Ecco... l'ultima mia "opera"... la leggerà solo Caesar 633 secondo me...
Cneo Mela
Ecco l'ultima mia "opera", anche se credo che la leggerà solo Caesar 633
Anno 169 a.C
I confini di Roma si estendono dalle sponde orientali dei balcani ai porti gallici occidentali, il neo impero è controllato da tre gens principali: la gens Valeria nei balcani, la gens Cornelia in Africa e la Gens Giulia in europa.
Ma una di queste gens sta attraversando un periodo di decadenza, la famiglia Giulia infatti, era sotto costante attacco degli iberi da occidente e dai britanni da nord.
I confini sembravano non poter reggere a lungo alle orde barbariche che si scagliavano contro i limes, e si diceva che di li a poco la gens si sarebbe disgregata.
Il 20 Giugno dello stesso anno, a mediolanum, accadde un fatto apparentemente insignificante, nasceva Cneo Mela, figlio di Antonio Mela, governatore delle provincie della gallia cisalpina e pretore del senato.
Tutti i romani aspettavano l'arrivo dell'erede di Cosso Antonio, che avrebbe saputo issare la spada al cielo e conquistare territori fino a dove batte il sole, come a suo tempo fece il vittorioso, e gli indovini dicevano che il momento era vicino.
Anno 153 a.C
La fine dell'impero in europa era vicino, gli iberi da est avevano sfondato il limes romano, e da est le orde scite arrecavano morte e dolore fra le legioni... la situazione era disperata.
Quello stesso anno brandiva la spada Cneo Mela, che già in accademia aveva dato prova di indubbie capacità militari.
Il generale diventò subito pretore delle provincie al fronte iberico, avviandosi verso una rosea carriera politica, e con quella stessa carica aveva ricevuto una debole legione di coscritti reclutata in Gallia Settentrionale, la legione era formata da 10 coorti della legione (sette originarie e tre Coorti della legione), tre reggimenti di ausiliari appiedati, due coorti di cavalieri romani.
Una volta preso il controllo della legione mosse velocemente verso Narbo Maritius, di recente passata sotto il controllo iberico, e nella Gallia Narbonensis si scontrò contro un enorme esercito iberico in controffensiva.
I romani erano 2148, mentre gli iberi 4000, la battaglia sembrava per Roma destinata a finire male.
I romani non si schierarono però con la solita formazione a scacchiera, ma bensì sfruttarono la solidità della legione per formare un'unica e lunga linea di legionari, con al centro le coorti della legione, e ai lati le coorti originarie, dietro ai lati dispose i cavalieri.
Gli iberi si schierarono massicci, con i guerrieri toro in terza linea, i fanatici in seconda e i guerrieri in prima, inoltre gli iberi possedevano anche 4 battaglioni di cavalieri, disposti su un solo lato.
Gli iberi si scagliarono con immenso fragore contro i romani, che subirono l'impatto della carica, ma loro erano i figli di marte e rinsaldarono le fila e cominciarono a combattere con tutte le forze.
Il generale si mise a capo della cavalleria, suonò il corno e si lanciò in una tremenda carica contro la cavalleria nemica, che combattè per pochi mi
nuti, dopodichè scappò in preda al panico assoluto.
Adesso il compito non era facile, il generale doveva agire con tempismo assoluto, doveva aspettare che i guerrieri toro attaccassero, e doveva sperare che le legioni non sarebbero andate in rotta.
I guerrieri toro entrarono in mischia ed allora il generale si lanciò attaccando le spalle alla formazione nemica.
La rotta fu simultanea, gli iberi iniziarono a imperversare cercando una via di fuga, bloccata dai possenti cavalli, che li uccidevano in massa.
Solo 120 cavalieri iberici si riuscirono a salvare, cingendosi d'assedio dentro Narbo Maritius, dove il generale li avrebbe presto seguiti.
Per i romani le perdite furono irrilevanti, solo 200 legionari appiedati.
All'urbe la notizia di tale vittoria venne presa molto bene dai cittadini, e dagli stessi senatori, che vedevano nella conquista dell'iberia una fonte di lucro, più che una conquista a scopo difensivo.
Il senato si sarebbe accorto molto più tardi dell'errore commesso lasciando carta bianca al geniale generale.
Narbo venne velocemente presa dalle legioni, che si rinsaldarono con levanti galli, e veloci raggiunsero i pirenei, dove incontrarono 3800 iberi, saldamente posizionati su di un alto colle.
Gli iberi erano convinti che il generale avesse commesso un banale errore, ma invece riuscì a trarre da quello un grande vantaggio in termini di tempo.
Mise gli onagri appena reclutati a minacciare gli iberi qualora si fossero mossi, l'onagro era supportato anche da arcieri romani.
Le pesanti legioni si poterono dunque mettere sullo stesso piano dei nemici, e il generale mise le legioni più forti dal alto rialzato: gli schieramenti collisero, i romani sembravano reggere mentre la cavalleria andava in cima al picco.
Il generale restò coi suoi uomini a rincuorarli, mentre sembravano non reggere, eccetto il lato destro che stava sfondando.
I cavalieri si lanciarono contro i nemici dal picco del monte, prendendo una spaventosa velocità, mentre i legionari a destra sfondavano e accerchiavano il centro nemico.
Gli Iberi fuggirono tutti, ma nessuno tornò dai proprio figli, poichè tutti finirono nell'ade, mentre i romani avevano aggiunto un nuovo tassello alle loro serie di vittorie.
I romani ebbero perdite irrilevanti (400 circa) mentre la situazione per gli Iberi si aggravava sempre più, il generale romano aveva marciato alla volta di Osca e grazie ad un ottimo uso degli onagri su tutte le torri era riuscito a fare diventare la battaglia quasi campale e a pari livello.
Il senato concesse carta bianca al senato per quanto concernesse la campagna iberica,e mentre marciava verso Numantia incontrò un esercito di 4300 iberi, in una pianura della celtiberia.
I romani erano fiduciosi sulle capacità del loro generale, e sapevano che se si fossero messi nelle sue mani nulla avrebbe potuto togliere loro la vittoria, il generale sapeva che qualora avesse vinto quasi tutta la penisola sarebbe caduta ai suoi piedi.
Il generale si schierò su due linee con al centro le coorti originarie e ai lati le coorti legionarie, la poca cavalleria la tenne adiacente allo schieramento, quasi volesse usarla come fanteria.
Gli iberi si riversarono sulla formazione, erano quasi tutti potenti guerrieri toro reduci dalla guerra contro i Galli.
I nemici caricarono frontalmente la formazione di fanteria e la cavalleria laterale, quest’ultima si divise in 2 parti, il generale e una coorte sembravano fuggire, mentre l’altra grazie ad un magistrale ciclo di cariche non perdeva terreno e subiva poche perdite, poi la cavalleria che si era allontanata riuscì a compiere una manovra a U che colse il nemico impreparato alle spalle, e questo iniziò a scappare.
Una coorte di cavalleria uccise i fuggitivi, mentre il generale con l’altra coorte si dispose dietro al nemico.
Fra le due file romane avvenne lo scambio fra le linee, e nuovi saldi soldati ricominciarono a combattere.
Dieci minuti dopo la coorte originaria stremata inscenò una finta fuga, lasciando un buco nello schieramento, allora gli iberi si riversarono dentro al buco, dove scoprirono di essere in un semicerchio, infatti la seconda linea aveva formato un immenso barattolo, per contenere i nemici, ai lati chiusero le prime file, e la cavalleria del generale più le due coorti provvide a chiudere alle spalle.
Roma era vittoriosa in Iberia! Ora nulla poteva fermare più il generale!
Numantia venne velocemente presa, e il generale, al comando di 900 uomini si lanciò alla conquista di Scallabis, che cadde in pochissimi mesi, seguita dalla conquista di Corduba.
Il generale marciò con 3200 legionari verso Cartago Nova, e nei pressi della città affrontò 3400 Iberi.
Il generale schierò la armata a scacchiera, puntando tutto sulla cavalleria che avrebbe accerchiato lo stremato nemico.
I barbari si lanciarono sulla prima linea, che resse all’urto e inizio a combattere, mentre la cavalleria si scontrava con la cavalleria nemica.
Dopo pochi minuti la cavalleria nemica andò in fuga, e le prime due linee si scambiarono, la vittoria era dunque certa, e il generale terminò la battaglia colpendo da dietro lo schieramento nemico.
Di Iberi sopravvissero solo 20 guerrieri che si sciolsero e tornarono ai campi, e il generale potè prendere Cartago nova senza alcun apparente problema, mentre gli Iberi, ridotti a Asturica, imploravano una pace o una situazione di protettorato.
Il generale romano non volle prendere in considerazione le richieste degli Iberi e si lanciò all’attacco di Asturica, che tempo un anno cadde dinnanzi ai piedi del potente condottiero!
E allora fu certo che Cneo fosse l’erede del grande Cosso Antonio, capace in solo 4 anni di concludere una guerra che si prolungava da oltre 50 anni.
Il ritorno da trionfatore a Roma fu stupendo: il generale passò per la via Appia mentre tutti i cittadini lo osannavano e lo ritenevano il figlio di Marte, sceso in terra per portare la supremazia romana, e a soli 20 anni il generale divenne leggenda.
Fu il più giovane condottiero romano ad ottenere un imperium, e il popolo insistè perché indossasse una corona d’alloro.
A quel punto il generale divenne console insieme a Druso Cornelio, e durante il mandato diede il permesso alle regioni nord della sua gens di creare nuove legioni.
Scaduto il mandato, la cui durata era stata ridotta ad un anno, prese il proconsolato delle provincie della Germania Inferiore e della Gallia belgica, e con una legione ben addestrata: 5 coorti cittadine, 8 coorti legionarie, 4 coorti pretoriane e 2 pretoriani a cavallo, si apprestò a sbarcare sul suolo Britannico, di fondamentale importanza per il controllo del mare di Roma.
Trovarono alcune navi britanniche a sbarrargli la strada, ma vennero facilmente eliminate, sbarcò quindi con la sua legione, subito una piccola resistenza di britanni tentò di bloccargli la strada, ma fuggi poco dopo aver visto l'imponenza romana.
Il generale puntava, visti gli scarsi rifornimenti, a ottenere una grande vittoria in centro britannia, dove avrebbe ucciso gran parte dei nativi, per poi conquistare le provincie centro-meridionali, per poter poi esercitare il potere del vincitore sul vinto con i britanni.
Entrò in Britannia, sconfisse agevolmente 500 nativi con perdite irrilevanti (9 uomini mi pare), e si accampò.
Un anno dopo 8000mila britanni erano pronti a cercare la pugna.
I romani erano avvantaggiati dal territorio, ma i britanni erano più del doppio, la sfida si mostrava interessante.
I romani si schierarono a scacchiera, con i pretoriani al centro, le coorti cittadine ai lati, e le coorti agli estremi, la cavalleria si schierò dietro le coorti legionarie.
I Britanni avanzarono, i carri si scontrarono con i pretoriani, rimediando una sconfitta schiacciante e ripiegando spaventati sul proprio schieramento, subendo perdite gravi.
Allora 300 britanni persero la vita, e gli altri si affrettarono ad attaccare frontalmente l'esercito nemico, ma stremati si infransero contro il pilum.
Ma comunque 6200 Britanni travolsero i romani, iniziando una dura lotta.
I Britanni erano privi di cavalleria, e quindi non vi fu un combattimento di cavallerie, e il generale la tenne tutta vicina a se.
Dopo 20 minuti la situazione per roma era un po’ complicata, i Britanni erano ridotti a solo 2800 fanti, mentre i romani erano 2800, ed erano molto spaventati dai nemici, che però iniziavano a deficiare di fiato.
Il generale allora inviò le due coorti cittadine messe come riserve, a caricare contro il centro dello schieramento nemico.
Il centro dello schieramento nemico collassò, ma il nemico possedeva dei soldati in riserva, allora il generale romano colse l’attimo lanciandosi a capo della cavalleria nel buco causato dal ritiro della parte centrale del nemico.
La cavalleria romana attaccò le riserve nemiche mandandole immediatamente in rotta, cogliendole di sorpresa.
Allora il nemico era sotto scacco, la cavalleria si lanciò contro le spalle e ai fianchi del nemico, accerchiandolo e sterminandolo.
Tutti i britanni fuggirono, e in appena un anno la britannia cadde, e anche la ribelle Irlanda venne presa.
Il generale tornò a 26 anni in Italia, stette per un anno a mediolanum dove si sposò con Lucia, poi prese di nuovo le legioni e iniziò una spedizione lampo in Dacia.
Sbarcò a Salona, di recente dominio romano, e mosse subito contro Salona, sbarazzandosi semplicemente di 4000 Daci, con le legioni veterane mosse verso Bylazora, ma nel viaggio si dovette scontrare contro una lega di Daci e Traci vicino alla città.
In totale erano 8500, e lui aveva solo 3700 uomini, ma era avantaggiato dalla sua posizione rialzata.
Si schierò a scacchiera, con la poca cavalleria ai fianchi, mentre i nemici formavano la solita orda disordinata messa a quadrato.
I Daci e i traci li attaccarono frontalmente con bastarni e guerrieri con spada barbarici.
I romani ressero all’urto, e, veterani di mille battaglie, cominciarono a combattere.
Dopo 30 minuti i daci e i Traci avevano subito molte perdite, ma i romani erano sul punto di collassare, allora il generale attuò la sua geniale tattica, fece andare in falsa fuga il centro dello schieramento, i nemici si riversarono nel buco, ma giuli chiusero grazie alla seconda linea un quadrato, che venne chiuso dalla cavalleria.
Fu un massacro, i romani presero Bylazora, e poi ridussero i daci in protettorato e ottenenero la inespugnabile Tylis in dono per la pace dai traci.
Dopo questa stupenda vittoria il generale, forte della legione formata da 3000 legionari super addestrati, di diresse in Italia.
Il popolo lo adorava, il patriziato provava un timore misto a stima nei suoi confronti, il generale però non lasciò l’esercito ad Arretium per prendere il suo imperium, ma avanzò fino al guado del rubicone, chiedendo al senato di arrendersi a lui, i senatori, molto orgogliosi, chiesero l’aiuto di Cassio Linario, grande generale, nella lotta contro il potente nemico.
I legionari della gens Giulia avanzarono contro i 6000 che stazionavano davanti a Roma, mentre dalle cittadine italiche e della Gallia cisalpina, 20.000 legionari cercarono di raggiungere il generale.
L’unica legione comandata dal generale colse l’attimo e attaccò i 6000 dell’SPQR, il rapporto era numericamente di 1 a 2, ma le legioni di Cneo il Grande, erede di Cosso Antonio, erano super addestrate e comandate da un grande generale, mentre i repubblicani erano comandati da generali incapaci che conoscevano la guerra solo attraverso i libri e le storie popolari.
Gli eserciti si schierarono su un’arteria consolare, con ai lati delle foreste, il generale della gens Giulia si schierò a scacchiera, e cercò di facilitarsi la vittoria nascondendo la cavalleria barbarica mercenaria nei boschi, sapendo che i nemici erano inesperti e combattevano con lo schema classico romano, che non teneva conto di imboscate.
L’esercito viola avanzò contro il nemico, quando furono a distanza ideale, gli arcieri cominciarono a schermagliare, i veterani dei Giuli vinsero, e iniziarono a bersagliare i legionari repubblicani.
Allora i massenzini attaccarono subito con la fanteria, che contava alcune coorti pretoriane e cittadine, e perfino le prime coorti con l’aquila, un simbolo dinnanzi al quale i romani si erano sempre dovuti chinare.
Le fanterie si caricarono rispettivamente, i legionari dell’SPQR erano addestratissimi, ma i Giuli erano esperti in combattimento, e sprezzanti del pericolo.
Le prime linee collisero violentemente, mentre le seconde tiravano pilum.
I Giuli mandarono anche alcuni legionari sui lati, dove sconfissero la cavalleria repubblicana, chiudendo ai lati lo schieramento nemico.
La terza linea andò dietro per accerchiare completamente il nemico, il generale si mise in testa alla colonna, mentre i cavalieri nascosti nei boschi caricavano alle spalle il nemico, privo di riserve.
Fu un massacro, il generale dell’SPQR fuggì spaventato per essere ucciso come un vile da un dardo dei propri legionari.
La disfatta aveva dimostrato che la gens Giulia era molto potente, e che il senato non era più capace di governare Roma, ed aveva generali incompetenti.
Il Magno avanzò fino all’Urbe, che, totalmente sguarnita gettò le armi dinnanzi al conquistatore.
Cneo Mela organizzò una grande marcia trionfale, intorno alla via Appia c’era gran parte del popolo di Roma, le legioni si erano disposti sui bordi della strada, dove la popolazione lo acclamava come un Dio, arrivò fino al palazzo del senato, dove gli venne consegnato l’imperium e la carica di dittatore a vita.
Aspettò i 20.000 uomini: 4000 vennero presi sotto la sua ala, mentre altre 4 legioni sarebbero andate in Dacia, una in mano all’ultimo dei Giuli, Marco Giulio, un’altra in mano a Tiberio Stilicone, un’altra in mano a Quinto Levino e l’ultima in mano a Secondo Emiliano.
In Italia i Corneli avevano due legioni in tutto, inesperte e in mano a dei generali completamente incompetenti.
I Valeri non erano messi molto bene, possedevano la Grecia e la macedonia, e neppure una legione in Italia, ma solo guardie cittadine.
Cneo Mela prese senza apparente difficoltà Capua, grazie agli onagri, che sfondarono abilmente le mura.
1000 Valeri, coalizzati con le due legioni dei Corneli, diedero battaglia al generale romano nei pressi di Croton, erano 4000 veterani contro 7000 reclute, di cui 1000 guardie cittadine.
I due eserciti si scontrarono in una pianura erbosa, con molte foreste, adatte ad imboscate.
I veterani si schierarono a scacchiera, in tre linee, con il centro dello schieramento arretrato, e la veterana cavalleria quasi a formare una quarta linea.
I nemici si schierarono come fanno di solito, a scacchiera normale, e come al solito non possedevano arcieri, e molta poca cavalleria.
Gli schieramenti si posero l’uno dinnanzi all’altro, scaricarono il pilum, e da questo i Giuli uscirono svantaggiati, allora il generale diede l’ordine alla fanteria di restare ferma.
I nemici caricarono, lo stolto generale dei Corneli trovò nella parte centrale dello schieramento un errore strategico, e fece attaccare maggiormente li.
Allora il generale, invece di mandare la seconda linea in supporto alla prima, la mandò esclusivamente ai lati dello schieramento nemico, mentre la terza eludeva la formazione.
La cavalleria si aprì come le ali di un uccello pronto a spiccare il volo, e sbaragliò la piccola riserva di cavalleria nemica mista a guardie cittadine dei Valeri.
I lati dello schieramento nemico collassarono, il centro dello schieramento di Cneo reggeva.
Allora la seconda e la terza linea accerchiarono le linee nemiche, mentre la cavalleria uccideva i fuggitivi.
Era dunque una magnifica vittoria, che aveva fatto morire solo 500 Giuli ma 7000 fra Corneli e Valeri.
Dopo appena un anno tutta l'italia s'inchinò dinnanzi alla nuova potenza del grande generale, che ora doveva sconfiggere il suo nemico maggiore.
Svuotò la Gallia, la Germania e la Britannia di tutte le truppe che contenevano, e, organizzò 9 legioni per un totale di 30.000 uomini per l'invasione dell'Africa.
20.000 uomini sarebbero sbarcati con lui nei pressi di cartagine, mentre la legione iberica e altre 2 legioni superavano Gibilterra e attaccavano i domini dei Corneli in Africa da ovest.
Lo sbarco avvenne il 30 Dicembre 138 a.C, vicino a Cartagine, Tapso e Leptis Magna.
Il generale, al comando di 4000 uomini, e seguito dai luogotenenti Cassio Secondo e Erennio l'Astuto, rispettivamente al comando di 4000 uomini cadauno, travolse il nemico, che si ritirò nella roccaforte di cartagine.
Lo sbarco aveva colto impreparato il generale, che però poteva disporre di ben 50.000 uomini, ma doveva riuscirli a radunare.
Tapsus venne cinta d'assedio, così come cartagine e leptis magna, ma 18.000 legionari continuarono l'avanzata.
4000 mossero verso le città dell'est dell'africa, mentre 14.000 proseguivano verso la città di Cirta, sperando di cogliere impreparato il nemico.
Un anno dopo Cirta, Cartago, Tapsus, Leptis Magna e Tingi erano capitolate dinnanzi ai rossi stendardi, e il generale chiamò adunata al centro dell'africa del nord.
Di 30.000 che erano partiti ne rimasero 20.000, e 40.000 erano i Corneli radunati in Numidia, fra il Sahara e la Gaetulia.
Il generale cominciò una discesa con tutte le armate adiacenti, si mise al comando dell'intero reparto di 4000 cavalieri barbari e romani.
Quand'ecco che l'ombra della sconfitta giunse alle 5 legioni, le 10 legioni dei Corneli, comandate da Cassio Linario, grande generale ormai divenuto cinquantenne, l'unico generale capace di vedersela con Cneo Mela nell'ora fatale.
A differenza delle altre volte, per il generale della gens Giulia, non lo poteva aiutare l'esperienza dei suoi legionari, visto che su 20.000 erano solo 3000.
Nel consiglio dei luogotenti del generale gli si consigliava di arretrare perdendo alcune città, e chiedendo l'aiuto dei 6000 legionari di stanza in Italia.
Cneo invece volle cogliere il momento, quella battaglia doveva essere decisiva per la sua vita... ed era sicuro ne sarebbe uscito vittorioso.
Gli eserciti si avvicinarono progressivamente, e giunsero alla pugna in un terreno desertico pianeggiante, dominato da un rilievo a sinistra.
Fu una battaglia epica con la E maiuscola, mai si era visto un così ampio potenziale umano in un'unica battaglia, e mai si erano visti così tanti soldati morire in tre soli giorni.
Il rapporto era decisamente di 1 a 5 per i Corneli, che contavano il doppio degli uomini, sia in fanteria che in cavalleria.
I Giuli si schierarono così: a sinistra il reparto di 4000 cavalieri comandati dal generale, al centro sinistra il reparto di 4000 legionari comandato da Cassio Secondo, a centro destra un altro reparto di fanteria pesante comandata da Erennio l'astuto e a destra un reparto di 3000 legionari pesanti e 1000 mercenari esperti nella guerra del deserto.
Il nemico poteva contare 27000 legionari, 5000 cavalieri e 8000 leggeri.
Mai si era vista una così lunga fila di uomini, tanta da occupare almeno tre quarti del campo di battaglia, la vittoria sembrava ovviamente certa per il generale delle gens cornelia, che contava il doppio dei soldati rispetto ai nemici.
Il generale della gens Giulia montò a cavallo, prese il corno legandoselo al collo, mise nella mano sinistra lo stendardo, si mise in testa allo schieramento e pronunciò uno storico discorso:
" Oggi combattiamo in questa giornata soleggiata, contro i nostri stessi fratelli... voglio che sappiate che combattiamo per liberare Roma dal giogo della corruzione senatoriale che la opprime negli ultimi trent'anni.
Ho combattuto per quasi 15 anni, e non ho mai perso una battaglia, voglio che abbiate piena fiducia in me, e sappiate che non potete perdere, perchè io sono il figlio di Marte, l' unico erede di Cosso Antonio, sono colui che prese Roma per mano in un momento buio e ha esteso moltissimo i confini dell'impero.
Poi quando sono tornato dalla Dacia, mi aspettavo di venire accolto a Roma come l'uomo che sono, ossia un conquistatore, ma mi hanno chiuso le porte, ed ho dovuto prendere una decisione difficile.
Potevo ritirarmi a mediolanum come uno degli uomini più ricchi della mia era, ma ho capito di avere un difficile compito, ossia di liberare Roma dalla corruzione che la opprime.
E dunque siamo quà, nel deserto, io per primo mi sono recato quì, mangiando come voi, camminando come voi sotto il sole cocente.
Oggi noi combattiamo, o vinciamo o moriamo, solo queste sono le possibilità, siamo giunti fino alla capitale nemica, e non abbiamo più viveri, qualora dovessimo perdere moriremo di fame.
Combattiamo per Roma per togliere il giogo tirrannico della corruzione, per l'aquila della mia gloriosa legione, che ha vinto in Spagna e che ha salvato l'urbe da un mero destino!
E se morirete io morirò con voi! PER ROMA E PER LE AQUILE LEGIONARIE....CAAAAAAAAAAAAAAAARICA!!!!!!"
La battaglia cominciò, i due schieramenti erano esitanti, il caldo picchiava sulle loro pesanti armature, ma avevano altro a cui pensare, la loro vita era in pericolo, e anche il destino di roma si sarebbe giocato in quel caldo e lontano deserto, l'ultimo posto dove qualsiasi romano avrebbe pensato di morire.
Finalmente dalla parte dei corneli i legionari tutti si cominciarono a muovere, anche i Giuli iniziarono a marciare verso il centro dello schieramento, dove si trovava la collinetta, essenziale per la cavalleria.
Le pesanti armature dei legionari producevano un fastidioso rumore, che rompeva il silenzio funebre che vi era nell'aria.
Poi gli schieramenti si trovarono l'uno dinnanzi all'altro, gli arcieri cominciarono a tirare, e si cominciarono a mietere le prime vittime.
Un quarto d'ora dopo, quando già 700 uomini per schieramento avevano trovato la strada dell'ade, le freccie si esaurirono, e si passò al lancio del pilum.
Questo diede un lieve vantaggio ai Giuli, che essendo quelli che dovevano essere caricati, ostruivano con il pilum, una carica compatta al nemico.
Il generale Cneo Mela, al comando della cavalleria, mosse verso la collinetta con la sua immensa ondata di cavalieri, mentre gli schieramenti venivano a collidere.
Le due ondate di uomini e cavall si mossero, e arrivarono a collidere, ma dalla parte della gens Giulia si scisse una piccola parte di 400 cavalieri che andò a colpire dal fianco il nemico.
Gli uomini cominciarono a combattere, strenuamente, per moltissimo tempo, e fu un immagine spaventosa.
Dopo tre ore la situazione per la gens Giulia era disastrosa, e gli uomini restavano saldi unicamente per quell'uomo, che era in mezzo a migliaia, ma che si riconosceva dallo stendardo, le prime linee dei Giuli erano quasi del tutto distrutte, per la netta superiorità del nemico, e la cavalleria stava venendo soverchiata.
Ma la situazione più critica era per la fanteria che non poteva resistere più di un ora, a differenza della cavalleria.
Il generale con 20 cavalieri scelti andò dietro le linee di fanteria, e si mise a incitare i suoi uomini:" Siamo romani... non possiamo cedere, non abbiamo mai ceduto e mai cederemo..." e si mise a chiamare per nome i centurioni più importanti, incitandoli a tenere salde le righe.
Allora i Giuli si rinforzarono, cominciarono a non perdere terreno, e a uccidere molti nemici, e allora diede l'ordine di suonare tutti i corni ai cornificer.
Il ruomore fu spaventoso, e spaventò i nemici, il generale si lanciò egli stesso in mischia contro la cavalleria nemica, rinforzando il morale dei suoi uomini, che fecero fuggire la cavalleria nemica.
I cavalieri Giuli erano dunque 2500, e dovevano sconfiggere adesso, per completare la tattica, una forte riserva di 3000 uomini nemici.
Ma la fortuna arrise al generale della gens Giulia, infatti la cavalleria ripiegò sulla propria riserva, abbattendo il morale della riserva dei Corneli e soprattutto scogliendone i ranghi.
Allora il generale, in testa alla cavalleria sulla collinetta si preparò alla carica :" PER UNA ROMA LIBERA! CAAAAAARICAAAAA!!!"
La riserva nemica andò in fuga, andando a finire sull'immensa linea di fanteria, abbattendone il morale.
Allora il generale dei Giuli evitò di inseguire, e si lanciò in una possente carica accerchiando 2 legioni del nemico.
Le due legioni più a sinistra dei corneli fuggirono, e allora vennero inseuite dalla cavalleria, mentre le legioni dei Giuli liberate dallo scontro col nemico lo accerchiavano.
Fu una stupenda vittoria, e soltanto 1000 cavalieri, fra cui Cassio Linario, dei corneli sopravvissero solo per essere uccise nell'assalto alla città.
L'Africa venne presa, e il generale rivolse i suoi sguardi alla Grecia, Macedonia ed Illiria, che stavano venendo conquistate dai legionari dei Giuli.
Il generale restò per sei mesi in Africa, e poi iniziò con 3 legioni a risalire il sahara, vicino a Cartagine c'era la sua immensa flotta, che l'avrebbe fatto arrivare in Macedonia in sei mesi, per riparare alla difficile situazione creatasi li.
Infatti i Valeri, dopo un dissesto iniziale, le ultime armate "Repubblicane", avevano travolto i Giuli in controffensiva, riconquistando Tessalonica e Larissa.
La legione di Secondo Emiliano, mista a quella di Tiberio Stilicone, riuscivano eroicamente a tenere a bada i nemici, che contavano 24.000 legionari.
In Italia si era indetta leva di massa, e in poco meno di sei mesi ben 4000 legionari, seppur inseperti, poterono prendere le navi per giungere a rinforzare la vacillante posizione Valeria in Grecia.
Un anno dopo la situazione era ancora più disperata, le linee dei Giuli erano arretrate fino a Salona, che, ultimo bastione di conquista dei Giuli in Illiria, minacciava di cadere, ma un evento molto importante cambiò totalmente quello che stava accadendo.
Le 4 legioni al comando di Cneo Mela non potevano sbarcare in Illiria, vista la imponenza della flotta nemica, ma una straordinaria tempesta colpì le navi di stanza a Apollonia, che subirono un importante sconfitta dalla flotta dei Giuli, che riuscì a sbarcare ad Apollonia, conquistandola agevolmente grazie agli onagri italici.
Le truppe che assediavano Salona dovettero ripiegare dietro le proprie linee, e il generale della gens Giulia partì con le quattro legioni in un difficile inseguimento.
I nemici subirono una sconfitta di minore importanza a Tessalonica, e lasciarono sguarnita anche Larissa, congiungendosi con altre cinque legioni a presidiare il passo che vi era dopo atene.
I Valeri erano quasi del tutto eliminati, ma la vittoria su di loro non era assolutamente facile, contavano due legioni in più, per un totale di 24.000 mila uomini, mentre i Giuli ne avevano solo 16.000.
Le armate dei Valeri erano comandate dal possente Fannio Valerio, con discrete abilità di comando e con grandissima influenza, la sua morte sarebbe stata presa male dalle sue truppe.
I Giuli avevano anche 4 elefanti mercenari, che avrebbero cambiato le sorti di 40.000 uomini.
Gli eserciti erano schierati in uno stretto che avvantaggiava i Valeri, poichè non dava la possibilità ai Giuli di agire sulle ali con la veterana e potente cavalleria.
Però Cneo riuscì ad ideare un'ottima strategia, che trovò i Valeri totalmente impreparati, infatti questi prevedevano di vincere la battaglia basandosi sulla loro maggiore potenza fanterica, mentre il generale dei Giuli voleva uccidere il generale nemico, per far fuggire le armate in preda al panico.
Gli schieramenti arrivarono a scontrarsi il 24 Marzo 133 a.C, i romani si schierarono con la scacchiera, ma in ultima linea mise il generale con la cavalleria.
Il nemico credette che lo schieramento dei Giuli fosse strutturato in modo da far ripiegare la cavalleria col generale non appena la sconfitta sarebbe stata imminente.
I Valeri, sicuri della loro superiorità e soprattutto dell'abilità del loro "Divino" generale si schierarono classicamente, senza il minimo di cavalleria, il generale guidava l'armata da in fondo allo schieramento, sicuro della vittoria.
Dopo le abituali e lunghe schermaglie, che videro uscire vincitori (come previsto) i Giuli, consci della loro maggiore esperienza.
Gli arcieri tirarono sulla fanteria Valeria, provocando minimi danni, e a giavellotti finiti si mise come riserva in fondo allo schieramento.
I Giuli avanzarono, la scarica di pilum colpì i due schieramenti, e come successe nella celebre battaglia di Gaetulia, il sole ne venne oscurato, provocando un effetto mistico.
Esaurito il pilum, i Giuli trassero il loro primo vantaggio, caricarono, e seppur non molto ordinatamente, sfruttarono un impeto che travolse le prime linee nemiche.
I nemici potevano vantare una linea in più, dovuta al fatto che la stretta gola impossibilitava gli eserciti a schierarsi per tutta la lunghezza del campo.
I Giuli contavano dei veterani della guerra d'Africa, ma ciò non era bastevole a equilibrare le forze, e una legione dei Giuli era appena stata reclutata in Italia.
Lo scontro continuò senza vincitori ne vinti per circa un ora e mezza, i Giuli avevano perso la prima linea e parte della seconda, mentre i Valeri tutte e due, ma la cavalleria e gli elefanti restavano in disparte.
Quando mezz'ora dopo dei Giuli restò solo la terza linea, mentre ai Valeri due linee, scattò l'audace strategia: gli elefanti irruppero nello schieramento nemico, provocando un buco e attaccando il centro della seconda linea nemica, subito dopo gli elefanti si ritirarono.
Allora il generale con la cavalleria si lanciò contro la seconda linea, travolgendola poichè stremata, ma non poteva batterla sul lungo andare, e allora attaccò il generale nemico.
Dopo un bel duello, la leggenda vuole che Fannio Valerio cadesse al suolo proprio in seguito a un colpo dell'antagonista Cneo Mela, che ne alzò lo stendardo, facendo capire ai suoi soldati e ai nemici che il generale era morto.
I suoi luogotenenti non poterono fare nulla per contenere la paura delle sue file, che fuggirono, venendo massacrati dalla cavalleria nemica.
Dunque la guerra civile era finita, le armate dei Giuli presero Corinto, e l'ultimo familiare Valerio, il giovane Caio Valerio, figlio di Fannio, gloriosamente caduto nella battagia di attica, si arrese ai Giuli chiedendo il protettorato, la richiesta venne rifiutata, e le rosse armate conquistarono Sparta, uccidendo l'erede mentre sperava di fuggire presso la porta, venendo ucciso da un giavellotto di un velite a presidio delle mura.
Il capolavoro della strategia era finito, il generale all'età di 37 anni aveva cambiato le sorti di Roma, togliendola da una difficile situazione, e portandola a una gloria mai vista, e soprattutto, per la prima volta unita sotto un'unica bandiera.
Ma la gloria per Roma non era finita, il generale sarebbe morto 30 anni più tardi, e in questo arco di tempo aveva fatto molte conquiste.
Con gli immensi profitti derivati dalle vittorie in tutto il mondo, le casse romane parevano interminabili, e in 3 anni di pace si dedicò all'incremento economico dell'impero, e anche a quello militare, poichè doveva sostituire le legioni perse e anche incrementare il numero di quelle precedentemente esistenti.
Quando venne l’inverno del 130 a.C, il numero di legioni da 7 era passato a 15: una legione in Iberia, due in Italia, 4 nel confine orientale dell’Africa, 4 sul confine dacico e tracio, 2 di stanza a presidio in Gallia, una in Germania e due di presidio in Britannia.
Allora prese qualche fedelissimo (240 pretoriani veterani di guerra Britannica e Dacia), e si mosse via nave verso la Macedonia, dove si mise a capo di una legione, e ordinò agli altri luogotenenti di seguirlo.
Giunse al confine col protettorato Dacico, a cui chiese il supporto contro i Traci, il generale al comando di una legione sconfisse agevolmente 3000 Traci vicino a Bizantium, e cinse d’assedio la città mentre Marco Giulio e Secondo Emiliano, veterani e abili generali prendevano campus lazyegus e, aiutati dai Daci anche Campus Getae.
Entro un anno la Tracia usciva sconfitta da un massacro, e il generale si mise al comando di una legione e chiese la resa al protettorato dacico, che rifiutò e si cinse d’assedio nella propria capitale Porrolissum, ma la resistenza di 600 Daci non potè eroicamente resistere ai 3000 del generale romano, che li massacrò.
Una volta annessa anche la Dacia all’impero decise di volgere il suo sguardo a oriente, verso le ricche terre un tempo seluicide ma ormai spartite fra deboli stati in perenne guerra fra loro come i Pontici, i Parti e gli Armeni.
La guerra aveva tutta l’aria di risultare comunque difficile, poiché gli stati erano sostenuti dal ricco e potente regno d’egitto, che all’apice della sua potenza aveva una vasta influenza sull’Asia minore, e la campagna non si sarebbe potuta svolgere in un’unica battaglia come le precedenti.
Il 2 Settembre 128 a.C, 6 legioni misero il piede sul suolo dell’Asia minore, le legioni erano comandate da: Secondo Emiliano, Tiberio Stilicone, Marco Giulio, Azio Fabrizio, Mario Turbo e ovviamente da Cneo Mela.
Una legione sbarcò in Lycia e cinse d’assedio Halicarnassus, un'altra in Ionia, assediando Sardis, un’altra in Prygia a prendere Pergamum, un'altra cinse Nicomendia, Ancyra venne assediata da Marco Giulio, mentre Cneo Mela si prese l’arduo compito di andare a Nicomedia.
In sei mesi le coste occidentali dell’Anatolia vennero prese dai romani, che avevano quasi annientato con questa rapida mossa il regno dei Pontici, che però aveva ancora il nucleo in Cappadocia e Assiria.
Allora i diplomatici romani andarono alla corte degli Armeni, dei Parti e degli Egizi.
Riuscirono a stipulare con l’Armenia un’alleanza e anche un patto di attacco combinato contro il Ponto.
Nei sei mesi successivi le armate romane si diressero verso la inespugnabile fortezza di Malaka, che non era espugnata da 200 anni, che aveva solide mura di pietra, mentre i formidabili cavalieri Armeni cingevano d’assedio Hatra.
Le altre legioni romane si stavano ammucchiando sul confine Partico, che scendeva fino a Dumatha, in Arabia meridionale.
Nonostante il rapido e formidabile inizio, la campagna sarebbe durata più di dieci anni.
Intanto cadde Malaka, dopo un assalto di Cneo Mela, e Hatra venne conquistata dai catafratti d’Armenia.
Il generale romano aveva stipulato un’alleanza con l’Armenia, poiché questa era la parte militarmente meno sviluppata, e alla lunga non avrebbe potuto tradire l’alleato.
Il generale con 4 legioni rimase sul fronte di Artaxarta, rivolto verso Media e Atropanete.
Un'altra legione mise in scacco la Babilonia.
Nel frattempo si stavano reclutando nuovi soldati per incrementare il numero delle legioni.
Intanto Marco Giulio con la VII legione e la VIII impegnate in oriente, era avanzato verso Phraaspa, cadendo vittima di un imboscata dei Parti, che si rivelò un vero disastro per i romani, che dovettero esitare per 2 anni sul fronte, e in quella letale imboscata perse la vita Marco Giulio.
Fu una disfatta spaventosa, il generale romano venne travolto dunque dagli eventi e da una reazione dei Parti che non si aspettava.
Fu costretto ad esitare attendendo le tre legioni (due europee e una asiatica), e perse dunque l’effetto sorpresa che sortì la distruzione del ponto in due anni e l’invasione delle legioni in territori non ancora predisposti alla guerra.
Dunque la campagna in oriente era destinata a diventare lunga ed estenuante, il generale inoltre aveva perso le aquile della legione e ciò fece anche vacillare il morale delle sue legioni.
Ma non poteva perdere 3 anni preziosi di campagna, allora si lanciò personalmente al comando della sua legione a bloccare il passo montano a sud di phraaspa, per evitare di far giungere validi soldati in quel piccolo insediamento.
Nel frattempo un’altra legione insediava l’insediamento, cercandolo di prendere per fame.
I Parti crearono un valido esercito per togliere il blocco montano dalla regione, e due eserciti da 6000 uomini attaccarono la legione di 4000 del generale romano nella prima vera battaglia della campagna in oriente (quelle pontiche non erano battaglie ma massacri).
Il generale aveva dinnanzi a se un nuovo tipo di combattimento… mai sperimentato dai romani.
Cneo aveva combattuto contro i barbari, che si schieravano disordinatamente molto vicini fra loro, aveva combattuto contro i romani, che combattevano con i ranghi molto compatti e con ordine spaventoso, senza fare largo uso di cavalleria.
Gli orientali si diceva invece che combattessero in maniera atipica, infatti facevano della cavalleria il loro punto forte, e soprattutto dei tiratori a cavallo, che indebolivano i reggimenti nemici per lasciare lavoro facile alla cavalleria ed alla fanteria, e si diceva possedessero un unità speciale di “Cavalieri di ferro”, enormi uomini che montavano alti destrieri, ed erano ricoperti da una corazza spessa, che li rendeva molto lenti ma faceva divenire la loro carica devastante, e si diceva capace persino di mandare in rotta un unità di legionari.
Come altra unità possedevano i carri falcati, il generale aveva già affrontato i carri affrontando i britanni, ma si diceva che questi avessero la possibilità di tirare frecce, e sebbene fossero meno duri all’impatto, possedevano ai lati degli spuntoni che permettevano di ledere colpendo di striscio il nemico.
Possedevano però della strana fanteria che, si diceva fosse numerosa ma veloce, adatta per tenere a bada il nemico mentre i cavalieri l’attaccavano da dietro.
Cneo allora si schierò in una maniera del tutto sperimentale, che si rivelò essere efficace.
Mise la fanteria schierata al solito modo, con gli ausiliari ai lati per proteggere i fianchi della legione dalla cavalleria.
Usò i pretoriani e le coorti cittadine nelle prime linee, perché sapeva che potevano fermare una carica dei carri e sopravvivere ad una pioggia di frecce.
La cavalleria la usò molto larga rispetto alla fanteria, con uno scopo ben preciso.
Schierò ovviamente gli arcieri nascosti fra la prima e la seconda linea.
Allora la battaglia cominciò, il nemico si era schierato con la fanteria al centro, i carri davanti, i catafratti poco più a destra della fanteria, gli arcieri a cavallo, la cosa che più temeva il generale dell’urbe, erano messi molto lontani dal resto dei soldati.
La battaglia cominciò, il nemico iniziò a bersagliare di frecce i legionari, che si ripararono con la formazione a testuggine, rimediando meno morti del previsto.
Dopo venti minuti le centurie della prima linea erano passate da contare 160 uomini a contarne 137 circa.
I carri allora caricarono la fanteria romana, non essendo al corrente del fatto che questi erano i maggiori fanti mai esistiti, ma paragonandoli ai fanti egizi.
Il signore romano, che si aspettava questa mossa, rispose in tutta calma, impedendo ai suoi di lanciare pilum e intimandogli solo di tenere le fila compatte.
I carri nemici compirono un ansa, ma i loro spuntoni vennero neutralizzati dai grossi scudi dei legionari.
Fecero così per altre sette volte, ed allora, esasperati, si lanciarono in una pazza carica frontale, che ebbe come finale una fuga imperversata che andò a ledere alla fanteria ma ancor di più ai catafratti, e colpì duramente il morale nemico.
Mentre il tiro degli arcieri a cavallo continuava ad infastidire i legionari messi a testuggine, i catafratti caricarono gli ausiliari, che inaspettatamente indietreggiarono, lasciando posto ai legionari, che investirono il nemico con una scarica di pilum.
La voglia di fuggire dinnanzi a quell’onda di ferro fu molta per i legionari, ma il loro sire era li a rassicurarli con ferma voce e carisma innato.
A quel punto la fanteria nemica caricò, mentre i catafratti stavano devastando il fianco destro romano.
Allora scattò l’audace tattica, la cavalleria mosse a U intorno al nemico, ma invece di caricare, temendo una probabile contro carica della cavalleria nemica, andò contro gli arcieri a cavallo, che come previsto si mossero verso l’interno del campo.
L’inseguimento portò la cavalleria nemica vicino alla prima linea romana, a tiro degli arcieri, che spuntarono fuori e travolsero i nudi cavalli che non portavano alcuna corazza, ne loro ne i cavalcatori, essendo abituati ad una lotta estraniati dal nemico.
Allora il reparto mobile del nemico si trovava fra due bivi, farsi massacrare o investire i propri amici.
Ovviamente scelsero la seconda, e riversarono sui catafratti, che vedendoli impauriti subirono un calo di morale.
Il generale romano, che aveva previsto questa mossa già al momento della pianificazione della tattica, per la sua innata lungimiranza, mandò i propri cavalieri ad attaccare alle spalle i catafratti, travolgendo anche gli arcieri a cavallo, il risultato fu una fuga disordinata del reparto di cavalleria partico.
Anche la fanteria nemica, il cui scopo era di tenere impegnata la fanteria romana, fuggì poichè soverchiata, anche il generale partico venne travolto dalla fuga, mentre tutti i reparti di cavalleria, compreso il generale, si gettavano all'inseguimento del nemico facendo in modo di non far fare ritorno a nessuno.
Nonostante il piano partico fosse eccellente, non potè sconfiggere il formidabile nemico, che uccidendo 6000 uomini perdendone solo 200 aveva compiuto un vero miracolo, e l'est tremava dinnanzi a lui adesso.
La sua maestria tecnica gli valeva l’adorazione delle folle e dei soldati e un timore dei nemici, che erano adesso ben accetti a tregue e a trattai svantaggiosi.
Il magno colse l’attimo e stipulò un vantaggioso trattato con i Parti che comportava una momentanea tregua in cambio di Media, che li avrebbe favoriti in una guerra con l’egitto.
Nel 121 a.C. un evento sconvolse la situazione già tesa che regnava sul medio oriente: un gruppo di ribelli nativi di Selucia, prese il controllo della città, precedentemente sotto il dominio Ptolemaico, e a questo seguì un inasprimento dei rapporti fra Egitto e Roma.
Infatti, Cneo Mela andò con i suoi onagri e occupò la città, non dichiarando apertamente guerra all’Egitto.
Ma questa era vicina, e le due potenze erano capaci di schierare in campo un numero mostruoso di soldati, e anche se Roma possedeva maggiori risorse umane, il numero delle legioni da mobilitare era di 20\25.
Nel frattempo erano giunte 3 legioni dall’Europa, e un totale di 8 legioni vennero disposte sul fronte egizio, mentre solo una rimaneva sul fronte Partico.
Insieme alle legioni erano arrivate anche delle spie abilissime reclutate nell’Urbe, insieme a degli assassini.
Iniziò per due anni una guerra di spionaggio, incentrato sulle reti stradali e sulla ribellione delle città, che indebolì molto le guarnigioni Egizie, ma ad Antiochia ci fu la goccia che fece traboccare il vaso, le spie romane inviate all’interno avevano sollevato il popolo, allora, quando l’ordine pubblico era già abbastanza basso, un assassino ricevette l’ordine di sabotare il gran tempio.
Le guardie lo acciuffarono, e in dieci giorni la guerra venne dichiarata.
Il generale era all’apice della sua potenza, cinquantenne ancora abile guerriero, ma senza un erede, che avrebbe avuto in seguito.
La guerra vide l’iniziale superiorità dei contingenti romani, che attaccavano il nemico da ovest in Africa, dove due legioni assaltavano, e a nord dall’Africa, dove ben 8 legioni vennero mobilitate.
Una legione assedi Antiochia, due circondarono Hatra, mentre ben 5 penetrarono nel territorio nemico, restando tutti vicini, impegnandosi in un'unica eventuale battaglia.
I diplomatici romani pagarono cospicue somme agli Armeni per costringere i Parti in una guerra, impossibilitandoli ad impegnarsi sul fronte romano.
Nel 118 a.C. le città assediate caddero, ma l’Egitto poteva opporre al nemico un potente e completo esercito, forte di cocchi e vasti contingenti di arcieri.
Intanto i contingenti armeni avevano travolto i Parti in Atropanete, e tre legioni presero sul momento Palmyra, e un altro contingente di 4000 uomini prendeva Sidon.
Ma la supremazia romana non era destinata a durare ancora molto, nel mite inverno del 118 a.C. ben 5 legioni si misero sotto il comando dei luogotenenti, ma tutte comandate supremamente dal leggendario Cneo Mela, e marciarono verso Gerusalemme, dove i legionari puntavano di cogliere l’esercito Egizio, costringendolo ad una ritirata.
Nel frattempo le 2 legioni dell’africa orientale erano state disintegrate dagli eserciti che si radunavano intorno ad Alexandria, pronti per sferrare un attacco spaventoso.
4 legioni assediarono Gerusalemme, mentre l’altra regione copriva il fianco orientale.
Nel 117 a.C. un atto diede una svolta decisiva alla guerra orientale, ben 40.000
Egizi attaccarono le legioni romane, nella celebre battaglia di Gerusalemme.
Il generale romano si mise a capo dei contingenti di cavalleria.
Si combatteva lungo un deserto sterminato, che durava per lunghi chilometri, fra il caldo spaventoso e la paura della battaglia.
I legionari si schierarono con la solita formazione, e con la cavalleria sul fianco destro, i nemici misero come al solito gli arcieri alle spalle e i lancieri misti ai fanti davanti, i tolemaici usavano anche truppe meno esperte.
Inoltre gli egizi disponevano di cocchi, cavalieri su cammello e a cavallo, che disposero sui fianchi.
La battaglia cominciò, il generale fece uno storico discorso :” Andiamo contro al nemico oggi, con un solo obbiettivo: VINCERE!
Se oggi vinceremo daremo a Roma la superiorità definitiva sul mediterraneo e sulle popolazioni civili, quindi oggi vinciamo…PER ROMA!”
La battaglia cominciò, i nemici avanzarono molto lentamente, i lancieri arrivarono allo scontro con le legioni, ma prima incassarono una scarica di pilum.
Gli arcieri oscuravano il sole con le loro frecce, mentre la cavalleria si lanciava alla carica di quella romana.
Cneo suonò il cornò, e fece imperversare i cocchi, che si ritirarono sulla cavalleria, subendo relative perdite.
Allora scattò la tattica: la cavalleria romana inscenò una finta fuga, fino ai limiti dei campi di battaglia, allora la cavalleria tolemaica andò a ripiegare sulla terza linea della legione, che non resse e si accozzò alla seconda.
Allora la cavalleria romana tornò dalla finta fuga, suonando i corni e urlando all’unanimità: “PER ROOOOOOMA!!!”
La carica fu devastante, ne conseguì una fuga della cavalleria egizia, che venne inseguita da quella romana, che poi fece una pulitissima manovra a U attorno alle linee nemiche, e al comando del generale si lanciò contro il nemico, colpendolo alle spalle e mandandolo in una fuga sparpagliata.
Pochi sopravvissero, e molti si dispersero fra la sabbia del deserto, mentre il destino dell’egitto era segnato, e i romani preparavano un trattato dove offrivano un condizione di protettorato particolare al nemico:
Gli Egizi si impegnavano a cedere tutte le regioni in loro proprietà fino a Petra, a diventare protettorato romano, e a pagare una somma di 1000 denari ogni turno per 25 anni.
E dunque, a 51 anni il generale aveva soggiogato il mondo intero, e ben poche fazioni non gli pagavano tributi.
Nel 116 a.C. dopo aver soggiogato parte del mondo intero, il generale tornò all’urbe, come il miglior generale che avesse mai calpestato il suolo della città eterna.
Con gli immensi guadagni derivati dalla guerra nel ricchissimo oriente, il generale dopo 30 di guerre che laceravano Roma, iniziò a fare opere pubbliche, infrastrutture economiche, e arene in tutte le città.
Finalmente, nell’inverno 115 a.C, dal matrimonio con Lucia, stretto a 26 anni, all’età di 54 anni ebbe un erede, Quinto Mela.
La pace prosperava nell’urbe, quando nel 106 a.C. il grande comandante dei romani si spense nel suo palazzo, sostituito a quello del senato.
La sua morte, avvenuta a 63 anni, lasciò un vuoto incolmabile a Roma, e, non potendo ancora legittimamente far prendere il potere al giovane Quinto, di soli 9 anni, al potere nell’urbe salì al trono il grande Tiberio Silicone, luogotenente del magno in Dacia e Africa, che avrebbe mantenuto il potere fino al 99 a.C, quando maturò il figlio legittimo.
Cneo Mela, 106 a.C. – 169 a.C.
Le sue maggiori battaglie:
Campus Narbonensis (Romani vs Iberi) 152 a.C. annus consolatibus Fannio Valerio
Battaglia di Numantia (Romani vs Iberi) 151 a.C. annus consolatibus Quinto Secondo
Battaglia di Cartago Nova (Romani vs Iberi) 150 a.C. annus consolatibus Fannio Valerio
Campus Britannicus (Romani vs Britanni) 147 a.C. annus consolatibus Cassio Linario
Bylazora (Romani vs Traci e Daci) 143 a.C. Annus consolatibus Marco Massenzio
Battaglia di Roma (Giuli vs SPQR) 141 a.C. Annus Consolatibus Quinto Secondo
Battaglia di Capua (Giuli vs Corneli e Valeri) 141 a.C. Annus Consolatibus Cneo Mela
Battaglia del Sahara (Giuli vs Corneli) 136 a.C. Annus Consolatibus Cneo Mela
Battaglia del Peloponneso (Giuli vs Valeri) 133 a.C. Annus Consolatibus Cneo Mela
Battaglia di Artaxarta (Impero Romano vs Regno di Partia) 125 a.C. Annus Consolatibus Cneo Mela
Battaglia di Gerusalemme (Impero Romano vs Impero Egizio) 117 a.C. Annus Consolatibus Cneo Mela