver passato l'inverno a Montalcino, si dirige verso la costa ed affronta l'ultimo esercito senese rimasto in Toscana, presso Bibbona. L'esercito senese e quello romano si incontrano il 30 marzo vicino alla costa: i Senesi sono appena 1300, mentre i Romani 1850. Tra le schiere romane si notano reparti di arcieri inglesi della White Company, mentre i Senesi hanno al loro fianco un nutrito gruppo di cavalieri tedeschi mercenari: da notare anche i reparti di archibugieri schierati da entrambi i lati. Le truppe dell'Orsini sono molto stanche a causa degli anni trascorsi nella guerra in Toscana: le truppe nemiche sono motivate e bene armate. Domenico sceglie di schierarsi frontalmente alle linee senesi faccia a faccia per uno scontro frontale, senza astuzie, vuole un combattimento onorevole. La battaglia inizia con delle schermaglie tra gli archibugieri: le linee di fanteria avanzano sotto il fuoco. I Senesi, giunti a pochi metri dalle linee romane danno l'ordine ai cavalieri tedeschi di sfondare il fianco sinistro della formazione nemica. Le perdite romane sono notevoli e l'Orsini si getta insieme alla cavalleria nella mischia. Le Guardie Svizzere accorrono nella parte più intensa del combattimento mentre gli archibugieri si schierano sul fianco destro bersagliando i tiratori nemici rimasti oltre gli scontri. Per tutta la campagna si combatte aspramente: il sangue bagna la terra, le milizie si massacrano, i tiratori fanno saettare freccie e pallottole ovunque, senza riguardo per gli amici stessi tanto la bolgia è caotica. Domenico Orsini rimane ferito ad un braccio ed è costretto ad abbandonare la mischia. Il comandante senese viene ucciso da alcuni cavalieri mercenari e il morale dei Toscani si abbassa notevolmente. A sera i Romani riescono definitivamente ad uccidere gli ultimi Senesi rimasti sul campo, dopo un aspro giorno di sangue. Più di 900 saranno i morti romani, 1200 quelli senesi. L'armata dell'Orsini è stanchissima, ma alla fine ha posto fine alla guerra contro Siena.

Battaglia presso Bibbona, balestre vs archibugi




Dopo pochi mesi si ha notizia della caduta di Pisa in mano agli Estensi. Tra il 1462 e il 1463 nasce l'Accademia platonica di Firenze. Nel 1462 a Milano si inizia la costruzione del canale La Martesana che collega la città con l'Adda e di conseguenza con l'Adriatico.

Nell'autunno del 1463 luglio il Papa Marco, nonostante le continue febbri che lo tormentano, decide di assaltare la Signoria di Piombino, che ha appoggiato i Senesi nella recente guerra. Il Papa pone sotto assedio Piombino e decide contro il parere degli ufficiali di lanciare subito un assalto contro le mura presidiate dal Signore piombinese Jacopo II: ma la fortezza resiste e le truppe papali decidono di non forzare oltre, esse si ritirano poco più lontano per organizzare un assedio migliore da porre in primavera. Tuttavia nella primavera del 1464 Jacopo II attacca i Romani, dando luogo ad un'aspra battaglia campale. Le truppe piombinesi sono ben addestrate e ben comandate, Jacopo schiera 2200 soldati e Marco1800, la sorte sembra essere avversa ai pontifici. Jacopo II attaccherà il 27 Aprile le truppe del Papa, un giorno di pioggia molto intensa che rende il campo di battaglia un enorme acquitrinio. Jacopo manda un'avanguardia di 500 soldati ad aggirare i papali: i Romani intercettano la piccola armata e la distruggono grazie a un pesante fuoco di archibugi accompagnato da una carica di cavalleria; i morti romani sono circa un centinaio. Jacopo II, fallito il piano dell'aggiramento, decide di attaccare con tutte le forze la linea papale. Marco II fa schierare la cavalleria ai lati a fianco dei tiratori ( che compongono la maggior parte dell'armata ), e si pone dietro ad essi per intervenire in caso di sfondamento. Le condizioni fisiche di Marco sono pessime, ma come al solito, con grande stupore da parte dei soldati, monta a cavallo. I Piombinesi caricano il grosso delle forze romane con la cavalleria: l'urto è notevole e molti tiratori romani muoiono nell'impatto. La situazione è sempre più disperata, ma Marco da ordine di contenere i cavalieri piombinesi con l'esigua ma valente cavalleria e, rendendosi conto che questo non è sufficiente, si lancia egli stesso in combattimento, seguito e protetto dalla sua guardia che lo isola dai colpi nemici, conscia delle sue condizioni. Le ali di cavalleria romana aggirano i fianchi piombinesi, mentre gli archibugieri romani si portano fuori dalla mischia e viene dato loro ordine di colpire ripetutamente con un fuoco di fila le truppe nemiche. Nel giro di una mezz'ora la situazione sul campo è stabile. La mischia è intensissima ma i tiratori papali riescono a colpire precisamente e regolarmente i ranghi nemici: i Piombinesi stanno lentamente perdendo più uomini di quanti riescano a farne perdere al nemico. Jacopo II è nel mezzo della mischia ed abbatte decine di soldati papali ma una pallottola vagante gli trapassa la gamba, nonostante l'armatura: il nobile toscano esce fuori dalla mischia con la sua guardia e rimane solo dietro i ranghi della sua armata per scoprire la ferita e farsi assistere da un dottore. Appena visto ciò Marco da ordine ai suoi ufficiali di spostare il tiro delle balestre sul comandante nemico in bella vista e di farlo raggiungere dalle truppe della condotta. Jacopo II viene bersagliato dalle frecce romane, il suo cavallo viene colpito, lui viene disarcionato e cade nel fango: ferito, si trascina verso i suoi uomini che gli fanno da schermo, ma la cavalleria papale sopraggiunge e fa strage dei cavalieri nemici. Jacopo viene calpestato dai cavalieri della condotta che lo annegano nelle pozze di fango. I Piombinesi, presi dal panico, cominciano a fuggire disordinatamente mentre Marco, come avendo ritrovato le forze che da tempo gli mancano, incita gli archibugieri ed i balestrieri ad aumentare la frequenza del tiro: i soldati piombinesi, appesantiti dalle armature e bloccati dal fango vengono falciati dalle pallottole e masscrati dai cavalieri romani. Alla fine della giornata ritorna finlamente la luce del sole a rischiarare gli acquitrini e Marco comprende di aver ottenuto una delle vittorie più splendide dei suoi tempi: ad eccezione di pochissimi soldati, l'armata piombinese è stata totalmente massacrata, i Romani hanno perso solo 530 soldati. Il 2 maggio Marco marcia su Piombino e la fa mettere a ferro e fuoco: la sua esaltazione è al massimo, e la sua crudeltà si manifesta in quell'episodio in tutti i suoi lati più oscuri. Dopo diversi anni di pontificato, Marco II diventa finalmente un capo autorevole, soprattutto perchè temuto come generale: le rivolte nello Stato Pontificio cessano e i movimenti eretici vengono bloccati con più facilità.

Battaglia di Piombino



A seguito di questa vittoria le truppe di Domenico Orsini vengono inviate all'Isola d'Elba con una flottiglia mercenaria, a settembre esse cingono l'assedio del borgo di Rio nell'Elba, ultima roccaforte piombinese. Le truppe di Domenico Orsini sono più fresche e contano nuove truppe mercenarie, tuttavia le inside non sono finite per quest'armata di veterani: infatti a Campo dell'Elba pare che un'ultima e agguerrita armata piombinese stia preparando per respingere le truppe romane. L'isola è devastata.

Nel 1465 si nota un grave crollo dell'economia a causa delle prolungate campagne in Toscana. Il Papa stringe l'alleanza con Venezia e praticamente tutti i partecipanti alla Grande Lega cercano di far tornare in patria gli eserciti inviati, la Lega si scoglie. Da quel che si sa le truppe ferraresi rimaste in Veneto vengono massacrate e Rovigo viene presa dai Veneziani. Calabresi e Napoletani tornano con le loro armate mestamente in patria, dopo una lunga, estenuante e inutile campagna: ancora una volta i Romani stanno a guardare. Il Papa ha ottenuto una vittoria politica non indifferente, senza entrare in guerra, per ora, con nessuno. Il Doge veneziano è molto riconoscente a Roma. Nel frattempo tutte le nazioni della ex Grande Lega cominciano a fare circolare voci che dipingono Marco II come l'Anticristo in persona, portando a testimonianza i saccheggi e le violenze commesse dai suoi soldati in Toscana e le stranezze relative alla mistreriosa forza che fa passare il Pontefice da una debolezza gravissima a una forza enorme, come più volte dimostrato in campo.
Lo Stato Pontificio, nonostante le grandi spese per la campagna contro Siena e Piombino, si è molto evoluto negli ultimi anni: molte città sono in piena espansione, i commerci fioriscono e le arti anche, soprattutto a Roma e a Bologna: la corrente crisi economica è solo una nuvola su questo bel paesaggio, ma non può essere sottovalutata.

Nel 1466 i Fiorentini assediano Pisa ma vengono respinti dalle armate ferraresi. Marco II e la Curia Romana, dopo molte riflessioni, decidono che Ferrara vada fermata nella sua spinta espansionistica: Roma ha ancora molti soldati di ottima qualità al suo servizio, l'economia va molto male e i territori ferraresi sono molto ricchi. Ferrara è già scomunicata, ed un assalto in grande stile potrebbe risolvere molti dei problemi dello Stato Pontificio, soprattutto quelli economici. Marco II, residente al momento a Civitavecchia, decide di inviare il prode Marco Condulmer con le sue truppe veterane in Romagna, pronto a sferrare un attacco ai domini estensi. Dopo poco lo stesso Marco II si muove per la Romagna passando per Orvieto, dove fa edificare un nuovo oratorio, e rimanendo per l'inverno nell'incantevole Perugia, sempre preso dalle sue esaltazioni bellico-mistiche: nel frattempo in Toscana il Papa da l'assenso per la creazione di un nuovo convento francescano a Montalcino e uno carmelitano a Volterra.
In settembre all'Elba le truppe piombinesi si sono finalmente decise a dare battaglia. Con quest'ultima battaglia Domenico Orsini potrà finalmente essere ricoperto di gloria per aver posto fine alla guerra in Toscana, durata ormai da più 5 anni, anni di privazioni, morte, sofferenze, fame. L'armata piombinese è composta da 1600 uomini, in buona parte cavalieri, tutti i nobili fuggiti dalla penisola a seguito dell'occupazione pontificia. L'esercito dell'Orsini è composto da 2000 uomini, molti dei quali logori e stanchi a causa di una guerra così lunga e dolorosa, che gli ha già causato la perdita di molti amati amici e parenti. Domenico non può permettersi di perdere la battaglia: in caso di sconfitta infatti ci vorrebbero anni prima di poter condurre nuovamente una campagna contro l'Elba. La mattina del 9 settembre 1466, i papali e i piombinesi si incontrano sulle alture vicine a Rio. Dopo che i preti hanno benedetto i soldati in entrambi gli schieramenti la battaglia inizia. Come al solito le truppe romane cominciano col tirare un po' di frecce tra i ranghi nemici, ma la cavalleria li carica immediatamente. La mischia comincia più cruenta del solito, ma dopo l'impeto iniziale i ranghi toscani sembrano già deboli: tuttavia la cavalleria piombinese è molto aggressiva e continua ad attaccare ripetutamente quella romana con una tattica mordi e fuggi. I papali hanno dei fedeli cavalieri veterani con schioppetti reduci della battaglia di Ancona e della corrente guerra, che agiscono in maniera eccellente per contrastare la cavalleria nemica spostandosi con grande agilità: per tutto il campo si sparge l'odore della polvere da sparo che in alcuni punti crea una nebbiolina bianca. Domenico ingaggia dei combattimenti molto duri e rimane più volte ferito. In un momento l'Orsini rischia enormemente la vita perchè, rimasto solo, è inseguito dalla cavalleria leggera toscana: sono gli schioppettieri a trarlo in salvo sparando un piombo che va a colpire la testa dell'ufficiale nemico che lo stava inseguendo. La vittoria romana giunge anche questa volta, ma questa volta per sempre, la guerra è finita! Sul campo tutti i Piombinesi sono morti o dispersi ma oltre 1200 sono i morti papali: molti giovani romani non vedranno mai più la loro casa. L'Elba viene conquistata interamente dall'Orsini che torna finalmente a Volterra tra mille onori per godersi un meritato riposo; qui riceve l'ordine di preparare un esercito tutto nuovo con i fondi messi a disposizione dal Papa. Domenico non è stanco per se, ma solo per i suoi uomini e ubbidisce prontamente all'ordine: l'anno successivo dovrà partire per Pisa con uomini freschi, Roma vuole attaccare Ferrara.

Battaglia di Rio




Nel 1467 le truppe pontificie sono pronte per l'attacco a Ferrara: ben 4 armate dovranno attaccare i domini estensi. Probabilmente i Ferraresi sanno che Roma sta addensando truppe al confine romagnolo, ma molte delle loro armate sono già dispiegate contro Venezia e Firenze. Marco II, guidato da uno dei suoi impeti bellici, decide di partire per primo in Emilia: Marco Condulmer guiderà i suoi veterani verso Ferrara stessa, Domenico Orsini attaccherà Pisa e il Governatore di Forlì Leon Battista Alberti Accorsi coprirà le spalle a Condulmer con un altro contingente. La campagna comincia in tardo autunno, per cercare di cogliere il più possibile i Ferraresi di sorpresa. Il 24 novembre Marco II attacca intrepidamente Modena: la città è quasi completamente sguarnita, solo Borso d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Borso_d'Este ) e pochi fanti: dopo i cannoneggiamenti delle mura le truppe pontificie sciamano dentro la città e massacrano la guarnigione, compreso il povero Borso che viene ucciso da rudi mercenari emiliani assoldati per la via: a quanto pare la condotta bellica romana della guerra non concepisce la misericordia. L'esaltazione di Marco II supera ogni limite, si proclama Imperatore di tutti i regni cristiani, paragona le sue abilità guerresche ad Alessandro e a Cesare e giura di brandire la spada per tutta la vita al fine di riportare con lo spargimento di sangue la pace nella Cristianità; passa intere notti semi-nudo a pregare nelle fredde chiese modenesi; gli stessi ufficiali romani cominciano a preoccuparsi per lo stato mentale del Pontefice. Alla corte di Ferrara si scatena il terrore per l'attacco delle truppe pontificie. Dopo pochi giorni dalla vittoria, nonostante il gelo intenso, Marco II da ordine di marciare contro la fortezza di Reggio in Emilia: questa fortezza si è espansa notevolmente secondo i piani della dinastia estense diventando un baluardo apparentemente imprendibile, al momento è presidiata da Niccolò V d'Este famoso generale ferrarese, abile spadaccino e valente cavaliere. Marco II vuole assaltare la fortezza senza approntare un assedio: i comandanti romani accettano la sfida dubbiosi sull'esito dello scontro ma forti dei buoni vettovagliamenti e delle truppe fresche e preparate. Il 15 dicembre l'esercito pontificio si dispone sotte le mura di Reggio: lo scopo sarà aprire una breccia nelle mura orientali ed entrare nella cittadella più interna per fare strage dei nemici. L'artiglieria romana comincia a colpire le mura ferraresi, ma queste sono così resistenti che le palle di ferro sparate, dopo aver impattato violentemente la pietra, rimbalzano all'indietro: molti proiettili ricadono vicino alle stesse linee pontificie con fragore, nell'agitazione dei soldati. Una palla ritorna indietro centrando in pieno e mandando in mille pezzi 9 artigleri e spaccando una bombarda: alcuni sfrontati nobili romani sui loro cavalli ridacchiano e scommettono su quale punto dello schieramento arriverà la prossima palla! Dopo numerosi rischi viene finalmente in tarda mattinata aperta una breccia nelle mura. Diversi archibugieri e tiratori vengono inviati sotto le mura per coprire con il fuoco l'avanzata della fanteria e della cavalleria romana, la quale si mette ad inseguire alcuni balestrieri e membri della Guardia Estense che all'avanzare del nemico fuggono verso la cittadella più interna. Ci sono alcune lievi perdite. Le truppe pontificie entrano nella prima cinta muraria con grande facilità e si apprestano a trovare un passaggio per salire sulle mura della cittadella più interna. I loro sforzi sono inutili giacchè lo stesso Niccolò V ordina ai suoi soldati di caricare i Romani fuori dalla fortificazione. Lo scontro comincia nelle strade di Reggio con grande violenza: la cavalleria romana, spintasi troppo avanti rispetto al grosso delle truppe, rimane intrappolata dalle truppe ferraresi: all'arrivo della fanteria romana solo pochi cavalieri sono sopravvissuti. Sotto le mura del cancello della fortezza più interna si ingaggia una lotta furibonda nella quale il Papa Marco si getta senza aspettare: con i suoi rabbiosi fendenti riesce ad uccidere molti nemici: tuttavia la sua guardia subisce numerose perdite ed è costretto a ritirarsi temporaneamente dalla mischia: le urla del Papa sono sconnesse, parlano di Dio, di santi, di Imperatori e di sangue, ed i soldati romani non capiscono ormai nemmeno più quale sia la causa di questo comportamento, forse Marco ha perso definitivamente la testa. Il cancello della fortezza interna viene forzato, si spezzano le catene e le fanterie papali riescono ad inflitrarsi nella piazza nemica principale. Niccolò V carica i pontifici e si getta nel folto della mischia: il biondo comandante estense dal fisico prestante e dal grande coraggio combatte come un leone per la sua casata: sotto i suoi colpi cadono molti tra i migliori cavalieri romani; il suo coraggio non serve però a salvare la sua vita, un cavaliere bolognese al soldo del Papa sopraggiunge alle sue spalle e, con un colpo netto e preciso, lo decapita. I Ferraresi, inorriditi, continuano a combattere violentemente fino all'ultimo. Marco II vede la vittoria, credi di essere Alessandro sulle mura di Tiro: è talmente infervorato che carica nella porta della fortezza senza fare caso ai numerosi picchieri romani che la stanno attraversando con le loro armi pericolosamente puntate verso il cielo; giunto all'interno uno spadaccino estense da un forte colpo di spada addosso al cavallo del Papa: la bestia straziata dal dolore si imbizzarrisce, Marco cerca di reggersi ma cade all'indietro e si infilza il torace sopra una picca di uno dei suoi stessi uomini. Il Pontefice comincia ad urlare pietosamente mentre i suoi uomini increduli non sanno cosa fare. Mentre gli ultimi Ferraresi vengono snidati dalla fortezza centrale e uccisi, Marco II è trasporato su suo preciso ordine nella cattedrale di Santa Maria Assunta: sta morendo. Il Papa è pallido, trema, la ferita gli procura un dolore enorme, ma egli cerca con ritrovata umiltà, nel momento estremo di esprimere i suoi ultimi pensieri, vuole i nobili romani attorno a lui: dopo essersi accomiatato da ognuno di loro, pronuncia le sue ultime parole: - Esiste, miei figli, una sola cosa per la quale valga la pena morire: l'amore per Dio e per la patria. Onorate il Signore, servite la vostra madre Chiesa, strappate l'Italia dal dominio dei barbari e degli empi -. I nobili romani vedono spegnersi per sempre riconciliato con Dio e con se stesso il Papa Marco II, Beato Savelli, morto nell'assedio di Reggio il 15 dicembre dell'anno del Signore 1467.

Particolari della battaglia di Reggio






[Modificato da Legio XIII gemina 11/09/2011 00:12]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

13/09/2011 15:58
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Un altro appassionanete capitolo,complimenti :D
Una domanda: Ma nell'assedio di Siena,come hai fatto a rompere le mura con una sola unità di bombarda?Io di solito ne devo usare alemo due per fare breccia nelle mura!
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"Did you know... there are three kinds of aces? Those who seek strength, those who live for pride, and those who can read the tide of battle. Those were the three. And him, he was a true ace."
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Re:
SnappoloViBritannia, 13/09/2011 15.58:

Un altro appassionanete capitolo,complimenti :D
Una domanda: Ma nell'assedio di Siena,come hai fatto a rompere le mura con una sola unità di bombarda?Io di solito ne devo usare alemo due per fare breccia nelle mura!



Grazie ancora :)

Per quanto riguarda Siena, in quel momento della campagna la città aveva il primo livello di mura di pietra ( livello insediamento "città" ), con 2 bombarde sole non ho avuto proprio problemi ( infatti basta guardare quanti pochi colpi avevo sparato ). Io sto giocando a difficoltà di campagna media, con le battaglie a molto alta, quella di campagna può influire su queste cose [SM=g8268]? Non credo, comunque non ho usato cheats ^^ si vede dal resto delle mura che sono intatte [SM=x1771224].
Quando ho detto che il Papa aveva fatto il primo assalto di Piombino e si era ritirato era perchè in quel caso la città era al livello fortezza e con sole 2 bombarde ( se non ricordo male ), non ero riuscito a sfondare le mura.

p.s. nell'ultima battaglia Reggio Emilia era piuttosto corazzata ma con 4 bombarde sono riuscito ad aprire lo stesso una breccia. Se questo dipende dalla difficoltà media di campagna mi incacchio perchè volevo giocare come sempre a VH ma non c'era verso di far funzionare l'economia e così per la campagna sono stato costretto a scendere a media.
[Modificato da Legio XIII gemina 13/09/2011 18:51]


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Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

13/09/2011 19:25
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Pontificatus Lamberti I (1467-1473)


La vittoria di Reggio è stata grande, ma la perdita di Marco II è stata un trauma morale notevole per le truppe pontificie. Marco Condulmer, Domenico Orsini e tutti i soldati impegnati nella nuova campagna contro Ferrara sono addolorati e preoccupati, Roma ha bisogno in questo momento importante di un Papa fermo e capace, un vuoto di potere così grande è rischioso. Mentre la salma del Papa ucciso viene trasportata attraverso gli Appennini per essere sepolta con tutti gli onori a Roma, il generale Condulmer giunge sotto le mura di Ferrara e la pone sotto assedio, seguito a poche miglia di distanza dalle truppe di Leon Battista Alberti Accorsi; Domenico Orsini giunge a Pisa e la pone sotto assedio, con grande preoccupazione dei Ferraresi che non si attendevano un'intromissione del Papa anche sul fronte Toscano. Le milizie fiorentine agevolano il passaggio delle truppe romane, felici di avere finalmente degli amici al loro fianco a contrastare le mire degli Este.
A Roma viene eletto Papa dal conclave il Cardinale Francesco Farnese, con il nome di Lamberto I. Francesco ha 59 anni, è un uomo di sincera fede, comprende l'importanza del suo ruolo e cerca immediatamente di mantenere la coesione interna dello Stato: non si sposta da Roma, dove lavora alacremente in campo amministrativo, ed invia in tutto lo Stato Pontificio una fitta rete di agenti, inquisitori e sicari al fine di imporre la sua autorità ed evitare ribellioni. Tutte le fazioni scomunicate vengono riconciliate ( tranne Ferrara ). Lamberto I allontana inoltre da Roma Pietro Malatesta il quale, rimasto durante tutta l'assenza di Marco II a governare l'Urbe, è diventato corrotto e vizioso: il miglioramento visibile dell'allontanamento del Malatesta da Roma è l'aumento dela capacità produttiva della capitale da 10.000 a 16.000 fiorini per anno.
Lamberto I comprende inoltre che le vicende politiche italiane, così tormentate negli ultimi anni, possono trovare uno sfogo militare al di fuori della penisola e nella Pasqua del 1468 indice una crociata contro gli Ottomani per il recupero della ricca città di Ragusa: questa sarà un'ottima occasione per i principi cristiani di dimostrare nuova fedeltà al Papa dopo la follia della Grande Lega ed allontanerà numerosi eserciti dall'Italia. Austriaci, Bosniaci, Croati, Genovesi e Napoletani preparano subito delle possenti armate per conquistare Ragusa ai Turchi.

Nello stesso tempo, mentre Ferrara e Pisa sono sotto assedio, il condottiero romano Leon Battista Alberti Accorsi Signore di Forlì decide di marciare verso la cittadina di Mirandola per strapparla agli Estensi. L'Accorsi durante la marcia incontra un'armata ferrarese che viene massacrata a copli di frecce dai numerosissimi tiratori papali veterani: questa aveva cercato di tendere ai Romani un'imboscata. Dopo pochi giorni l'armata romana giunge a Mirandola e, dopo un violento cannoneggiamento di bombarde, la espugna perdendo solo 80 uomini e uccidendo il valentissimo cavaliere Ercole D'Este, Capitaneus delle truppe estensi e ufficialmente per i Ferraresi ancora Signore di Reggio in Emilia. L'Accorsi si insedia nella città e saccheggia le campagne per rifornire le sue truppe. Praticamente i territori degli Estensi nella Padana sono ridotti alla sola, temutissima e resistentissima cittadella di Ferrara che tuttavia Condulmer ha intenzione di prendere per fame. Gli Estensi sembrano non avere più speranze di resistere all'invasione pontificia, così cercano di arrecare ogni tipo di danno alle finanze del Papa: sapendo che il Papa non possiede flotte nell'Adriatico, i maggiori porti marchigiani vengono posti sotto blocco navale da parte delle flotte ferraresi.
Presso Pisa un'armata ferrarese decide di attaccare le truppe dell'Orsini impegnate nell'assedio, ma questa viene sbaragliata e la guarnigione di Pisa, vedendo la disfatta dei suoi soccorritori, si arrende definitivamente: il suo comandante Guidantonio d'Udine si da alla macchia. Pisa viene saccheggiata dalle truppe romane. La conquista di Pisa viene festeggiata a Roma e Domenico Orsini ottiene una fama notevolissima in tutta Italia per le sue imprese: come premio gli viene data in sposa la bella principessa romana Benvenuta Altieri, da poco tornata da una missione diplomatica in Trentino per far stabilire allo Stato Pontificio dei nuovi accordi con gli Asburgo. Nel frattempo Lucca è assediata dai Fiorentini.

Il 1469 si apre con la grande battaglia di Lucca, dove le truppe di Leonello D'Este riescono a sconfiggere quelle dei Medici sotto le mura della città, perdendo tuttavia moltissimi uomini. Domenico Orsini non si fa sfuggire questa splendida occasione e parte subito da Pisa con i suoi uomini per combattere l'armata di Leonello che non è ancora rientrata in città essendo in cerca di altre armate medicee nelle campagne circostanti. Leonello viene raggiunto in primavera dall'Orsini: la battaglia, nelle campagne a est di Lucca, vede l'armata papale lanciarsi con vigore contro gli schieramenti estensi, logorati dalla lunga guerra. Nonostante la grande resistenza estense, le truppe romane sfondano le linee nemiche in ogni punto e massacrano gli estensi in fuga. Leonello D'Este, vedendo la battaglia perduta, si lancia nelle retrovie romane lasciate indietro dal grosso delle forze dell'Orsini, ed uccide di persona decine e decine di tiratori. Mentre Domenico Orsini torna indietro con la cavalleria di Butteri maremmani per prestare aiuto alle retrovie, Leonello viene bersagliato da un nugolo di frecce che lo massacra. Sgominate le ultime truppe ferraresi in Toscana, Domenico Orsini entra a Lucca e mette anche questa città a ferro e fuoco.

Battaglia vicino Lucca contro Leonello D'Este



Nello stesso anno il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia porta all'unione dei regni d'Aragona e di Castiglia.

Con la conquista dei territori estensi, lo Stato Pontificio diventa ormai una nazione potente e temuta in tutta l'Europa: i mercanti romani hanno nelle loro mani i commerci di tutto il centro Italia ed avanzano sui mercati settentrionali, l'Inquisizione e i sicari papali sono in ogni angolo dello Stato Pontificio garantiscono il controllo da parte di Roma di tutti i feudatari. Le città dello Stato Pontificio sono tutte il grande crescita, ovunque si costruiscono mercati, porti, flotte mercantili: le città toscane, ultimamente conquistate, rilanciano i commerci marittimi nel Tirreno e sono sedi di numerose banche. Roma è diventato un centro culturale di enorme importanza ed ospita artisti e letterati di ogni tipo: la popolazione è aumentata a dismisura negli ultimi 30 anni, da 28.000 a 64.000, grazie alle politiche di popolamento e la costruzione di nuovi quartieri, nonchè ai grandi piani di rilancio della coltivazione delle terre in tutto il Lazio e l'Umbria, dalle quali si riversa nella capitale un enorme quantità di prodotti ortofrutticoli. L'Umanesimo vince sull'oscurantismo religioso e gli stessi Papi negli anni sono diventati dei grandi cultori delle lettere classiche, della pittura e della scultura, l'Urbe è tornata a fiorire. In Italia lo Stato Pontificio comincia a fare paura a tutti, essendo praticamente il più grande stato solido e forte tra tutti i piccoli potentati in continua lotta: in Europa si teme che l'Italia possa essere conquistata nelle decadi future dal gigante romano in continua espansione, che si mostra sempre più aggressivo nella poltica internazionale. La Spagna e la Francia non vogliono che l'Italia venga ricondotta sotto un unico potere, soprattutto se italiano. Lamberto I e la Curia Romana sono consci della potenza dello Stato Pontificio: un solo problema continua a piagarlo, le spese e la crisi economica. A quanto pare le utlime conquiste non sono bastate a rimpinguare propriamente le casse pontificie, e i poteri romani cominciano così a spostare il loro sguardo su Firenze. Firenze, retta ancora da Piero de' Medici ( it.wikipedia.org/wiki/Piero_il_Gottoso ), ha subito nella guerra contro Siena e Ferrara un gravissimo blocco alla sua espansione. Prima della guerra Firenze era una città floridissima, adesso la sua è economia in crisi, i suoi traffici commerciali sono bloccati, molte delle sue banche fallite, i suoi territori sono devastati, la leva in massa di milizie ha levato molti uomini alle attività produttive, il costo delle armate è altissimo: solo ora, con l'intervento di Roma nelle vicende della guerra, i Medici hanno preso una boccata d'aria, e possono cominciare a pensare ad un futuro migliore. Tuttavia per il Papa la Signoria Florentina è ora solo un territorio frammentato e circondato dai domini romani, che hanno esteso l'egemonia del Papa su quasi tutta la Toscana. Firenze è in crisi, sarebbe facile approfittare della situazione. Lamberto I, dopo essersi consultato a lungo con la Curia, decide che Firenze debba essere annessa allo Stato Pontificio: la mossa è rischiosissima, soprattutto considerato che i commerci dei Medici sono vitali per le attività economiche in Francia, contando anche i vari prestiti fiorentini al re francese. La Francia potrebbe anche decidere di dichiarare guerra allo Stato Pontificio a seguito di una simile campagna.

Nel 1470 il Papa scomunica Taranto in un momento critico per il Principato meridionale, infatti i Calabresi hanno infatti appena conquistato l'importante fortezza di Matera e si apprestano a marciare verso le città pugliesi: gli Spagnoli non possono aiutare gli alleati pugliesi giacchè in Sardegna il Vicereame dell'isola è proprio ora in grave pericolo a causa della guerra cominciata da Leonardo Alagon ( it.wikipedia.org/wiki/Leonardo_Alagon ).
In aprile Lamberto I da l'ordine a Domenico Orsini di abbandonare Lucca e i suoi trastulli con la bella e giovane moglie per marciare su Livorno, dichiarando così guerra ai Medici: Domenico è rattristato ma è fedelissimo e ubbidisce subito agli ordini. Con delle milizie lucchesi e rinforzi provenienti da Volterra, egli marcia sulla sguarnita Livorno. La città viene cinta d'assedio il 1 maggio e viene pesantemente cannoneggiata dagli 8 pezzi d'artiglieria dell'Orsini. Aperte numerose brecce nelle mura, Domenico da ordine di marciare due giorni dopo dentro la bella città di mare e di espugnarla. All'interno di Livorno il comandante Giovanni de' Medici Capitaneus di Firenze e Signore d'Arezzo viene ucciso insieme all'esigua guarnigione. Gli Springald papali di Volterra occupano ogni angolo della città in breve tempo e Domenico Orsini si insedia, mentre le soldataglie pontificie si abbandonano al saccheggio su ordine del loro comandante. Domenico Orsini è ormai esperto di saccheggi, l'ordine del Papa è infatti quello di procurare a Roma il maggior numero di denari possibile per il mantenimento dei suoi domini. Dopo pochi giorni dalla presa di Livorno Domenico riceve l'ordine di tornare a nord e di porre sotto assedio la temuta fortezza di Massa, forte baluardo fiorentino. Domenico prepara numerose vettovaglie, assolda diversi mercenari ( tra cui alcuni suoi vecchi amici comandanti della White Company ), e si dirige verso Massa, ponendola sotto assedio in un torrido Luglio. Lo scopo sarà prendere la fortezza per fame, infatti i soldati fiorentini all'interno sono moto agguerriti, in caso di sconfitta in un assalto l'intera Toscana potrebbe essere presa dai Fiorentini.

Mura di Livorno sfondate dai Pontifici



Il 12 luglio avviene la presa di Calcide, città greca sull'isola Eubea, da parte dei Turchi ai danni di Venezia.
In autunno Leon Battista Alberti Accorsi con i suoi soldati compie una manovra azzardata: attraversa la Padana, scende dall'Appennino verso Firenze e la pone sotto assedio. All'interno della città vi è il comandante Giampaolo d'Angiò, Gran Consigliere fiorentino e Signore di Livorno, con diverse centinaia di miliziani, in particolare i temuti e rinomati Sergenti dell'Otto: tutta la città trema. Non solo nessuno si aspettava la guerra da parte del Papa, che fino ad ora sembrava aver voluto aiutare i Medici, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un esercito papale avrebbe potuto mettere la stessa Firenze sotto assedio. I Fiorentini apprestano subito le difese e si preparano a resistere all'assedio. Il 15 ottobre l'Accorsi da ordine ai suoi soldati di prepararsi all'assalto di Firenze. Le bombarde ed i mortai sono disposti, le milizie mercenarie e i tiratori sono in linea, la cavalleria anche. Alle prime luci dell'alba, sotto un cielo grigio, le artiglierie romane cominciano a tuonare contro le mura fiorentine nei pressi di Porta San Gallo, causando gravi danni alle fortificazioni. Aperte delle brecce, il feroce Accorsi da ordine alle artiglierie di usare proiettili incendiari e cominciare a bersagliare le zone circostanti alla porta per creare scompiglio ed incendi all'interno della città. Giampaolo d'Angiò, sotto il fuoco papale, da ordine alle milizie di disporsi presso le brecce e di prepararsi a sostenere l'assalto romano, che appare imminente. L'Accorsi infatti da ordine alla sua cavalleria di caricare all'interno di Firenze con tutte le sue truppe: agli archibugieri viene dato l'ordine di disporsi vicino alle mura per coprire con il loro fuoco l'assalto. Con un grido di battaglia i cavalieri romani mettono la lancia in resta e, sotto un cielo solcato da proiettili incendiari che si vanno a impattare contro le fortificazioni nemiche, si lanciano alla carica verso Firenze. I soldati dell'Angiò tirano colpi di balestra dalle mura ma perdono diversi uomini a causa dei colpi degli archibugieri toscani al soldo papale. La cavalleria romana si lancia nella breccia e comincia a combattere selvaggiamente contro i miliziani fiorentini. La lotta è tremenda, i cavalieri romani sciamano in città da tutte le parti mentre i prodi lancieri fiorentini fanno di tutto per uccidere i cavalli e disarcionare i cavalieri nemici. Tutto attorno nella città esplodono colpi di bombarda che lanciano alte nel cielo ampie fiammate e terribili fragori. Nelle urla centinaia di uomini vengono uccisi a colpi di lancia e di spada, mentre i tiratori di entrambi le parti cercano di bersagliarsi nella mischia alzando nuvole di fumo e facendo saettare nugoli di frecce. Il sangue viene sparso nelle strade, nei vicoli, nei giardini e nelle piazze della stupenda ed inimitabile città toscana, mentre il fuoco divora diversi edfici. I Sergenti dell'Otto combattono eroicamente resistendo a diverse cariche romane. Nella mischia l'Accorsi avvista l'Angiò, e da ordine alle sue guardie a cavallo di ucciderlo. L'Angiò viene raggiunto nella mischia, e dopo aver abbattuto numerosi cavalieri romani, viene ucciso e travolto dalle truppe papali in avanzata. I combattimenti si spingono fino alla piazza del Duomo ( con la splendida Santa Maria del Fiore cosacrata fra l'altro 34 anni prima da Papa Eugenio IV ): qui gli ultimi fiorentini fanno corpo uccidendo molti soldati papali, ma alla fine vengono sopraffatti ed uccisi. Accorsi non crede a quello che vede, Firenze è caduta in mano romana: più di 1000 soldati papali sono morti. Subito i soldati romani innalzano i vessilli pontifici sulle torri e sui palazzi e saccheggiano Firenze con grande ferocia. Roma otterrà dal sacco di Firenze 19.000 fiorini. La notizia allarmante della caduta di Firenze si diffonde in tutti i reami cristiani: ormai il Papa ha ottenuto un potere enorme, se una delle più grandi, ricche e floride città d'Italia è caduta nelle sue mani, nessuno stato da solo italiano sembra più in grado di fermarlo da solo. La Chiesa di Roma è cambiata molto dal Concilio di Costanza, ha riguadagnato la forza e la dignità che la storia le aveva strappato. I Medici vedono crollare per sempre l'unità del loro governo.

Il cannoneggiamento di Firenze presso Porta San Gallo



I Sergenti dell'Otto contro la cavalleria romana nell'assalto di Firenze


Dopo pochi mesi Federico III da Montefeltro Signore di Gubbio parte per ordine di Papa Lamberto I dalla sua bella residenza eugubina per mettere sotto assedio la fortezza fiorentina di Arezzo, ultima roccaforte libera dei Medici. L'armata pontificia di 1.500 uomini giunge ad Arezzo in autunno e comincia a costruire il necessario per l'assedio intorno alla citta: essa è composta prevalentemente da tiratori, ballistari, archibugieri, arcieri e un ribault mercenario, non c'è alcuna unità di fanteria, nè di cavalleria fatta eccezione della guardia di Federico III.
Nel frattempo in Toscana le milizie papali conquistano gli sguarniti borghi di Empoli, Castelfiorentino e Poggibonsi, abbandonati dalle milizie fiorentine in ritirata.

Nel 1471 Milanesi e Calabresi partecipano alla crociata contro Ragusa. In febbraio l'armata crociata bosniaca viene annichilita dai Turchi vicino alla stessa Ragusa, le perdite per la Bosnia sono impressionanti, si parla di oltre 2000 morti sul campo. A marzo viene massacrato dalle milizie di Astorre Manfredi il nobile romano Guido Borghese che, preso il comando di poche centinaia di contadini e ribellatosi al Papa, aveva cominciato a devastare le campagne romagnole. Un eretico viene condotto al rogo dall'Inquisizione a Pisa. Lamberto I fa pratica di governo.
Mentre l'assedio di Massa continua come prestabilito, quello di Arezzo viene bruscamente interrotto. Da un luogo non bene identificato dell'Appennino, il Signore di Firenze Piero de' Medici, alla testa di 1000 uomini ben armati e disciplinati, attacca le truppe di Federico III di Montefeltro. La battaglia ha luogo in un incantevole paesaggio vicino ad Arezzo, su dei colli boscosi e freschi. Piero de' Medici è un grandissimo comandante, può schierare molta fanteria pesante di espertissimi cavalieri aretini ed un nutrito gruppo di balestrieri pisani, desiderosi di sfogare sugli odiati papali l'odio derivante dalla caduta della loro bella città. Federico III schiera il suo esercito di tiratori su un'unica linea, sperando di contrastare l'avanzata fiorentina come più volte fatto dalle armate romane in passato: tra i suoi ranghi vi sono anche ballistari eugubini, rinomati e affidabili, reduci dell'assedio di Ancona. La battaglia ha inizio in tarda mattinata, sotto un bel sole caldo. Le truppe di Piero si lanciano subito all'assalto di quelle romane, sotto un'intensissima pioggia di frecce e piombo. Molti prodi cavalieri aretini cadono esanimi nell'erba. Nonostante le perdite i Fiorentini raggiungono presto i ranghi romani e cominciano a mietere vittime tra le schiere nemiche: ai possenti cavalieri aretini, con le loro spade, basta assestare un buon colpo per tagliare a metà un soldato papale e si fanno in questo modo strada tra i ranghi nemici. Piero stesso e la sua cavalleria si gettano con impeto nella battaglia. Federico, vedendo la situazione volgere a suo sfavore, si getta anch'egli nella mischia. I colli sui quali si svolge la battaglia sono teatro di uno spargimento di sangue impressionante: i papali fanno piovere colpi da tutte le parti, mentre i fanti fiorentini combattono contro di loro e la cavalleria di Federico. Mentre si trova nella mischia, Federico viene passato da parte a parte dalla spada di un cavaliere fiorentino ed il cadavere rimane in sella al cavallo che si allontana spaventato nei boschi vicini. Le truppe fiorentine gridano rincuorate e l'armata pontificia appare ormai perduta. I ballistari pisani appoggiano alacremente la fanteria mentre i tiratori papali arretrano sulle colline continuando a scaricare colpi di moschetto e frecce sugli avversari: i combattimenti e le imboscate continuano durante tutta la giornata, fino a che i papali fuggono definitivamente dal campo. La sconfitta romana è pesantissima: oltre 1200 morti rimangono sul campo, contro solo 500 fiorentini, Piero guarda il campo di battaglia stanco ma soddisfatto. Molti dei soldati papali riusciti a sopravvivere al massacro riparano a Città di Castello. Piero de' Medici e le sue truppe gioiscono della splendida vittoria e rientrano ad Arezzo accolti da una folla festosa: gli odiati Romani sono stati ricacciati! Forse i Medici riusciranno a recuperare Firenze! Per tutta la Toscana si sparge la voce della vittoria fiorentina, guadagnata grazie al valore e alla forza delle milizie medicee. Nella stessa Firenze Accorsi da ordini alle forze di guardia di tenersi pronte ad eventuali rivolte cittadine.

La battaglia di Arezzo



La morte di Federico III da Montefeltro



Lamberto I viene raggiunto dalla notizia della sconfitta e rimane molto amareggiato: Piero è ora una spina nel fianco dei domini papali. Alcune milizie fiorentine si spostano pericolosamente fino nei pressi di Perugia, facendo tremare la città.
Dopo pochi mesi Svizzeri e Spagnoli decidono di partecipare anche loro alla crociata contro Ragusa. Nel frattempo la Confederazione Svizzere e Venezia si dichiarano guerra.
A dicembre, la cittadella di Ferrara si arrende alle truppe romane: Condulmer massacra senza problemi gli ultimi e irriducibili nobili ferraresi che preferiscono la morte al dominio pontificio che si sono lanciati in un ultimo vigoroso e coraggioso assalto contro le truppe pontificie. Il resto della nobiltà estense invece fugge verso nord, abbandonando per sempre la propria patria. Marco Condulmer entra a Ferrara in una grigia mattina autunnale, guardato da un popolo che lo odia ma che non può fare altro che accettare il suoi dominio: il grande condottiero veneziano viene elogiato da Lamberto I e gli viene dato ordine di tornare a Roma. La guerra con la temibile Ferrara è finita, e il risultato è stato eccellente. Il Papa Lamberto decide di perdonare la famiglia degli Este in esilio e di ricomunicarla con la Chiesa.

La carica dei coraggiosi cavalieri ferraresi sotto le mura della loro città



Nel 1472 Lamberto da ordine al generale Guido Farnese di cingere nuovamente sotto assedio Arezzo, dopo la disastrosa sconfitta romana. Anche le sue truppe sono composte da tiratori come quelle massacrate l'anno prima da Piero de' Medici ma proprio per questo da Firenze vengono fatte arrivare delle truppe di cavalleria a supporto. In una gola dell'Appennino toscano tuttavia, i cavalieri romani cadono in un'imboscata tesagli da Piero de'Medici. I Romani perdono molti cavalieri, ma finalmente riescono a mettere Piero in fuga: questi riuscirà a rientrare a Bibbiena al sicuro. La cavalleria pontificia prosegue malconcia per la strada prevista e giunge sotto le mura di Arezzo congiungendosi con l'armata del Farnese poche settimane dopo. Pochi mesi più tardi, in giugno, gli Aretini e alcuni rinforzi inviati da Piero de' Medici cercano di obbligare i Romani a togliere l'assedio: tuttavia le linee papali, grazie alla cavalleria e schierati su un declivio, fanno ben presto strage delle nobili milizie fiorentine. I nobili aretini combattono coraggiosamente ma sopraffatti dal tiro degli archibugi e dalle cariche guidate da Guido Farnese sono costretti a fuggire. Dopo pochi giorni Arezzo si arrenderà e sulle sue torri sventolerà il vessillo pontificio. La delusione per tutta la Toscana dilaga nei cuori di coloro che speravano un ritorno dei Medici. 1600 sono i soldati toscani morti ad Arezzo, e solo 184 le perdite papali.

Seconda battaglia di Arezzo



Il colpo più grande e definitivo alle truppe fiorentine viene dato a Massa: qui Domenico Orsini ( con 1900 soldati ), impegnato nell'assedio viene raggiunto da oltre 2100 soldati capitanati dal generale fiorentino Neri Capponi ed il nobile Gambacorti. All'ultimo momento l'esperto Orsini fa salire le sue truppe nei pressi di Arni sulle Alpi Apuane: qui l'esercito pontificio viene assalito su tutti i lati dalle truppe fiorentine ma riesce, grazie alla posizione difensiva, agli sforzi dei picchieri e al costante tiro di frecce e piombi a ricacciare le milizie fiorentine giù per le valli inseguendole e massacrandole con la cavalleria. Neri Capponi muore in combattimento, mentre Gambacorti riescea fuggire. Alcuni Fiorentini implorano pietà e Orsini decide di lasciarli liberi. La disfatta fiorentina è totale: i toscani lasciano sul campo 1800 morti, contro solo 542 pontifici. Questo è il prezzo di chi vuole attaccare un esercito ben attestato su un monte. Le truppe dell'Orsini corrono rapacemente verso la fortezza di Massa e la espugnano con i soliti modi brutali.

Battaglia di Arni sulle Apuane, fuga dei Fiorentini



La sconfitta militare viene seguita da una sconfitta simbolica: Condulmer, di sua spontanea iniziativa e a marce forzate, si dirige con le sue soldataglie private fino a Bibbiena, cingendola sotto assedio. Piero de' Medici al suo interno non vede arrivare alcun tipo di rinforzo e si rassegna: Condulmer fa preparare alcuni cannoni a organo mercenari collezionati durante le sue campagne e sfonda le fortificazioni di Bibbiena. Il generale veneziano, essendo un valoroso e odiando i combattimenti sleali, decide di avanzare dentro la città seguito solo dai suoi cavalieri della guardia, senza il grosso dell'esercito: egli vuole che le sue guardie si affrontino con quelle del Medici, 51 uomini contro 56. Gli uomini d'arme di Condulmer si introducono a Bibbiena e subito ingaggiano un tremendo combattimento con le truppe di Piero. I duelli sono mirabili, essendo entrambi i comandanti e cavalieri molto ben addestrati e risoluti: tuttavia i cavalieri di Condulmer sono molto più brutali ed avvezzi ai combattimenti rispetto a quelli di Piero. Piero de' Medici combatte abilmente, dimostrando tutto il coraggio e l'abilità di un fiorentino: cadrà da prode nella mischia insieme a tutti i suoi compagni. Bibbiena viene occupata dalla piccola forza pontificia. Condulmer massacrerà poche settimane più tardi 600 soldati fiorentini che erano riuscite a sopravvivere nelle campagne fiorentine e a masscrarli.

Schieramento delle artiglierie pontificie a Bibbiena

Uccisione di Piero de' Medici

Gli ultimi sostenitori dei Medici si sentono perduti, l'intero dominio di Firenze è in mano al Papa, Piero è stato ucciso, tutti gli altri eserciti sono stati sbaragliati e non c'è più sperazna di vincere la guerra. L'ultimo capitolo delle guerre in Toscana si conclude tragicamente a ottobre presso Sarzana. Qui il Gambacorti ha riordinato il suo contingente di superstiti della battaglia di Massa, questo è l'ultimo esercito fedele ai Medici. L'esercito lealista è composto da 1500 soldati male armati, affamati e stanchi: Domenico Orsini attacca lo schieramento nemico nei pressi di Sarzana il 2 ottobre. L'artiglieria pontificia apre il fuoco mentre i Fiorentini mandano avanti la cavalleria. I tiratori romani vengono presto raggiunti dai nemici e subiscono gravissime perdite, molti di loro fuggono. Il Gambacorti si dirige dentro la mischia facendo strage dei Romani, ma il resto del suo esercito viene pesantemente bersagliato e accerchiato: la cavalleria romana chiude a tenaglia lo schieramento toscano causando la rotta di tutti i suoi reparti. Gambacorti riesce a fuggire fuori dallo schieramento ma viene raggiunto e ucciso. I soldati pontifici massacrano senza pietà tutti i soldati nemici in fuga. Alla fine della giornata la guerra è vinta. Dopo molti anni, lo Stato Pontificio ha raggiunto nuovamente la pace! Roma esulta e in tutto lo Stato Pontificio si celebra la vittoria. Papa Lamberto celebra numerose messe per tutti i prodi caduti nel corso delle campagne militari. L'Orsini e il Condulmer vengono a buon titolo celebrati come i migliori comandanti che l'Italia abbia mai visto da lungo tempo: il loro genio ha permesso allo Stato Pontificio di riacquistare forza e potere. Le grandi vittorie militari di Roma sono state ottenute grazie a metodi innovativi, dinamici, facendo uso delle armi da fuoco, ancora poco utilizzate nel resto d'Italia e facendo affidamento più sui tiratori delle milizie cittadini che sui costosi nobili. La Penisola Italica è quasi per metà in mano al Papa, e le potenze straniere temono Roma enormemente.

Battaglia di Sarzana



Nel 1473 cambia l'asse delle alleanze nel centro e sud dell'Italia. Lamberto I e la Curia Pontificia constantano che la Spagna ha allentato di molto la morsa sull'Italia. Mentre il Viceregno di Sardegna è sconvolto dalla guerra che coinvolge il territorio dell'ex Giudicato di Arborea, in Calabria le truppe spagnole non riescono a ottenere vittorie sostanziali ed il Duca di Calabria si spinge sempre di più verso Taranto. Gli Angioini stanno nuovamente prosperando dopo la crisi di metà secolo e Napoli è una delle città più ricche e potenti d'Italia. I Francesi potrebbero cercare di inserirsi più prepotentemente nelle vicende della penisola finchè gli Spagnoli avranno problemi, senza contare l'inimicizia nei confronti dello Stato Pontificio a seguito dell'annessione romana di Firenze. Il Papa decide quindi di cessare le ostilità nei confronti di Taranto e di stringere una solida alleanza con il Principato. I Pugliesi sono molto contenti di aver trovato un alleato così forte, dopo anni di contrasto con la Chiesa. A seguito di questa alleanza anche i Tarantini partecipano finalmente alla crociata a Ragusa, la quale tuttavia procede a rilento ed è segnata dalle sconfitte dei vari principi cristiani.
Nel caldo luglio romano Lamberto I si ammala: le sue condizioni si aggravano sempre di più e il 29 luglio muore, all'età di 66 anni. Con lui lo Stato Pontificio è stato ben governato e salvaguardato da movimenti ostili interni. I maggiori principi romani rendono omaggio alla memoria del Papa e si interrogano sulle possibilità che si apriranno con il nuovo conclave.

Possedimenti pontifici alla morte di Papa Lamberto I
[Modificato da Legio XIII gemina 13/09/2011 19:27]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

20/09/2011 11:35
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Tribunus Angusticlavius
Pontificatus Eugenii V (1473-1489)


il Cardinale Giovanni Aldobrandini, a 51 anni, viene eletto Papa nell'agosto del 1473 con il nome di Eugenio V. Giovanni è un religioso che ha seguito una lunga carriera ecclesiastica partendo dall'ordine carmelitano. Subito la Curia lo circonda di consiglieri esperti e senza scrupoli che gli mostrano tutti i mezzi crudeli e brutali che vengono utilizzati ormai da anni per mantenere la coesione interna dello Stato Pontificio. Ormai ogni possibilità di avere un pontefice non traviato da consiglieri maligni è perduta.
Il 1473 e il 1474 trascorrono con un grande ammodernamento dello Stato Pontificio: in tutti i territori vengono edificate nuove opere e si cerca di incrementare soprattutto l'attività culturale. A seguito della caduta di Costantinopoli molti Greci trovano rifugio in Italia e questo contribuisce notevolmente a far riscoprire la lingua e la cultura greca all'Europa occidentale. Roma è in piena espansione e con lei anche le maggiori città dello Stato Pontificio Firenze, Bologna, Ferrara, Siena, Capua, Viterbo e Fermo. Dopo le dure guerre si rilancia l'economia, si combatte l'eresia e i vassalli ribelli. La Toscana diventa un luogo di intensi scambi commerciali e si costruiscono numerosi porti: pian piano la regione si risolleva dopo le devastazioni degli ultimi anni. L'Emilia e la Romagna diventano invece un'unica grande piazzaforte militare. Vengono costruite molte caserme e soprattutto fonderie: i Ferraresi infatti educano i Romani sull'utilizzo dei cannoni, Ferrara ha infatti una grande fonderia e una tradizione nell'uso dell'artiglieria molto più avanzata di quella degli altri stati italiani. In campo amministrativo lo Stato Pontificio consente inoltre di mantenere cariche e strutture amministrative alle maggiori città conquistate, e questo aumenta la benevolenza nei confronti di Roma, nonostante la perdita della libertà.

Mentre si rilancia l'economia, sembra essere giunto il momento per una resa dei conti con il Regno di Napoli. Nel 1475 viene finalmente vinta con un gran numero di perdite la crociata a Ragusa, quando il re di Croazia riesce a guidare vittoriosamente l'assedio contro l'armata turca in difesa della città: poco dopo l'evento Eugenio V scomunica il re di Napoli Giovanni I di Lorena per aver continutato la guerra contro Taranto e non essere stato capace di ottenere un ruolo dominante nella scorsa crociata e di non aver preso Ragusa, una scusa, e Giovanni la comprende bene. Roma è interessata alla ricchissima Napoli. Il "ragno universale", re Luigi XI di Francia, comprende bene anche lui le perplessità degli Angiò.
Nel 1475 gli Svizzeri riescono a conquistare Ivrea e Torino ai Savoia! Tuttavia la casata savoiarda è fortemente determinata a resistere e comincia la sua riscossa.

Nel 1476 riscoppia la guerra tra Milano e Venezia: Mantova appoggia i Milanesi e si inimica Venezia. Nel frattempo Eugenio V da ordine ai generali Domenico Orsini, Marco Condulmer, Abbate de Papa e Accatto della Rovere, di reclutare dei nuovi eserciti e di spostarsi verso il confine meridionale con il Regno di Napoli. Pare che la guerra sia molto vicina. I 4 generali ubbidiscono agli ordini del Papa.

Nel 1477 dopo la sconfitta di Ragusa, i soldati dell'Impero Ottomano devastano Croazia, Slovenia e la Cariniza degli Asburgo: successivamente entrano in Italia varcando l'Isonzo e giungendo fino al Piave. Il 5 gennaio avviene la battaglia di Nancy: Carlo il Temerario viene ucciso e la Borgogna diventa parte della Francia, dopo tanti anni di guerra, ecco la vittoria francese. Nonostante questi eventi infausti, Eugenio V da ordine ai suoi generali di attaccare il Regno di Napoli.
Il ventunenne Accatto della Rovere muove con la sua armata di tiratori veterani da 1990 uomini verso Pescara passando il fiume Vomano. Nei pressi di Pescara è stanziato un esercito angioino costituito da 2230 uomini: il comandante francese, dopo aver ricevuto la notizia dell'arrivo dell'esercito papale che sta già devastando le campagne, da ordine di marciare verso di esso. Il 19 Aprile, presso Città Sant'Angelo, le truppe papali ed angioine si incontrano. Accatto della Rovere è un giovane coraggioso, ma non ha le grandi qualità richieste ad un generale in un simile frangente: l'esercito francese è molto numeroso e ben armato, un esercito costituito prevalentemente da tiratori, seppur veterani, avrà difficoltà a sconfiggerlo. La battaglia è sanguinosissima, probabilmente uno dei più grandi massacri a memoria d'uomo: le truppe napoletane, salendo il colle sul quale è schierato l'esercito nemico, si lanciano sulle schiere pontificie con grande impetp. Come sempre i papali bersagliano in continuazione le linee nemiche ed i morti si contano a centinaia. Accatto riesce a tenere il campo, ma compie un grave errore mandando troppo avanti il grosso dell'esercito prima di aver annientato buona parte di quello nemico. La cavalleria di baroni napoletani compie numerose cariche e uccide molti veterani papali. Lo stesso Accatto rischia di morire più volte, ma viene protetto paternamente dai suoi veterani che gli fanno scudo con i loro corpi. La vittoria va allo Stato Pontificio, ma l'esercito del della Rovere non sarà più in grado di ingaggiare altre battaglie, ne condurre assalti in futuri assedi: 1320 soldati pontifici rimangono sul campo, ed oltre 2000 angioini. Alcuni prigionieri napoletani vengono riscattati e inviati a Pescara. Il malconcio esercito di Accatto marcia verso Pesacara e la pone sotto assedio, con l'intenzione di prenderla per fame. La guarnigione angioina non può fare altro che attendere rinforzi, essendo anch'essa esigua.

Battaglia di Città Sant'Angelo, il campo di battaglia



Nel frattempo il quarantacinquenne Marco Condulmer, con molti cannoni moderni nuovi di zecca, pone sotto assedio ed espugna la temuta forteza di L'Aquila, una delle azioni più incredibili di tutta la campagna. All'interno di essa vi è Giovanni I di Lorena, re di Napoli: questi viene ucciso dalla cavalleria pontificia senza alcuna pietà. Nessun angioino si aspettava lo schieramento di cannoni simili a quelli portati da Condulmer, i Grandiavoli estensi con copli dal peso di 34 kg ciascuno: queste armi rendono praticamente qualsiasi fortezza inutile se non contrastati adeguatamente. Le truppe a difesa di L'Aqulia combattono eroicamente ma sopraffatti da ogni lato e con il loro re morto, vengono sconfitte. La notizia del disastro e della morte del re giunge a Napoli causando paura e sconcerto. Per la brillante vittoria, a Condulmer viene data in sposa la giovanissima principessa romana Federica Altieri, di grande bellezza e onestà. Condulmer si sente apprezzato dal nuovo papa Eugenio V. Subito dopo le celebrazioni Condulmer marcia verso l'altra grande fortezza angioina di Chieti e la espugna, perdendo 80 cavalieri e massacrando la guarnigione di 400 uomini: in questo modo egli elimina una minaccia per le truppe di Accatto della Rovere impegnate a Pescara. Successivamente sempre lo stesso Condulmer massacra dei vassalli fedeli agli Angioini nelle valli abruzzesi.

Le mura di L'Aquila


Giovanni I di Lorena in combattimento


L'assedio di Chieti



Il fronte caldo della campagna viene lasciato a Domenico Orsini, per il grande valore dimostrato in Toscana. Questi giunge a Capua con il suo esercito e di li si dirige verso Aversa, contro un'armata napoletana di 1978 uomini. Le truppe dell'Orsini sono compste da milizia cittadina e poche unità d'elite, tuttavia hanno diversa artiglieria e un ottimo morale, anche grazie al loro comandante. Le truppe angioine attendono i Romani ai piedi di un colle dal quale si vede il mare, la giornata è assolata e calda. Per sconfiggere l'armata nemica, i soldati dell'Orsini devono lanciarsi su per la collina e tenervi il campo. L'Orsini non si scoraggia, così decide di cominciare un bombardamento sulla collina con i trabucchi e le bombarde. Le truppe angioine fanno scendere per il colle diversi tiratori che cominciano a colpire le truppe papali riuscendo ad incendiare un trabucco. L'Orsini da ordine alla cavalleria di distruggere i tiratori nemici e alla fanteria di salire il colle. Sotto una pioggia di frecce i cavalieri romani massacrano i tiratori napoletani, mentre il grosso della fanteria angioina comincia minacciosamente a scendere lungo la collina. Entrambe le armate, non essendo composte da soldati particolarmente qualificati bensì da milizie cittadine, si scompongono e ingaggiano combattimenti disordinati. Lungo tutta la collina papali e angioini si massacrano sotto una pioggia intensissima di frecce: i papali sono costretti, per terrorizzare i nemici, a far tirare i trabucchi in mezzo alla mischia senza fare distinzione tra amici e nemici. La battaglia è dura ma l'Orsini riesce con la sua cavalleria di mercenari a mandare in rotta gruppo per gruppo l'armata angioina. Alla fine della giornata la vittoria sarà romana, ma a costo di 621 soldati: i Napoletani perdono 1823 uomini. Domenico Orsini marcia quindi verso Napoli, sicuro di poterla prendere, ma i 1400 soldati napoletani al comando di Giovanni Gaggini Merlin Governatore di Napoli e Consigliere delle finanze napoletane, impediscono all'Orsini di approntare un assedio. Napoli appare una città inespugnabile.

La battaglia di Aversa



Nello stesso tempo, Abbate de Papa, vescovo di Benevento, marcia verso Foggia con il suo esercito di nobili cavalieri appiedati. A settembre, poco prima di raggiungere Foggia, Abbate viene aggredito da un esercito angioino di notevole potenza. La mattina del 2 settembre, 1785 soldati pontifici e 2600 soldati angioini comandati dal Principe Alberto Duca di Andria e Primo Consigliere del Regno di Napolo si danno battaglia nei pressi di Troia. La formazione papale è disposta su un pendio e può contare su artgileria, cavalleria e fanteria di professionisti; le truppe angioine sono composte per la maggior parte da miliziani, tiratori e catapulte provenienti da Foggia e Manfredonia.
Alle prime luci dell'alba i Napoletani avanzano contro le linee papali cercando di diminuirne la compattezza con i tiri di catapulta: le bombarde pontificie riescono a mettere fuori uso le macchine napoletane e a fare gravi danni contro la fanteria. Abbate interviene più volte con la sua cavalleria nella mischia per aiutare i nobili impegnati nello scontro contro le prime linee francesi arrivate contro di loro. I Napoletani continuano ad assaltare in gran numero, ma la qualità romana è ampiamente superiore al numero angioino. I cavalieri di Benevento fanno a pezzi le milizie napoletane con grande spargimento di sangue e senza arrestarsi di fronte a nulla. Artiglieria, tiratori, cavalleria e fanteria, congiunte, dimostrano tutta la loro potenza. I soldati angioini cominciano a fuggire dal campo falciati da frecce, colpi di bombarda e incalzati dalla cavalleria. La vittoria è molto grande poichè con questa armata i Romani riescono ad annientare l'ultimo esercito di grandi proporzioni in mano agli Angioini. Solo Napoli potrà causare dei gravi problemi ai Romani. Abbate de Papa marcia su Foggia e Troia poi mette sotto assedio Bovino, saccheggiando e uccidendo nelle campagne circostanti.

La battaglia di Troia, particolari




Il massacro di Bovino



Nel 1478 la campagna nel Regno di Napoli continua, e vengono massacrati gli ultimi scarsi contingenti francesi. A Bovino si consuma il massacro delle truppe napoletane che si erano asserragliate in città, le truppe di Abate de Papa li passano tutti a fil di spada. Successivamente sempre Abbate pone sotto assedio Manfredonia, rimasta praticamente sguarnita dopo le disastrorse sconfitte campali angioine e, dopo poche settimane, la espugna. Da qui vengono reclutati degli esperti arcieri pugliesi che saranno molto utili nel proseguimento della campagna. Condulmer invece marcia verso Termoli e la conquista, causando 1000 morti al nemico e perdendo 120 dei suoi soldati: come sempre le nuove artiglierie mostrano tutta la loro potenza e sono vitali nella presa della città: Condulmer si insedia a Termoli e riorganizza l'esercito, godendosi il mare e la sua giovane moglie, che lo ha raggiunto da L'Aquila. Nello stesso anno Eugenio V scomunica la Confederazione Svizzera causa dei reiterati attacchi contro i Savoia. I Turchi con delle soldataglie giungono fino in Veneto, la Serenissima invia subito delle truppe a contrastarli. A Giornico nel Canton Ticino le truppe svizzere sconfiggono l'esercito del duca di Milano, sanzionando la definitiva rinuncia dei milanesi al controllo della Val Leventina.

Nel 1479 cade Pescara, arrendendosi alle truppe di Accatto della Rovere dopo duri anni di assedio: la città viene saccheggiata. In Umbria scoppiano delle epidemie di peste che causando centinaia di morti. Eguenio V da disposizioni per cercare di arginare la piaga, ma la malattia si diffonde in fretta, e le morti piegano fortemente l'economia delle regione. Nel frattempo Domenico Orsini non riesce ad avvicinarsi a Napoli: le truppe francesi fanno veramente un ottimo lavoro per tenerlo lontano e salvaguardare la città. Nei pressi del Vesuvio egli riesce tuttavia a prendere di sorpresa e a distruggere un'armata francese di 500 uomini giunta in soccorso di Napoli via mare dalla Provenza. Giovanni Gaggini Merlin cerca in ogni modo di chiamare aiuti dalla Francia e trova poche difficoltà essendo la flotta pontificia pressocché inesistente. Venezia conclude la pace con l'Impero Ottomano perdendo tutti i propri possedimenti in Grecia e Scutari. Le soldataglie turche se ne vanno dal Veneto ma vengono intercettate da un'armata papale che le elminano non senza difficoltà. Nel frattempo Eugenio V diventa sempre più esperto nel mantenere il potere. Ogni personalità sgradita che passa per lo Stato Pontificio viene puntualmente assassinata: i mercanti romani godono di particolari "aiuti", che prevedono l'eliminazione fisica dei vari concorrenti più esperti. L'Inquisizione diventa sempre più inflessibile ed oppressiva, i processi si moltiplicano in tutta Italia e molti eretici finiscono bruciati sul rogo. Eugenio V diventa ben presto un temuto tiranno, a tutto beneficio della solidità dello Stato, nessuno osa opporglisi ed il popolo ne ha paura.

Battaglia di Termoli



Nel 1480 una poderosa flotta turca giunge per ordine del sultano Maometto II a Rodi per scacciarne i Cavalieri, i quali con forze ridottissime respingono tutti gli assalti e costringono gli assedianti ad una precipitosa ritirata. Tuttavia dopo poco tempo la flotta navale turca sferra per ordine del sultano un grande attacco all'Italia: le truppe turche sbarcano ad Otranto e la pongono sotto assedio. Il Principato di Taranto trema: il Duca di Calabria ha definitivamente scacciato gli Aragonesi da Reggio ed ha posto la stessa Taranto sotto assedio; da est arriva la minaccia turca. Eugenio V è preoccupato: egli vorrebbe intervenire contro i Turchi e i Calabresi ma finchè Napoli rimarrà in mano angioina non si potranno spostare le armate dalle zone di guerra. Eugenio rimprovera Domenico Orsini, il quale non può impegnarsi nell'assedio di Napoli finchè continueranno ad arrivare al nemico aiuti dalla Francia.

Nel 1481 Otranto viene saccheggiata ed abbandonata dagli Ottomani, che marciano verso Lecce. I Calabresi continuano a tenere Taranto sotto assedio, da terra e da mare, la situazione per i Tarantini è critica. Tuttavia il Monferrato, avendo acquisito numerosi porti nella guerra contro Genova ed essendo nemico dei Francesi, decide di inviare una flotta a bloccare il porto di Napoli. La città rimane senza approvvigionamenti. Domenico Orsini, pressato dal Papa e ritenendo la situazione favorevole, decide di assaltare Napoli. Lo scopo dell'Orsini è quello di danneggiare pesantemente le mura della città e di fare numerose vittime nella guarnigione napoletana: la presa della città è improbabile, ed un piano di ritirata è già stato studiato. Il 17 luglio le truppe pontificie giungono a Napoli in prossimità di Porta Capuana, cominciando a bersagliarla pesantemente con l'artiglieria. La giornata è soleggiata e gli Angioini osservano nell'aria limpida l'esercito pontificio dalle mura della maestosa città, il Golfo di Napoli si mostra in tutta la sua bellezza. Domenico Orsini fa avanzare i picchieri dentro le brecce e porta dei tiratori alle loro spalle per mantenere una certa copertura. Dalle torri napoletane vengono scagliate frecce, colpi di archibugio, pietre e qualsiasi altra cosa possa arrestare l'avanzata pontificia. Giovanni Gaggini Merlin assiste all'assalto alle spalle delle sue truppe. Le fortificazioni napoletane sono molto forti ma le milizie a loro difesa non sono a un livello di professionisti. Dopo una sanguinosa lotta i picchieri pontifici, ormai veterani di una guerra durata diversi anni, riescono a massacrare i primi soldati a difesa delle fortificazioni e a penetrare in città. Giovanni Gaggini Merlin ed il resto delle sue milizie li raggiungono subito bloccando le milizie romane per le vie di Napoli. Tra duelli e tiri di frecce, l'Orsini da ordine agli archibugieri di salire sui tetti dei palazzi e tirare dall'alto sulle schiere nemiche. La cavalleria di Gaggini Merlin causa molte vittime tra la cavalleria e i picchieri romani. Nel frattempo i trabucchi pontifici lanciano proiettili incendiari tutto attorno alla zona degli scontri, distruggendo numerose postazioni angioine e diffondendo il fuoco nella città. I combattimenti proseguono intensi durante tutta la giornata magna cum violentia, ma alla fine Giovanni Gaggini Merlin viene ucciso da un picchiere romano: le truppe angioine si ritrovano senza un capo, assaltate dalla cavalleria e dalla fanteria pontificie, non hanno più scampo. Alcuni dei soldati francesi e napoletani si arrendono subito alle milizie romane, altri combattono fino alla morte per proteggere la città così amata e importante al livello internazionale, finendo massacrati. A sera tutti i soldati angioini sono stati o uccisi o catturati. Napoli è caduta. Dal Golfo di Napoli la flotta monferrina fa tuonare numerose salve alla vista dei vessilli pontifici innalzati dagli uomini d'arme pontifici sulle torri del maestoso Maschio Angioino, simbolo di un potere straniero in Italia ormai scacciato. A Roma la notizia della presa di Napoli viene celebrata con enormi feste, i Francesi sono stati cacciati dall'Italia! Eugenio V si riconcilia con Domenico Orsini e lo fa ricoprire di titoli e di gloria. Mentre a Roma si festeggia, tuttavia Napoli viene saccheggiata senza pietà: migliaia di civili vengono sottoposti a gravi violenze, centinaia moriranno. Il sacco di Napoli frutterà 43.000 fiorini a Roma, una cifra esorbitante, degna della nobile, bella e prestigiosa città. In breve tutti gli ultimi ribelli del Regno vengono scovati e massacrati, i Francesi hanno perso ogni speranza di rimettere piede sul suolo napoletano. La Francia non dimenticherà mai questo affronto. Rimane solo una possibilità in vero, e cioè il Ducato di Calabria, rimasto in parte fedele agli Angioini.

La battaglia di Napoli



Nel 1482 Domenico Orsini, dopo aver sistemato tutte le cose a Napoli ed avervi lasciato delle milizie di guardia, si dirige nelle montagne verso Salerno, dominio del Ducato di Calabria. La città di mare viene raggiunta il 20 febbraio e posta sotto assedio. All'interno di Salerno c'è il Duca calabrese Roberto il Malevolo ( di 62 anni ), Conte di Lauria e circa 600 lancieri della milizia ben armati. L'esercito dell'Orsini è molto forte: oltre a bombarde e trabucchi, nell'armata sono presenti cavalieri professionisti, mercenari, balestrieri, picchieri, guardie papali, rotularii dell'Ordinanza napoletani e archibugieri. Le mura settentrionali di Salerno vengono forzate e distrutte e la fanteria romana irrompe nelle mura. Il Duca Roberto cerca di contrastare in ogni modo l'assalto romano ma finisce ucciso, insieme a tutta l'armata. Salerno viene occupata, saccheggiata e ben presidiata, sapendo che nelle città del Cilento ci sono molte truppe calabresi pronte ad intervenire.
La Francia, avendo perso ogni possibilità di tornare nei territori napoletani, visto il grande numero di soldati pontifici, decide di firmare una pace temporanea con il Papa. Eugenio V acconsente e i due popoli cessano le ostilità. Tuttavia ritorna un grande incubo: la Grande Lega viene riformata, e questa volta proprio su impulso del re di Francia. Dopo molti anni, i potentati del nord Italia vogliono sbarazzarsi di Venezia, per poter forse poi concentrare in seguito i loro sforzi contro lo Stato Pontificio. Venezia non sa cosa fare: il Papa ha appena dichiarato guerra ai Calabresi ed il conflitto si protrarrà per anni senza possibilità di disimpegnare contingenti dal fronte. Eugenio V chiede a Venezia di resistere e si accorge impotente di fronte alla Grande Lega. La Lega viene inizialmente composta dalla Francia, Milano, Mantova, i Savoia, la Confederazione Svizzera, Genova, Croazia e Monferrato ( nonostante quest'ultimo sia contro gli interessi francesi ). Contro tutti questi nemici sembrerebbe inutile schierarsi, pensa Eugenio V. Solo gli Asburgo rispetto alla prima coalizione rimangono fuori, ma sono pronti a marciare sui territori veneziani qualora questi dovessero ribellarsi all'autorità del Doge. L'obiettivo della Lega è prendere solamente la città di Venezia: eventualmente chi vorrà proseguirà la guerra. A Roma si teme la caduta di Venezia. Nel frattempo Marco Condulmer, dopo un meritato riposo a Termoli va a Manfredonia: qui raduna molti cavalieri, archibugieri e soprattutto gli esperti arcieri pugliesi, molto rinomati; ovviamente non si separa dai suoi potenti cannoni. Rimasto a Manfredonia per i preparativi, si dirige verso Tricarico, città attualmente in mano al Duca di Calabria. I Tarantini tirano un sospiro di sollievo: sebbene le armate turche da poco sbarcate in Puglia tengano Lecce sotto assedio, l'assedio calabrese di Taranto viene tolto immediatamente, lasciando la città ed il suo porto nuovamente libera. Condulmer tuttavia rimane così circondato da un immenso numero di armate calabresi presso Oppido Lucano: sapendo che i Calabresi faranno la prima mossa confidando nel numero, Condulmer si attesta in una posizione difensiva e allestisce gli accampamenti invernali.
Nello stesso anno viene dipinta La Primavera di Sandro Botticelli :).

La battaglia di Salerno



Nel gennaio del 1483, un'armata di 2500 Calabresi attacca Marco Condulmer e i suoi 1600 uomini. Condulmer riesce a vincere molto facilmente: i soldati nemici sono impacciati nei monti, egli possiede tiratori e artiglieria. I Calabresi vengono bersagliati di continuo e finiscono per andare tutti in rotta: il massacro calabrese è immenso, 2200 di loro vengono uccisi. La cavalleria di Condulmer perde 213 effettivi nell'affrontare la retroguardia nemica: la vittoria è notevole, ma molte armate calabresi continuano a circondare l'esercito pontificio e la perdita di così tanti cavalieri potrebbe costituire un problema in futuro per i pontifici. Eugenio V confida da Roma nel valore militare del comandante veneziano che per Roma ha già ottenuto tante vittorie in condizioni molto difficili.

Massacro calabrese presso Oppido Lucano



Nel frattempo Venezia viene posta sotto assedio da un'armata milanese e da una mantovana, la Grande Lega sembra determinata nel suo intento. Venezia soffre moltissimo dell'assedio. Un sicario pontificio riesce ad assassinare il comandante dell'armata milanese Marcello Sforza, ma l'assedio prosegue. A nulla valgono gli appelli di Eugenio V a far cessare le ostilità, anche la minaccia della scomunica sembra non fare paura a nessuno, la Lega è troppo forte.
A marzo i 1400 uomini di Condulmer vengono attaccati da un altro possente esercito calabrese guidato dal Conte di Tricarico Guido lo spietato, uno dei più grandi condottieri calabresi. L'esercito calabrese attacca da un passaggio diverso da quello dell'ultima volta, meno favorevole per l'altezza ma più ampio in larghezza: inoltre il Conte Guido schiera numerosi trabucchi e catapulte per colpire le truppe pontificie. La mattina del 28 marzo, le truppe di Condulmer vengono bersagliate da un fitto fuoco di proiettili incendiari ed egli da ordine di rispondere al fuoco, e fa distruggere quasi tutte le macchine del nemico. Le schiere romane sono difese dai prodi arcieri pugliesi che causano molte vittime tra i tiratori e la fanteria nemica a valle. Il Conte Guido sopraggiunge nella battaglia e con grande impeto lancia i suoi uomini contro le linee pontificie, ingaggiando un combattimento molto duro. Condulmer vede che i suoi uomini stanno soffrendo gravi perdite, così affianca con la cavalleria il lato destro dello schieramento nemico. I Calabresi si distinguono come ottimi combattenti, ma la ripida salita, il tiro nemico e l'aggiramento della cavalleria causano la rotta di numerosi reparti. I grandi pali di legno posti dagli arcieri pugliesi davanti allo schieramento pontificio frenano inoltre di molto l'impeto della cavalleria nemica. Il Conte Guido muore da prode nella mischia, come molti dei suoi uomini, e la battaglia è persa. Condulmer massacra nemici con la sua cavalleria quanto può fino a sera. La battaglia è vinta: muoiono 400 soldati pontifici e 1828 calabresi. Dopo questa vittoria Condulmer giunge a Tricarico e lascia che le truppe saccheggino la città: a Roma arriveranno 15.000 fiorini dopo il saccheggio.

La seconda battaglia di Oppido Lucano, il Conte Guido in primo piano, sullo sfondo le linee romane



In Calabria la nobiltà comincia a preoccuparsi. Domenico Orsini conquista Lauria con pochi sforzi ed anche qui i pontifici devastano la città: inoltre Accatto della Rovere sta marciando con molti soldati verso Rossano, attraverso la Lucania. Un assassino calabrese riesce ad uccidere il povero Accatto con una pugnalata alla schiena: quando le guardie pontificie scoprono l'accaduto l'assassino è già lontano: il povero giovane nobile genovese viene sepolto a Manfredonia. L'armata di Accatto tuttavia decide di proseguire anche senza la guida del comandante. Passando attraverso i monti, in luglio, l'armata pontificia giunge nei pressi di Rossano: una marcia apparentemente tranquilla. Tuttavia, giunto nella piana di Sibari, l'esercito pontificio viene fermato da un possente contingente calabrese, sceso da Rossano. Nella piana si affrontanto quindi 1350 soldati pontifici e1300 calabresi. Tra i ranghi calabresi si notano molti baroni del luogo armati di tutto punto e con grande esperienza in fatto di armi: i Romani possono contare su tiratori e qualche unità di nobili appiedati ben corazzata. La battaglia è un vero macello, per ore intere i combattimenti non smettono. La fanteria romana viene totalmente annientata e solo alcuni balestrieri continuano a tirare contro i baroni calabresi uccidendone a centinaia. Alla fine della giornata i Calabresi ottengono la vittoria, ma le perdite sono pesantissime, 1300 Romani e 1100 Calabresi sono morti nella piana. Rossano è piuttosto sguarnita adesso, quasi tutti i suoi difensori sono morti.

La strage nella piana di Sibari



Il 15 Agosto avviene un evento di importanza epocale: Venezia cade, espugnata dall'esercito mantovano. La pietà dei Mantovani è pressocché nulla, Venezia viene sterminata, depredata e distrutta. Il Doge e i suoi uomini riescono a riparare a terra, ma la Laguna è in mano alla Grande Lega. A nulla sono valsi gli aiuti pontifici e la flotta dell'Adriatico. La notizia fa il giro del mondo, gli stessi Turchi si rammaricano della caduta della propria rivale. La festa in tutti gli stati della Grande Lega è grande, tuttavia per molti dei suoi partecipanti è giunta l'ora di tornare a casa. I Milanesi in realtà rimangono delusi dagli sforzi contro Venezia, e i Mantovani diventano ai loro occhi non più dei fidi alleati ma degli avversari sempre più pericolosi. Le truppe veneziane non si danno tuttavia per vinte: subito si fanno piani per poter riconquistare la città, ma la coesione dello stato viene a diminuire a seguito della perdita della città. Eugenio V si rammarica enormemente.
A settembre Condulmer, distrutto dalla notizia della caduta della sua città natìa, si dirige verso Rossano ormai sguarnita e per la rabbia massacra la popolazione: egli riversa il dolore per la perdita della sua città sui sudditi e i soldati del Duca di Calabria. La stessa sorte tocca a Crotone: anche qui Condulmer sconfigge le truppe calabresi in campo aperto e marcia sulla città conquistandola. In breve tempo Marco diventa temuto da tutti i Calabresi ( ottenuto nel tratto caratteriale ;)).

La battaglia di Crotone


Contemporaneamente a questo evento, il 15 settembre, si consuma a Cosenza una delle sconfitte e delle perdite più grandi dello Stato Pontificio, ad opera del coraggio e della determinazione dei Calabresi a resistere contro il Papa. Nei primi di settembre Domenico Orsini, 55 anni, muove con i suoi 1900 armati contro Cosenza, la città meglio presidiata di tutta la Calabria. Scendendo dai colli ormai in vista della città, l'Orsini si trova di fronte un'armata nemica composta da oltre 2500 soldati. Il tempo è ottimo, il sole splende in cielo, sarà una calda giornata di battaglia. Il grande condottiero romano fa schierare le sue truppe in assetto difensivo su un colle: fanteria di nobili e di picchieri in prima linea, balestrieri in seconda, archibugieri in terza, artiglieria in quarta e cavalleria in quinta. Le truppe calabresi, guidate da Giacomo di Palermo e dal Conte Barnabò, dispongono di molte milizie cittadine, cavalleria e fanteria di baroni calabresi, cavalleria pesante, tiratori e trabucchi. La battaglia comincia con un fitto fuoco di artiglieria da entrambe le parti. I colpi sono durissimi e causano vittime in ambo gli schieramenti. Giacomo di Palermo da ordine alla fanteria di avanzare lungo la collina. I pontifici fanno piovere fuoco, frecce e piombo sulle milizie calabresi: ma queste non si demoralizzano, esse combattono per la vita delle loro mogli e dei loro figli: con un coraggio degno dei migliori nobili d'Europa, i cittadini di Cosenza si lanciano contro le schiere romane ingaggiando una lotta furibonda, sin dai primi momenti si nota l'estrema violenza degli scontri, violenza derivante dalla rabbia maturata dopo anni di sconfitte, fame e miseria. Tuttavia i nobili di Benevento nelle schiere pontificie sono molto più esperti e soprattutto corazzati, e fanno strage di miliziani calabresi: solo l'arrivo nella mischia dei più pesanti ed esperti baroni calabresi riesce a riequilibrare la situazione. Anche Giovanni di Palermo si lancia nella mischia con la sua cavalleria, rompendo i ranghi romani che fino ad allora avevano tenuto le linee. Domenico Orsini assiste alla mischia fino a che essa non giunge a coinvolgere la quinta linea, dopodichè si lancia nella lotta contro i baroni calabresi. I trabucchi romani hanno smesso di tirare perchè impegnati in combattimento. Il Conte Barnabò da ordine ai suoi uomini di assaltare la collina sul fianco sinistro dello schieramento romano. Mentre le truppe di Giacomo di Palermo vengono a fatica respinte lungo la collina, quelle del Conte Barnabò causano gravi danni allo schieramento romano, accerchiandolo. Nell'immensa confusione i trabucchi calabresi continuano alacremente a lanciare proiettili incendiari sulla mischia, incuranti delle vittime causate anche tra i loro stessi amici. La lotta è durissima, su ogni lato si combatte. Gli archibugieri romani, arretrati a causa della mischia, cercano di sparare sulla cavalleria del Conte Barnabò ma vengono raggiunti e massacrati. Domenico Orsini combatte con energia scacciando le ultime milizie di Giacomo di Palermo giù per il colle, egli non riesce perà ad evitare l'accerchiamento della sua armata. I nobili di Benevento continuano a mietere vittime senza riposo, notando però che per ogni uomo abbattuto ce n'è sempre un altro agguerrito pronto a combattere alle sue spalle. I balestrieri pontifici di Faenza, Gubbio, Spoleto e Massa sono costretti a combattere contro i baroni calabresi che, con le loro cotte di maglia ed elmi alla normanna, continuano a salire dal pianoro e a mettere in difficoltà i Romani. A intervalli regolari arrivano sulla mischia globi di fuoco che mandano in pezzi o in fiamme decine di uomini alla volta. Le urla di dolore dei feriti si levano da tutti gli angoli della mischia dove ogni forma di pietà umana sembra essere scomparsa. La situazione sta volgendo al peggio per i Romani: i cavalieri della condotta sono decimati, la fanteria è circondata, il morale irriducibile dei cavalieri di Benevento e dei rotularii dell'Ordinanza di Napoli regge, ma la battaglia appare già persa. Domenico Orsini scorge nella mischia Giacomo di Palermo e galoppa verso di lui, facendosi strada a colpi di spada tra i soldati nemici, i quali non riescono a frenare il suo impeto. Domenico ha perso tutta la sua guardia di cavalieri, tutti nobili romani veterani di cento battaglie, ormai morti nella polvere e nel sangue, egli è rimasto solo. Domenico raggiunge Giacomo e lo sfida a duello: il nobile siciliano accetta la sfida e due cominciano a combattere a cavallo con le spade, poco distanti dalla mischia. Giacomo è giovane e forte, ma ha raramente combattutto di persona; Domenico con il suo braccio ha tolto la vita a centinaia di uomini, tutti caduti sotto la sua forza e la sua brutalità. Giacomo cerca di dare un colpo dall'alto a Domenico, ma questi è più abile e con un colpo netto e preciso trafogge il cuore del giovane nobile siciliano. Domenico vede Giacomo cadere da cavallo nella polvere, con un gran fracasso. Il nobile siciliano ha giusto il tempo per guardare al cielo, chiedere perdono a Dio e muore. Domenico si guarda intorno: i suoi uomini stanno morendo sotto i colpi del nemico. Lui con il suo cavallo si può ancora salvare, ma cosa ne sarà di lui dopo in questo giorno così infausto? Cosa ne può essere di un generale vincitore di mille battaglie se egli abbandona i suoi uomini nel momento più solenne ed estremo? Domenico non ha dubbi. Se la sua anima verrà perdonata da Dio dopo aver tolto la vita a così tante persone, sarà solo per essere morto a fianco degli uomini che lo hanno servito a rischio della vita per così tanti anni. Domenico galoppa fino a portarsi in mezzo agli irriducibili cavalieri nobili beneventini, gridando loro di morire per l'onore delle loro casate, ma anche e soprattutto per la gloria di quella che un giorno diventerà, a suo avviso, l'Italia unita. I poveri cavalieri, stanchi, feriti, assaltati da ogni lato, lanciano un grido di battaglia che fa tremare nel profondo dell'anima tra i ranghi nemici il Conte Barnabò. Domenico alza la spada verso il cielo e lancia il suo grido di guerra: sprona il suo cavallo verso i baroni calabresi e ne uccide a decine: ferito più volte, viene infilzato alla schiena e disarcionato da un gruppo di miliziani cosentini, si schianta a terra con la pesante armatura, i nemici non badano più a lui e gli passano sopra incuranti. La lancia calabrese è entrata dalle reni ed esce dal petto: il dolore è immenso. Domenico osserva il cielo sopra di se: come per tanti suoi compagni e molti dei suoi nemici è giunto il momento di lasciare quel mondo. Domenico ricorda in un attimo tutti i campi di battaglia, tutti i volti degli uomini che ha ucciso, tutti i momenti di gioia e di dolore, di pace e di guerra, di amore e di odio. Le voci si confondono, una preghiera viene proferita con poco fiato, con il sapore del sangue, ma proveniente dal fondo del cuore; un velo cade sugli occhi di Domenico, e tutto per Domenico finisce. La battaglia viene perduta.
Alla fine della giornata solo 200 soldati pontifici riescono a a salvarsi dal macello: 1694 di loro sono morti, 1538 le perdite calabresi. Domenico Orsini, il più grande generale di Roma, è morto: con lui si chiude un capitolo importante della storia militare dello Stato Pontificio. La sconfitta è un colpo gravissimo per tutti i Romani: l'Orsini rappresentava per loro un nuovo console che, insieme a Condulmer, era riuscito a riportare Roma ai fasti di un tempo con i suoi brillanti trionfi. Nel dolore, molti comprendono però che per un generale il miglior modo per morire sia di falro sul campo di battaglia, con la spada in pugno, nel punto più folto della mischia. Condulmer ora si ritrova solo a condurre la guerra contro il Ducato di Calabria. Nello stesso anno muore a Roma Pietro Malatesta, uomo politico dello Stato Pontificio la cui vita è stata segnata da fortune e sfortune.

La battaglia di Cosenza




Duello tra Domenico Orsini e Giacomo di Palermo




La morte di Domenico Orsini



Nel 1484 Condulmer vendica la morte di Domenico Orsini. Partito da Rossano con un nuovo esercito, sconfigge i nemici presso Catanzaro e la conquista: nella battaglia, dominata dalle artiglierie, Condulmer rischia la vita, giacché un colpo di trabucco centra in pieno la sua guardia, egli si salva per miracolo. Successivamente Condulmer marcia verso Cosenza, dove trova le ultime truppe calabresi reduci dalla battaglia con l'orsini e le massacra con un assalto alla città degno dei più grandi strateghi, appoggiato come sempre dalla sua cavalleria. Il Ducato di Calabria cessa di esistere: il resto della Calabria si ribella ai Duchi. Solo Reggio e Mileto si oppongono alle truppe papali, ed esse verranno conquistate negli anni successivi, la popolazione di Reggio Calabria verrà sterminata, perchè molto tumultuosa: una macchia sull'onore dello Stato Pontificio. Tuttavia Condulmer ha vinto: la guerra è finita. A Roma Eugenio V si compiace della vittoria, promette al popolo anni di pace e di prosperità.

L'assalto di Cosenza da parte di Marco Condulmer



Gli anni tra il 1484 e il 1489 trascorrono a pacificare le terre appena annesse allo Stato Pontificio. La città ribelle di Potenza costitiuisce un obiettivo per Eugenio V: è presidiata da migliaia di soldati poco addestrati che fanno corpo intorno alla città. Eugenio V manda a Potenza un'armata di balestrieri veterani, che causa 3000 morti in una sola battaglia e che in seguito marcia sulla città. Il resto delle terre appena annesse a Roma viene epurato da briganti, ribelli ed eretici, grazie a molti nobili romani inviati sul posto. Condulmer partecipa attivamente alla "pacificazione" delle terre conquistate, e alla fine si stanzia a Salerno, decidendo di trascorrere li gli ultimi anni della sua vita. In Lucania l'eresia è molto radicata, così l'Inquisizione si installa permanentemente nella zona, insieme ad un nutrito gruppo di ecclesiastici. I Tarantini, liberati dal pericolo calabrese e francese, riescono a cacciare l'armata turca oltre il Canale di Otranto. Questi anni di pace rendono lo Stato Pontificio sempre più forte e potente. Si comincia ad avvertire un senso comune di "italianità", grazie anche alla tolleranza dimostrata dai papi nei confronti delle istituzioni politiche preesistenti alla conquista pontificia. L'arte e le tecniche fioriscono, Roma diventa a pieno titolo una delle corti europee più attive e potenti.
Il 10 ottobre 1489 il Papa Eugenio V muore di un grave male allo stomaco, dopo un pontificato lungo e foriero di gloria per la Chiesa: la sua crudeltà e tirannia non vengono dimenticate, ma molti nobili lodano il suo opearto per il pugno di ferro che ha consentito di mantenere il potere su un territorio così grande. Tutti confidano che il suo successore possa mantenere la pace nello Stato Pontificio.
[Modificato da Legio XIII gemina 21/09/2011 00:16]


« ... Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

Claudius Rutilius Namatianus, De Reditu suo, Liber I


« Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen Verstandes zu bedienen! Ist also der Wahlspruch der Aufklärung. »

Immanuel Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? 1784


« Pallida no ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca:
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso. »

Francesco Petrarca, I Trionfi, Triumphus Mortis, I, vv. 166-172


« Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal nostro cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perchè solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto. »

Alpino dell'ARMIR sui compagni caduti


« Sfiòrano l'onde nere nella fitta oscurità, dalle torrette fiere ogni sguardo attento stà! Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d'assaltatori contro l'immensità! Andar pel vasto mar ridendo in faccia a Monna Morte ed al destino! Colpir e seppelir ogni nemico che s'incontra sul cammino! E' così che vive il marinar nel profondo cuor del sonante mar! Del nemico e dell'avversità se ne infischia perchè sa che vincerà!... »

Canzone dei sommergibilisti italiani nella seconda guerra mondiale

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Gran bella continuazione! Sopratutto le immagini! Sono eccezzionali!
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Grazie! Purtroppo credo che per ora l'AAR finisca qui perchè ho un crash nel 1497 che non riesco a risolvere, proprio nel bel mezzo della guerra contro Carlo VIII :(


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Re:
Legio XIII gemina, 22/09/2011 20.48:

Grazie! Purtroppo credo che per ora l'AAR finisca qui perchè ho un crash nel 1497 che non riesco a risolvere, proprio nel bel mezzo della guerra contro Carlo VIII :(




Peccato, era veramente una bella cronaca, me la stavo leggendo con gusto!
Hai già chiesto delucidazioni ad House in merito?

Spero anche che esca presto la versione nuova per Kingdoms, la "Trilogia Machiavellica"...in teoria dovrebbero risolversi tutti questi innumerevoli bug e crash che purtroppo affliggono Machiavello così com'è allo stato attuale.
23/09/2011 22:01
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Re: Re:
Zames, 23/09/2011 20.53:




Peccato, era veramente una bella cronaca, me la stavo leggendo con gusto!
Hai già chiesto delucidazioni ad House in merito?

Spero anche che esca presto la versione nuova per Kingdoms, la "Trilogia Machiavellica"...in teoria dovrebbero risolversi tutti questi innumerevoli bug e crash che purtroppo affliggono Machiavello così com'è allo stato attuale.



Dispiace anche a me, e mancavano solo 2 anni all'arrivo del Duca Valentino! Grazie di aver seguito la cronaca, comunque.

Si adesso chiedo a House, forse mi saprà dare qualche consiglio. Comunque è un problema strano, perchè non è un normale crash,anzi il gioco non me ne aveva mai dati: praticamente oltre al problema nella campagna anche quando vado nel menu di campagna a selezionare le fazioni da giocare va in crash...prima avevo aperto il file degli scripts per dare un'occhiata ma non avevo toccato veramente nulla, non so, quella potrebbe essere l'unica cosa.

Che cos'è la Trilogia Machiavellica? Delle patch nuove per i 3 capitoli?

...ah comunque non ho Kingdoms, quindi non mi riguarda.
[Modificato da Legio XIII gemina 23/09/2011 22:07]


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24/09/2011 17:43
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La "Trilogia Machiavellica" sarà la nuova versione di tutte le campagne di Machiavello, su Kingdoms...se puoi procuratelo perché ne varrà la pena (inoltre con kingdoms puoi provare tantissimi mod che meritano davvero molto!).
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io non riesco a installarlo
ho le 3 patch ma mi dice che non riesce a creare la directory ...sigh ..sigh
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Re:
Zames, 24/09/2011 17.43:

La "Trilogia Machiavellica" sarà la nuova versione di tutte le campagne di Machiavello, su Kingdoms...se puoi procuratelo perché ne varrà la pena (inoltre con kingdoms puoi provare tantissimi mod che meritano davvero molto!).



Ho parlato con House, abbiamo cercato di trovare una soluzione al crash, gli ho pure mandato un file del gioco...purtroppo niente da fare.
L'unica spiegazione potrebbe essere che avendo ucciso Carlo VIII prima del tempo, la battaglia di Fornovo non possa avere luogo in assenza della sua armata, se non causando il crash.

Adesso comunque non ho molto tempo per giocare ancora...vedrò di fare dei tentativi prima di Natale, in caso continuerò l'AAR.

p.s. vero Zames, sarei fortemente tentato di reperire Kingdoms. Forse riesco a comprarmelo praticamente gratis da un amico mio che ignora l'esistenza delle mod e che l'avrà sepolto nella polvere. Così mi potrò godere tutte quelle belle mod ed in particolare Basileia [SM=x1617499]
[Modificato da Legio XIII gemina 13/10/2011 09:57]


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