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La lingua osca

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    Iulianus Apostata
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    00 28/08/2013 18:02
    Antica lingua italica, di origine indoeuropea ed appartenente al ramo umbro-sabellico (lo stesso dell'Umbro e dei dialetti sabellici); era parlata, fin dall'epoca pre-romana e fino al I secolo a.c. (forse anche successivamente), nell'Italia centrale e meridionale fino in Calabria (salvo il caso dei Mamertini, che nel III secolo a.c. la portarono in Sicilia).
    Tra i popoli "oscofoni", ricordo gli Oschi (frutto della fusione tra Opici e Sanniti in Campania, nel V secolo a.c.), i Sanniti degli Appennini, i Lucani e i loro affini Bruzi; mentre gli idiomi sabellici, dell'Italia centrale (Sabini, Marsi e così via), possono esser considerati varianti osche.
    Col progressivo consolidarsi del dominio romano, la lingua osca fu gradualmente soppiantata dal latino (altro idioma indoeuropeo, ma del ramo latino-falisco).
    Nonostante la diffusione in gran parte dell'Italia peninsulare, l'idioma italico non trovò forma scritta almeno fino all'instaurazione di insediamenti al di fuori dei confini del Sannio, quando i Sanniti vennero a contatto con Greci ed Etruschi in Campania, per poi adottare un alfabeto con grafemi misti e riconducibili ai due popoli "stranieri".
    Tra le testimonianze dell'osco, troviamo il Il Cippo abellano, noto anche in lingua latina come Cippus abellanus; lapide calcarea contenente iscrizioni osche, risalente alla prima metà del II secolo a.C. e ritrovata nel territorio dell'antica città sannitica di Abella; mentre altre fonti sono rappresentate dalla Tabula bantina e dalla Tavola di Agnone (Epigrafia Osca).
    Al contrario del latino, influenzato, seppur in maniera (forse) marginale, dall'etrusco, dal greco e dal sabino, l'osco risulterebbe la più conservatrice tra le lingue italiche.
    Certo è che non mancavano le somiglianze tra la lingua osca e quella che fu dei Romani (stesso modo di coniugare e declinare, di utilizzare genere, voce, modo e tempo; analogia nella sintassi) nonostante le vistose differenze (fonologia, morfologia, ortografia). Molte parole comuni latine, infatti, non eran presenti nell'altro idioma, oppure eran in forme per nulla somiglianti. Degli esempi: il verbo latino volo, volui, velle, ed altre forme simili originate dalla radice del Proto-indoeuropeo * wel ('volere') erano rappresentati in osco da parole derivate da *gher ('desiderare'): es. herest ('desidererà, vorrà') in contrasto con il latino vult. Il latino locus (luogo, posto) era assente e rappresentato forse da slaagid, hapax, rinvenibile nel Cippo abellano, in vario modo etimologizzato e di recente ricondotto a un toponimo sovrapponibile alla antica forma dell'osco.
    Fra le altre cose, il termine latino Italia, da cui Italicus, deriverebbe, seppure indirettamente, dalla forma osca Viteliú, presente come termine etnico nel dialetto delle popolazioni dell'area centro-meridionale della Calabria (forse diffusa in tutta la Safinas Tutas, ossia quel territorio occupato dai Safini, tutte le genti di lingua osca, che andava dall'Abbruzzo alla Calabria odierni); poi ellenizzata in italo, italico, dai coloni italioti ad indicare gli abitanti indigeni dell'area.


    Spero che nella descrizione non ci siano errori, in caso correggetemi.


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    - La lingua osca


    - Il Cippo Abellano


    it.wikipedia.org/wiki/Lingua_osca


    - I Mamertini


    [Modificato da Iulianus Apostata 29/04/2014 20:11]
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    IULIANUS IL VOLSCO

    Ecco il mio breve libro, un mio impegno per un approfondimento della storia locale nell'antichità del mio territorio: origini del nome, storia e topografia dell'antica Antium.

    Marco Riggi, "Antium: memorie storiche nel territorio di Anzio e Nettuno", Youcanprint, 2019.

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    «..il moderno Anzio. Comune di 3500 abitanti, è di recente costituzione (1858), essendo stato sempre un appodiato di Nettuno (Comune di 5500 ab.), il vero centro abitato erede e continuatore degli antichi Anziati. Scorrendo pertanto le memorie antiche di questo popolo, noi non possiamo separare, specialmente nell'età antica, Anzio da Nettuno, perché ogni anticaglia trovata ad Anzio o a Nettuno spetta ad uno stesso centro. Epigrafi anziati trovansi a Nettuno come in Anzio. […] Del resto è certo che la evoluzione del centro abitato [di Nettuno] nel medio evo, fu esclusivamente agricola. Difatti la terza notizia, che ce n'è pervenuta, è quella importantissima dell'essere stata in Anzio [l’antica Antium] fondata una "domusculta", ossia villaggio sparso nel vasto sub antico territorio. Ciò avvenne sotto il papa Zaccaria (a. 741-752) come ne fa fede il citato Liber Pontificalis (ivi, pag. 435). Contemporaneo fu l'abbandono del porto neroniano e lo spostamento od accantonamento degli Anziati a Nettuno. Quindi cessa il nome di Anzio e succede il nome dell'altro, che va divenendo soggetto alle vicende politiche della difesa del mare.»

    (Giuseppe Tomassetti, "La Campagna romana antica, medioevale e moderna", vol. II, 1910, pp. 366 e 381-382).

    «Che ti importa il mio nome? Grida al vento: 'Fante d'Italia!', e dormirò contento!»

    -SOLDATO IGNOTO-

    «Le genti che portavano il nome di Umbri sono infatti quelle che diedero vita alla civiltà più antica dell’Italia, come ricorda Plinio, il grande scienziato e storico romano, del quale tutti ricordano la frase "Umbrorum gens antiquissima Italiae". Una civiltà che dal 13° secolo avanti Cristo in poi si estese dalla pianura padana al Tevere, dal mare Tirreno all‘Adriatico, come ricordano gli storici greci, e poi (con l‘apporto safino) pian piano fino all’Italia Meridionale; una civiltà alla quale spetta di diritto il nome di “italica”, come la chiamiamo noi moderni, anche se gli storici greci e romani parlano inizialmente di “Umbri” per la metà settentrionale del territorio, e di “Ausoni” per la metà meridionale. Sul fondamento dei dati linguistici, infatti, possiamo affermare che l’Italia fu una realtà culturalmente unitaria ben prima che Roma realizzasse l’unità politica...»

    -Prefazione del dottor Augusto Lancillotti al saggio "La lingua degli Umbri", di Francesco Pinna JAMA EDIZIONI-

    «furono i riti italici ad entrare in Grecia, e non viceversa».

    -Platone, "libro delle leggi"-

    «Cavalcava la tigre di se stesso.E cosa fu la sua vita se non una disperata fedeltà ai propri sogni? La grandezza di Annibale è quì racchiusa,nella sublimazione della vittoria come fine a se stessa,come strumento di passione.Egli non aveva nessuna certezza di piegare il nemico fino in fondo,di vincere la guerra.Forse non l'ebbe mai.Ma la battaglia era il suo palpito d'uomo,e di quel fremito soltanto visse.»

    Gianni Granzotto, "Annibale"

    «..Tristezza e follia sono compagne.Lo spettacolo era desolante e amaro.Non restò più nulla di ciò che Annibale a Cartagine aveva visto e vissuto.Non restò più nulla di Cartagine.E tutto quello che fin quì abbiamo narrato è costruzione della memoria,ciò che è stato tramandato a noi dei fatti,dei detti,dei luoghi:le regioni dei ricordi,disperse e abbandonate nel grande cerchio del tempo,il solo che eternamente esiste.»

    Gianni Granzotto,"Annibale"

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    00 29/08/2013 17:03
    Che alfabeto usavano?

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    "Vi abbiamo insegnato a distinguere se (i legionari che incontrerete) sono delle reclute o se sono veterani. Se sono reclute potete provare ad affrontarli; se sono veterani tiragli addosso tutto quello che avete e scappate il più in fretta possibile." (discorso di Flavio Giuseppe ai suoi soldati)

    "A nessuno capita qualcosa che non sia in grado di sopportare" (Marco Aurelio)

    "Se avessi avuto simili soldati avrei conquistato il mondo" (Pirro, riguardo i legionari romani)

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    Iulianus Apostata
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    00 29/08/2013 20:23
    In seguito al contatto, commerciale o belligero, avvenuto intorno al V secolo a.c. (se non prima) con Greci ed Etruschi nell'area tirrenica, i Sanniti, "oscofoni", realizzarono un alfabeto con grafemi derivanti da quelli ellenico ed etrusco (a sua volta derivato dal primo), trasformando la lingua osca in idioma scritto oltre che parlato (fino ad allora non era stato realizzato alcuno scritto in lingua osca).
    In massima parte i Sanniti utilizzarono, per l'osco, l' alfabeto etrusco con grafemi però modificati in base alle loro esigenze fonetiche, pur mantenendo l'uso di leggere e scrivere da destra verso sinistra.
    In zone come la Lucania e il Bruzio, per la vicinanza con le colonie elleniche, i popoli oscofoni utilizzavano l'alfabeto greco con scrittura destrosa (da destra verso sinistra), mentre nell'Italia centrale i Marrucini (sanniti), i Peligni, i Vestini, i Marsi e i Volsci (parlanti dialetti oschi), vicini ai territori romani, utilizzavano un alfabeto latino primitivo.
    [Modificato da Iulianus Apostata 29/08/2013 20:28]
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    (Giuseppe Tomassetti, "La Campagna romana antica, medioevale e moderna", vol. II, 1910, pp. 366 e 381-382).

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    «Le genti che portavano il nome di Umbri sono infatti quelle che diedero vita alla civiltà più antica dell’Italia, come ricorda Plinio, il grande scienziato e storico romano, del quale tutti ricordano la frase "Umbrorum gens antiquissima Italiae". Una civiltà che dal 13° secolo avanti Cristo in poi si estese dalla pianura padana al Tevere, dal mare Tirreno all‘Adriatico, come ricordano gli storici greci, e poi (con l‘apporto safino) pian piano fino all’Italia Meridionale; una civiltà alla quale spetta di diritto il nome di “italica”, come la chiamiamo noi moderni, anche se gli storici greci e romani parlano inizialmente di “Umbri” per la metà settentrionale del territorio, e di “Ausoni” per la metà meridionale. Sul fondamento dei dati linguistici, infatti, possiamo affermare che l’Italia fu una realtà culturalmente unitaria ben prima che Roma realizzasse l’unità politica...»

    -Prefazione del dottor Augusto Lancillotti al saggio "La lingua degli Umbri", di Francesco Pinna JAMA EDIZIONI-

    «furono i riti italici ad entrare in Grecia, e non viceversa».

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    «Cavalcava la tigre di se stesso.E cosa fu la sua vita se non una disperata fedeltà ai propri sogni? La grandezza di Annibale è quì racchiusa,nella sublimazione della vittoria come fine a se stessa,come strumento di passione.Egli non aveva nessuna certezza di piegare il nemico fino in fondo,di vincere la guerra.Forse non l'ebbe mai.Ma la battaglia era il suo palpito d'uomo,e di quel fremito soltanto visse.»

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