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Ultimo Aggiornamento: 28/10/2006 23:32
26/06/2005 11:27
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Lo stato della Partia (Parthia) sorse intorno al 247 a.C. per opera di Arsace I ed era costituito su un modello di tipo feudale contraddistinto da un insieme di stati vassalli, parzialmente autonomi, che dipendevano dai sovrani partici. Nel periodo neroniano il contrasto con i Parti si riaccese. Il nodo centrale della discordia era, nuovamente, l’Armenia. Il possesso di questo stato cuscinetto era di vitale importanza se si voleva contrastare l’impero arsacide in quanto garantiva ai Romani una dislocazione delle forze su un fronte meno esteso e la possibilità di tenere concentrate le legioni in Siria. Infatti, se l’Armenia fosse rimasta sotto la sovranità romana le legioni dislocate nel settore siriano avrebbero difeso più facilmente dagli attacchi dei Parti le regioni del Ponto, della Cappadocia, della Commagene e la medesima Siria utilizzando il corso settentrionale dell’Eufrate che consentiva un rapido accesso verso queste regioni, mentre i Parti avrebbero dovuto usare le impervie strade dell’Armenia se volevano colpire le zone sopraindicate. Al contrario la situazione sarebbe risultata favorevole ai Parti se questi fossero stati liberi di dislocare le loro truppe nel territorio armeno in quanto la loro presenza a ridosso dei territori del Ponto e della Cappadocia obbligava i Romani a presiedere stabilmente il confine tra queste zone e l’Armenia sacrificando, eventualmente, il settore siriano e non consentendo più la concentrazione delle forze in Siria cosa che poteva avvenire, come abbiamo detto, se l’Armenia fosse stata sotto il controllo romano (23). Nel periodo neroniano la situazione, di fatto, sembrò evolversi a favore dei Parti in quanto il re di questo stato (Vologese I), aveva deposto Radamisto e posto sul trono dell’Armenia il fratello Tiridate. Da questi eventi si evince che l’esercito partico poteva spostarsi in Armenia cosa, come abbiamo detto, strategicamente pericolosa per i Romani. Per ristabilire lo status quo ante nel territorio armeno i Romani inviarono Gn. Domizio Corbulone (55 d.C.). Al comando di tre legioni (III Gallica, VI Ferrata e IV Scytica) Corbulone occupò le città armene di Artaxata e Tigranocerta (58 d.C.), allontanò Tiridate e pose sul trono d’Armenia Tigrane V (59-60 d.C.), un re che godeva la fiducia romana (24). Corbulone, però, si era dimostrato propenso ad accordarsi con i Parti giudicando non conveniente proseguire la guerra ad oltranza e dopo aver chiesto di essere esonerato dal comando in Armenia propose ai Parti una tregua secondo la quale i due imperi si impegnavano ad evacuare le truppe dall’Armenia. Corbulone, in seguito, si ritirò sull’Eufrate per consolidare il confine della Siria e prevenire i possibili attacchi dei Parti in questo settore. Il Senato di Roma, però, non condivideva la politica intrapresa da Corbulone e decise di ricorrere ad una soluzione di forza inviando in Armenia L. Cesenio Peto con il proposito di occupare la regione (25). Quest’ultimo, però, venne sconfitto dai Parti che posero sotto assedio le legioni romane stanziate a Randeia, nel mentre Peto attendeva l’arrivo degli 8.000 uomini che erano stati richiesti in aiuto a Corbulone. Gli Arsacidi avevano deciso, infatti, di intervenire militarmente in Armenia per sostenere gli interessi di Tiridate, il fratello di Vologese, su questo regno evitando, invece, di attaccare la Siria dove Corbulone stava rafforzando le difese. Dopo il disastro di Peto, i Parti avanzarono delle profferte di pace che il governo di Roma ritenne di rifiutare perché troppo onerose in quanto includevano lo sgombero di tutte le truppe romane stanziate in Armenia e la consegna di tutti i castelli da essi occupati (26). La situazione rese, quindi, necessario il richiamo di Peto e il nuovo intervento di Corbulone. In realtà, però, non vi fu un vero e proprio scontro con i Parti, bensì un’intesa. Il comandante romano, infatti, dopo aver distrutto i castelli dei nobili armeni che si erano dimostrati ostili con Roma decise di accordarsi con gli Arsacidi, senza muovere guerra, per risolvere pacificamente il problema dell’Armenia: questa regione sarebbe stata amministrata in condominio da Romani e Parti e Tiridate avrebbe ricevuto, nell’Urbe, la corona di re d’Armenia per investitura dello stesso Nerone. Secondo Tacito il rapporto tra il sovrano d’Armenia e Roma fu contrassegnato da rapporti di parità e di equità secondo anche il desiderio del sovrano arsacide: " Vologese aveva inviato messi a Corbulone, per impetrare che Tiridate non dovesse portare alcun segno di servitù.. e che a Roma fosse trattato con gli stessi onori che si rendevano ai consoli", Tac., Annali, XV, 31). Cassio Dione ritiene, invece, che Tiritade venne incoronato a Roma in una posizione di subalternità rispetto ai Romani ("O signore, io figlio di Arsace, fratello dei re Vologese e Pacoro, sono tuo schiavo. Sono venuto a te, che sei il mio dio e per adorarti come Mithra, ed io sarò quello che tu vorrai. Tu sei il mio destino, tu la mia sorte" Cassio Dione, Storie, LXIII.4.1-5.2 ), ma questa ipotesi non mi sembra attendibile dal momento che l’incontro tra Corbulone e Tiridate e la successiva cerimonia dell’incoronazione avvenne dopo degli eventi bellici che erano stati sostanzialmente favorevoli agli arsacidi (Tacito, Annali, XV, 29) e il nuovo intervento di Corbulone non fu una vera e propria spedizione militare contro i Parti bensì una "entente cordiale" per risolvere su un piano di parità la questione armena (27). La formula, inoltre, recitata da Tiridate, nel passo di Dione, si ispirava ad un tipo di cerimoniale preesistente adottato dai re vassalli come atto di omaggio nei riguardi dei re arsacidi e quindi la manifestazione di sottomissione pronunciata dal re d’Armenia si inserisce nell’ambito di una tradizione diplomatica (28). Dopo questi avvenimenti la situazione, dal punto di vista strategico, era ancora favorevole ai Romani in quanto la tranquillità del settore armeno non rendeva indispensabile presidiare la Cappadocia e il Ponto con eserciti di grossa entità e quindi il distaccamento in Siria, che rappresentava il nucleo più rilevante dell’esercito romano in Oriente, poteva rimanere pressoché invariato. In particolare si determinava che lungo il corso settentrionale dell’Eufrate erano presenti una fascia di stati cuscinetto che proteggevano il confine dagli attacchi a bassa intensità, che potevano essere sferrati dai Parti. Questi stati erano l’Armenia, l’Osroene, la Commagene e la Sofene. Per esigenze che gli studiosi hanno interpretato in chiave di centralizzazione amministrativa, Vespasiano (69-79 d.C.) smantellò il sistema clientelare e ciò determinò, in Oriente, che gli stati clienti dell’Anatolia, Siria, dell’Armenia minore, Sofene e Commagene furono annessi ai territori imperiali. Di conseguenza tutto il settore dell’Eufrate settentrionale a ridosso del Ponto, Armenia minore e Commagene, dovette essere presidiato direttamente dalle legioni e si rese necessaria la costruzione di una rete stradale per facilitare gli spostamenti dei contingenti militari. A questo maggiore impegno militare in Oriente, che si traduce con una crescita delle legioni nel settore orientale, non si acompagna una crescita significativa del numero di tutte lelegioni (29). La crescita suddetta, poi, non va sottostimata in relazione al fronte settentrionale (30). Lo smantellamento del sistema degli stati clienti operato da Vespasiano non fu totale perché stati come l’Osroene e l’Armenia furono ancora retti da questo ordinamento, ma la logica della difesa dei confini attraverso gli stati cuscinetto era stata abbandonata con la politica delle annessioni e della difesa diretta del confine dell’alto Eufratre (31).
Lo scontro con i Parti riprese sotto l’imperatore Traiano (98-117 d.C.) e fu determinato, ancora una volta, dal contrasto tra Romani e Parti sulla questione dell’Armenia. Il re dei Parti Osroe (Cosroe), aveva deposto dal trono di Armenia il re Axedares, gradito ai Romani, sostituendolo con Parthamasiri, ma senza aver ottenuto l’approvazione di Roma. L’azione diplomatica per tentare di arrivare ad un accordo risultò fallimentare e la guerra divenne inevitabile. Il conflitto rappresentò per i Romani un occasione per migliorare i confini orientali al fine di creare una linea meglio difendibile, ed in economia di forze, lungo un asse che spingeva sensibilmente verso oriente il confine dell’alto Eufrate: il limes sarebbe passato lungo il fiume Khamur, Jebel Sinjar, Tigri settentrionale ed Armenia. Non è da escludere, però, che la guerra contro lo stato arsacide possa essere stata motivata da finalità economiche, come ad esempio l’esigenza di aprirsi una via sicura per estendere i commerci verso l’India (32). La campagna contro i Parti fu combattuta dal 114 al 117 d.C. e nelle prime fasi si concluse con la rapida occupazione dell’Armenia (33) e dei punti nodali della Mesopotamia, come per esempio Nisibi, prima che i Parti potessero intervenire per difenderli. In un secondo momento Traiano prese la città di Batnae e si recò ad Edessa per passare l’inverno. Con la seconda campagna, condotta nel 115, Traiano entrò in contatto con l’esercito arsacide, ma dopo aver condotto le legioni oltre l’Eufrate e il Tigri l’imperatore decise di ritirarsi ad Antiochia (inverno del 115/116) rimandando il conflitto all’anno successivo. Nella primavera del 116, infatti, inizio la terza campagna che si concluse con la conquista di Ctesifonte. Caduta la capitale dello stato partico, il re Osroe si diede alla fuga e Traiano si impossessò del del suo trono d’oro e si spinse fino al Golfo Persico. La conseguenza fu che l’impero partico divenne vassallo di Roma (34), fu ridotto nella sua estensione territoriale e un nuovo re cliente (Parthamaspate), gradito ai Romani, fu posto alla guida del regno. Per l’occasione furono emesse delle monete commemorative che riportavano la scritta "PARTICA CAPTA" e lo stesso Traiano assunse nel 116 l’attributo di Particus ed una delle scene dell’arco di Benevento allude a questo evento (35). Successivamente Traiano, nel corso della sua ritirata, morì in Cilicia (117 d.C.) e gran parte delle province che aveva conquistato si ribellarono. Adriano decise di abbandonare le recenti conquiste che si estendevano oltre l’Eufrate forse perché valutò che non era conveniente espandere l’impero romano oltre certi limiti. L’Armenia, in particolare, non fu ceduta completamente, ma ritornò nella sua antica condizione di Stato feudatario di Roma (36). I Parti, però, mal sopportavano la sovranità romana sull’Armenia e si stavano preparando ad occupare questa regione. Adriano intervenne personalmente accordandosi con il re dei Parti e scongiurò l’occupazione. Con Antonino Pio (138-161 d.C.) la situazione sembra ripetersi e anche questa volta lo scontro fu rimandato, ma l’imminenza della guerra spinse i Romani a rafforzare gli eserciti orientali (37).
Sotto Vologese IV i Parti sconfissero prima ad Elegeia il legato romano di Cappadocia (161 d.C.) e poi invasero l’Armenia ponendo sul trono Pacoro un principe a loro gradito (162 d.C.). I propositi espansionistici degli Arsacidi non si limitarono solo a questa regione perché in seguito oltrepassarono l’Eufrate per dirigersi in Siria dove sconfissero il legato romano Elio Attidio Corneliano che mori sul campo (38). Si rese necessario, quindi, l’intervento diretto di Lucio Vero, fratello adottivo di Marco Aurelio e associato da quest’ultimo al governo (39), il quale decise di usare tre legioni per combattere i Parti: la I Minervia (proveniente dalla Germania inferiore), la V Macedonica (dalla Mesia) e la II Audiutrix (dalla Pannonia), (40). A questo esercito vanno aggiunte le varie vexillationes: distaccamenti temporanei di soldati provenienti da altre legioni. Le offerte di pace inoltrate dai Romani non sortirono alcun effetto perché Vologese rifiutò le trattative. Se Lucio non fu all’altezza della situazione meglio di lui si comportarono i suoi generali: Stazio Prisco e Avidio Cassio. L’Armenia, infatti, fu riconquistata e Artaxata fu presa e distrutta da Prisco (163 d.C.). Nei pressi di questa città i Romani costruirono Kainepolis (o Valarsapat) che divenne la nuova capitale dell’Armenia e dopo aver allontanato Pacoro lo sostituirono con un re gradito dai romani: Soemo (Sohaemus), (41). Risolta la questione armena, la lotta riprese per ristabilire lo status quo ante in Siria e Mesopotamia. Gli scontri cominciarono lungo la riva dell’Eufrate e i Romani, dopo essersi scontrati con i Parti nei pressi di Sura, espugnarono una fortezza del nemico posta sulla riva sinistra dell’Eufrate e si diressero verso le città più importanti dello stato partico. Dopo aver sconfitto i Parti presso Dura Europus i Romani, guidati da Avidio Cassio, conquistarono Seleucia e dopo averla saccheggiata e incendiata (164-165 d.C.) occuparono e distrussero Ctesifonte (166 d.C.). Con la presa di quest’ulima città L. Vero, o meglio i sui generali, aveva quasi ripetuto le gesta di Traiano (42). Ma i Romani, nonostante questi successi, subirono le nefaste conseguenze di una epidemia di peste, che si diffuse nell’ Urbe ed in Italia portata dai soldati che erano ritornati in patria dopo che si concluse la campagna in Oriente. L’epidemia scoppiò nel 166 d. C. , probabilmente contratta durante la distruzione di Seleucia, e si protrasse per un ventennio e sembra, secondo le fonti, che a Roma morissero circa 2.000 persone al giorno nei periodi in cui la peste si scatenava con particolare virulenza (43). Circa trent’anni dopo i Parti, approfittando dei sommovimenti che avvenivano nelle province orientali per acclamare imperatore Pescennio Nigro, avevano promosso delle ribellioni contro il dominio romano nei regni dell’Osroene ed Adiabene ed avevano spinto i loro eserciti in Mesopotamia e forse anche in Armenia (44). In questa occasione dovette intervenire Settimio Severo (193-211 d.C.) che condusse due campagne contro i Parti, rispettivamente nel 195 e nel 197-199 d. C. Dopo aver eliminato il suo rivale Pescenio Nigro, Settimio marciò contro i Parti ma dopo aver ottenuto una prima vittoria nel 195, dovette ritornare in Occidente per sbarazzarsi di Albino, che nel frattempo aveva ottenuto l’acclamazione imperiale. Ritornato a Roma, Settimio partì per la Germania superiore per scontrarsi con il rivale. Eliminato Albino, Settimio ritornò nell’Urbe e prima di ripartire per l’Oriente reclutò tre nuove legioni per intraprendere la seconda campagna contro i Parti. Dopo aver posto il quartier generale a Nisibi (estate del 197), ordinò all’esercito di muoversi lungo il corso dell’Eufrate per poi assalire le città di Babilonia e Seleucia, ma le trovò deserte. Decise, allora, di attaccare direttamente Ctesifonte, la capitale arsacide, e riuscì a conquistarla nel gennaio del 198. Settimio assunse il titolo di Partico Massimo, ma evitò la completa conquista del territorio dei Parti e non riuscì, per ben due volte, ad espugnare la città di Hatra, forse per mancanza di decisione, come allude Dione Cassio, nel condurre l’attacco (LXXV, 11-12). Dopo aver subito pesanti perdite durante la ritirata, Settimio si diresse verso l’Egitto e organizzò parte dei territori conquistati nella nuova provincia della Mesopotamia (45). Nel 203 venne costruito a Roma l’arco di Settimio Severo per celebrare, nei quattro pannelli, gli avvenimenti fondamentali le due campagne contro i Parti (46). Intorno all’anno 214 d. C. Caracalla, figlio di Settimio Severo, si preparava a conquistare la Partia e nell’anno successivo a spostare più avanti la frontiera creata da suo padre. Dopo aver tentato senza successo di occupare l’Armenia, nel 216 d.C. chiese la mano della figlia di Artabano V, re arsacide, ma essendogli stata rifiutata usò questo evento come pretesto per occupare la Media, attaccare città e devastare le tombe dei sovrani partici. Per celebrare la vittoria furono coniate delle monete sulle quali compariva la scritta "Victoria Parthica"(47). L’occupazione non durò a lungo, perché a seguito dell’assassinio di Caracalla, pugnalato da un soldato per ordine del prefetto del pretorio Macrino, l’esercito romano cadde nello sconcerto e fu costretto a ritirarsi dalla Media a seguito del contrattacco condotto dall’esercito partico guidato da Artabano, al territorio della Mesopotamia romana. Lo scontro si risolse con una sconfitta dei Romani e il nuovo imperatore Macrino dovette pagare una somma considerevole per ottenere la pace. Nel 227 d.C. Artaserse, un vassallo dello stato partico, promosse una ribellione e partendo dalla Persia sconfisse e uccise Artabano V . La sua ascesa al trono segnò il trapasso dalla dinastia arsacide alla dinastia sasanide, ma per i Romani nulla sembrava cambiato perché continuarono a chiamare con il nome di Parthi anche i nuovi Persiani (48).

preso da Mario IERARDI (Estratto)

x gli appassionati dei Parti e delle monete antiche vada QUI

[Modificato da scipio rtw annibal 26/06/2005 11.34]


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