eh eh eh, qualcosa mi dice che la mia esperienza sul campo sarà utile in questo topic.
Intanto ringrazio Tito per aver pensato a me, e spero si renda conto di cosa vorrà dire un Arys suo "vicino di casa"
Inoltre ho notato che i primi interventi, compreso il mio, sono tutto di miei confratelli pugliesi, il che è il massimo di cerchia che posso concedere a livello amministrativo vista la situazione.
Bene,andiamo con ordine.
Questa è l'ipotetica mappa delle province italiane del dopo Monti:
le eliminate
le rimaste
Ora,oltre che prendere la scia del post di Tonio79, che ha egregiamente spiegato come la provincia dell'uomo pipistrello (ebbene si,erano anni che volevo dirlo) sia stata una cosa imbarazzante per i cittadini quanto elefantiaca per la burocrazia non dissimile dal
lasciapassare A39 di Asterix e Obelix, non posso fare altro che continuare del solco dei precedenti interventi.
è ovvio a tutti che lo scopo delle province è ben diverso da quello pensato nella carta costituzionale. La loro divisione deriva ne più ne meno dalle acquisizioni territoriali effettuate dal Regno di Sardegna a spese degli stati preunitari, acquisendo le rispettive divisioni amministrative al netto. In più un riordino si ebbe in epoca fascista, o meglio un loro aumento dovuto alle aumentate necessità di controllo del territorio. C'è da ricordare che parecchi uffici pubblici, come le corti e i tribunali, sono strutturati su una pianta degli anni '30, totalmente inadatta alle esigenze e alle finanze attuali, motivo per cui province ed altri enti pubblici secondo logica DEVONO essere eliminati. Ma quali, e in che numero?
Tutte è purtroppo impossibile, non solo per la probabile confusione non solo nella cittadinanza ma anche nella PA nel controllo del territorio, ma anche perché ad esse sono affidate alcune deleghe che andrebbero prima redistribuite. Pensate alle agenzie ARPA e alle competenze ambientali, o ad altre quali i trasporti, che creerebbero caos operativo e normativo se scollegate senza ritegno.
Quindi è essenziale predisporre degli studi iniziali di carattere socio economico che prevedano come un territorio,
possibilmente ma non obbligatoriamente non oltre una data area e che non ecceda una data popolazione, sia distinguibile rispetto a quelli vicini non solo per ragioni storiche, e che si segua lo stesso principio delle Città Metropolitane.
Ma allora, si dirà, non converrebbe creare un tessuto di sole città metropolitane?
Forse, ma il concetto in itere sarebbe sbagliato. Le città metropolitane dovrebbero essere dei perni strategici all'interno del Paese, delle chiavi di volta nell'architettura dello Stato sul territorio. Come la spina dorsale, da cui si dirama una struttura più elastica e meno sovraccarica di funzioni primarie e fondamentali, che si occupi di compiti più ordinari, quotidiani e semplici, i quali intaserebbero i gangli principali.
Ancora una volta il corpo che la natura ci ha donato ci viene in aiuto.
Motivo per cui, alle città metropolitane verrebbero conferiti non tanto compiti operativi, ma funzioni di coordinamento in tutta l'area sottoposta a loro influenza, e questo come semplice cinghia di trasmissione tra lo Stato centrale e le aree a loro sottomesse. In esse verrebbero istituiti uffici governativi centrali responsabili autonomamente di quello che succede nella loro macroregione, ad esempio la protezione civile e la difesa militare.
Sarebbe utile se le città metropolitane facessero capo alle Regioni senza dividerle, ad esempio Bari non dovrebbe avere influenza su Matera ma non su Potenza, creando così ulteriore confusione.
Probabilmente, rispondendo anche a Tito, le città metropolitane in alcuni casi potrebbero contenere anche le province relative,ma sarebbe impossibile farlo con gli attuali confini. Essi andrebbero ridotti, come succede con le zone amministrative speciali in altri Paesi del mondo (succede spesso con le capitali, che governano da sole micro aree all'interno di regioni/province più grandi).
Quindi si passa al livello regionale, che andrebbe ripensato nei suoi limiti, sempre secondo i concetti socio economici. Non è difficile farlo con esperti e dati alla mano, motivo per cui zone con diverse sfere non dovrebbero essere mischiate. Anche per evitare le normali controversie e le fughe di comunità in regioni vicine.
Infine, all'interno delle Regioni, dovrebbero essere istituite delle province sempre con effettiva ragione economico sociale. Se Cagliari può essere il centro focale dell'intera isola, è ovvio che da sola non può mantenere uffici centralizzati per l'intera utenza. Motivo per cui, al momento in cui una Regione è carente sotto questo punto, istituisce una nuova provincia secondo gli stessi concetti sopraelencati. Ma senza ripetere i concetti delle Regioni duali, come Umbria e Molise, con capoluogo enorme e provincia secondaria inutile appendice per riempire la cartina.
Non è possibile perciò Taranto in Bari per contrasti e divergenze socio economiche, ma è plausibile Taranto in Lecce, più opportunamente rinominata provincia del Salento...
Non saprei infatti come si possa unire, anche territorialmente, zone diverse e distanti tra loro, con istanze anche molto diverse. la provincia della Lunezia può essere di esempio, come tentativo di razionalizzare un tessuto sociale economico e culturale omogeneo rispetto ad altri.
Inutile poi la sfilza di province una attaccata alle altre,con capoluoghi vicinissimi tra loro.In tal caso, le città che ospitavano il capoluogo, se facenti parte di un tessuto omogeneo rispetto ad altre province vicine, devono essere accorpate, e tra queste va scelta una sola sede capoluogo.
Altra idiozia è stata la creazione di province bicefale, come Massa-Carrara (che da piccolo pensavo fossero una città unica tanto è entrato nel lessico), Pesaro-Urbino o di quelle partorite da emeriti schizofrenici in Sardegna. Quelle si per accontentare tutto e tutti,senza soddisfare nessuno.
Morale della favola: le province vanno abolite in parte, e ridelineate e ridefinite le rimanenti. Quest'ultima cosa non è stata presa in considerazione, ed è la cosa più grave.
Esattamente con quello che accadde con la riforma Biagi, che del proprio "creatore" ha preso solo il nome. Biagi aveva teorizzato un mercato del lavoro più dinamico, ma aveva anche previsto un forte welfare e ammortizzatori sociali. L'ultima parte non è stata fatta, e il risultato è stato come una casa senza tetto esposta a sole e intemperie.
Se gli eventi seguiranno la riforma del lavoro 2003, sarà meglio evitare di andare avanti col discorso dei tagli,onde evitare di moncare tremendamente lo Stato e i servizi ai cittadini.